Il presente - L'analista (Parte II)

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Finalmente l'uomo si alzò. Si muoveva con grazia innata e il suo passo mi sorprese. Aprì la finestra e ritornò comodamente seduto nella sua poltrona. Anche se non mi osservava direttamente, sentivo il suo sguardo fisso su di me. Scrutava all'interno della mia mente, dei miei ricordi, del mio passato, in cerca di qualcosa di folle, qualcosa che avrebbe contribuito a rendere la sua vita un inferno.

Voleva derubarmi; voleva derubare un povero imbecille per puro egoismo. Entrava dentro con delle grosse pinze, lunghe, di acciaio incandescente e spostava via ciò che lui considerava spazzatura, per fare spazio, per visualizzare altri "detriti" e spostarli di conseguenza.

Forse è questo lo scopo della mia vita? Rendere celebre un folle? Perché tutto è collegato, perché la disgrazia ci accomuna, rendendoci prede vulnerabili e succulente.

Uno spazio torbido e ben condito, ove poter nascondere la demenza di un'intellettuale, la stupidità della sapienza e l'incertezza della scienza.

La cravatta di quell'uomo penzolava dalla sua camicia, infastidendo i miei occhi, graffiandoli con la morbida punta rossa screziata di grigio. La sua fame era enorme, così anche la sete. Avrebbe prosciugato interi fiumi, interi mari con un solo sorso.

Perché questo era il suo scopo.

Rubare per poi godere.

Ferire per poi sorridere.

Uccidere per poi riposare.

Ero un semplice ostaggio, finito in quello studio per chissà quale ragione. Non stavo cercando la morte, non la inseguivo ... Ma raggiunse comunque l'angolo della stanza, nascondendosi dietro una statua che possente vigilava la prospettiva del luogo e mi fissava, con amarezza e tristezza. Perché, semplicemente, non poteva ancora cibarsi della mia anima. Io le urlavo di prendermi con sé, di portarmi via e lei piangeva. Piangeva perché non poteva.

Anche l'uomo piangeva. Seduto nella sua comoda poltrona, piangeva. Ma prima o poi, un cumulo di macerie avrebbe ricoperto il suo corpo, lasciandogli solo il respiro affannoso dell'opportunismo, del materialismo e dell'egoismo.

Restavo e restai inerme. Nessuna parola, nessun gesto, solo uno sguardo; la vista che gelava il mio cuore e che strappava le pagine di un'agenda pronta da bruciare.

Osservavo la scena.

Osservavo quell'uomo.

Sembrava euforico come se fosse ubriaco, ma con la mente "lucida" e i suoi occhi sprizzavano di follia, di amare intenzioni che avrebbero voltato irrimediabilmente i fogli della storia. Un'espressione di selvaggia bramosia invase il suo volto e le mie preghiere, ormai stanche e prive di senso, crearono intorno a me lo scudo della speranza.

Allora capii ... Tutto divenne chiaro e vivido. I ricordi vennero a galla improvvisamente, insieme alla paura che aumentava inesorabilmente.

L'uomo dei roseti ...

L'uomo che stava per tagliare gli steli ...

L'uomo che io ho ucciso ...

Era identico a lui, solo un po' più "vecchio".

Io ... Io ero il mostro che aveva ucciso suo padre. E lui era il mostro che aveva ucciso due donne. Lui era il Dottor Carlos.

I miei arti, ormai, avevano abbandonato il mio corpo e la luce che lentamente scemava si spense, portando con sé il ricordo di un sorriso malvagio.

Solo un rumore impresso nella mia mente, che dentro scavava, creando una voragine di estreme dimensioni. Solo un'immagine nei miei occhi che inutilmente tentavo di cancellare. Il ticchettio di un martelletto e un punteruolo, che all'estremità sinistra del mio occhio destro si conficcava.

"La verità e la conoscenza a volte condannano ..."

"Questo è per te Daniel ..."

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