Capitolo tre

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«Scendi che è tardi» urlò la mamma dal piano di sotto. Adele, però, nonostante si fosse ripromessa di non scoraggiarsi,  se ne stava seduta ai piedi del letto in preda al panico, ancora in pigiama contemplando l'armadio. Era sicura che qualunque cosa avesse indossato l'avrebbe fatta sentire inadeguata.

Sbuffò gettando la testa all'indietro e decise di indossare il primo paio di jeans e maglietta che si trovò davanti.

Sua madre continuava a chiamarla insistentemente da diversi minuti, così, decise di scendere per sistemare lo zaino.

Appena passata la soglia della sala da pranzo venne travolta dai fratelli che avevano già fatto colazione ed erano euforici, fremevano per andare nella loro nuova scuola.

Li sollevò da terra e si lasciò cadere sul divano con loro e li stuzzicò con il solletico, facendoli scoppiare in una rumorosa risata.

Poi la mamma li avvertì che era quasi ora di uscire così si avviarono di corsa schiamazzando verso la porta di casa.       

Adele non fece colazione, aveva lo stomaco chiuso, e sua madre probabilmente se ne accorse visto che non fece la minima opposizione al suo rifiuto di mangiare.

Si avviò a piedi, visto che la scuola non distava molto da casa sua, nella speranza che l'aria fresca del mattino le schiarisse le idee. Una volta arrivata, fece un respiro profondo ed entrò. Durante il tragitto si era fatta coraggio pensando che la prima media era una classe nuova anche per i suo compagni, non sarebbe stata l'unica estranea.

In classe, però, tutta la sua sicurezza venne meno, quasi tutti si conoscevano dalle scuole elementari e si erano già formati dei gruppetti che smisero di chiacchierare al suo ingresso. Sentì gli occhi di tutti addosso e gli sguardi indagatori che cercavano di capire chi fosse quella nuova ragazza. Senza dire una parola, con gli occhi bassi andò a sedersi nell'unico banco rimasto libero, quello difronte alla cattedra, sperando di sparire.

Passarono un paio di minuti, anche se le era sembrata un'eternità, poi sentì qualcuno bussare sulle sue spalle, girandosi si trovò davanti il più grande sorriso che avesse mai visto sul viso di una ragazza.

«Ciao, Janet Mitchell, ma puoi chiamarmi Jay. E tu sei?»

«Adele Johnson, mi sono trasferita qui da un paio di mesi.»

«Quindi non conosci proprio nessuno?»

«Già, proprio nessuno.» Rispose malinconica. «Ci siamo trasferiti perché mia nonna abita qui ed è malata.»

«Mi dispiace per tua nonna. Però possiamo rimediare per le amicizie. Se ti va uno di questi giorni ci vediamo dopo la scuola così ti faccio conoscere e visitare un po' la città.»

Adele non poteva crederci, si era già fatta una nuova amica e tutto da lì in avanti diventò più semplice; stavano ancora conversando amabilmente quando la professoressa di matematica entrò e in classe scese il silenzio. Jay fece l'occhiolino e andò a sedersi al suo banco.

La signora Charlson, una minuta donnina dagli occhi gentili, molto cortese ed affabile, le chiese di avvicinarsi alla lavagna e presentarsi, avrebbe preferito sparire.

Dopo la sua breve presentazione, inaspettatamente, la mattinata scolastica era passata velocemente e senza intoppi. Aveva conosciuto i professori di arte e musica e anche la perfida professoressa di scienze che aveva iniziato a spiegare gli esseri viventi e le loro caratteristiche, esigendo che tutti disegnassero un'enorme rana sulla prima pagina del loro quaderno.

Durante l'intervallo, e tra una lezione e l'altra, Jay si avvicinava al suo banco per presentarle qualche ragazza della classe. Erano tutte curiose di sapere da dove venisse, ma la domanda più ricorrente era se avesse già un ragazzo.

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