Capitolo dieci

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Il suo rapporto con Jack si stava logorando giorno dopo giorno. Qualsiasi cosa lei facesse per recuperarlo veniva male interpretata, a volte non se ne accorgeva affatto. 

Nonostante avesse trovato impiego come commessa, Jack le rinfacciava continuamente di non contribuire abbastanza; malgrado continuasse, comunque, a gestire la casa e tutte le altre incombenze.

Mentre lei si impegnava ogni giorno di più, Jack era sempre più assente. Aveva persino smesso di giocare con suo figlio.

Passava ogni giorno meno tempo a casa e usciva quasi tutte le sere. A volte tornava ubriaco e Adele si ritrovava accovacciata sul pavimento a raccogliere il suo vomito.

Sapeva che la tradiva. Aveva trovato nell'auto un reggiseno che non era suo; non la sfiorava da più di un anno, non era un'ingenua, sicuramente sfogava i suoi istinti altrove.

Mentre Jack si riprendeva la sua adolescenza, con gli interessi, Adele perdeva la sua luce. Il suo viso era spento, non sorrideva più. Usciva di casa solo per andare a lavoro e per fare spesa.

Janet le mancava immensamente. In quattro anni era tornata a casa solo due volte; ormai, quasi non si scrivevano più. Le loro vite avevano preso pieghe troppo diverse. Nemmeno con i colleghi di lavoro aveva legato molto e i compagni di scuola erano spariti subito dopo la festa del diploma.

Gli unici che le erano rimasti accanto erano i suoi fratelli. Se li ritrovava sempre tra i piedi, un giorno si presentava Ben, il giorno successivo Serena, a volte suonavano entrambi alla porta costringendola ad uscire.

Non ricordava più come ci si sentiva ad essere felici. Faceva solo ciò che riteneva essere il suo dovere. Era un automa, priva di emozioni. La sua unica fonte di gioia era il piccolo Noah, a cui non era mai riuscita a negare nulla.

Si era rassegnata a quell'esistenza finché un giorno la vita le diede la scossa. Una scarica talmente forte da resettare il suo cervello.

Il suono del telefono la colse di sorpresa e la voce rotta di sua madre, che le diceva di correre in ospedale perché Ben aveva avuto un incidente, le gelò il sangue nelle vene.

Tremava, scese le scale e raggiunse Jack nel salone, riuscì solo a dire «Ben ha avuto un incidente.» Chiesero alla mamma di Jack se poteva restare con Noah che dormiva, ignaro, nella sua cameretta; aspettarono il suo arrivo e uscirono di corsa.

Durante il tragitto tutto era confuso. Le girava la testa. Non era possibile. Non poteva accadere a lui. Si ripeteva che sicuramente era un piccolo incidente, se la sarebbe cavata con un colpo di frusta, magari qualche graffio, ma niente di più.

Doveva essere così. In un paio di giorni sarebbe tornato in forma, cercava di rassicurarsi; nonostante il tono di sua madre lasciasse intendere tutt'altro.

I suoi pensieri si bloccarono all'ingresso dell'ospedale. Smise di respirare; sua madre era accasciata a terra, non faceva alcun rumore, aveva soltanto il viso rigato da lacrime incessanti; suo padre cercava di sostenerla ma aveva gli occhi gonfi mentre fissava il vuoto.

«No, non è possibile. Dov'e Ben, dov'e mio fratello?» La visione dei suoi genitori stretti nella disperazione le aveva fatto intuire, ma il suo cuore non voleva credere. Iniziò a piangere e invocare suo fratello, urlava così forte da mancarle il fiato. Jack cercò di calmarla ma si divincolò;

«Non te ne è mai fregato un cazzo di me. Non ho bisogno dei tuoi abbracci ora.» Urlò spingendolo via.

Accettare quell'abbraccio voleva dire ammettete che suo fratello era morto e non poteva crederci, non voleva crederci.

Uscì dal pronto soccorso e trovò Serena seduta a terra che singhiozzava. Si avvicinò e la fece alzare.

«No, no, no. Serena non piangere. Si sono sbagliati. Non può essere morto.»

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