Capitolo otto

26 4 3
                                    

«Mamma ho qualche dolore alla pancia. Sono un po' preoccupata.»

La giornata era iniziata con quella sorpresa. Jack era uscito presto per andare a lavoro salutandola con un bacio distratto e lei si era avviata a piedi verso casa dei suoi.

Durante il tragitto si fermò un paio di volte perché aveva delle fitte così forti da toglierle il fiato. A stento era riuscita a salire le scalee il suo viso era imperlato da un velo di sudore.

«Tesoro siediti. Che tipo di dolori? Andiamo in ospedale. Caleb chiama Jack al telefono e digli di raggiungerci.»

Non le aveva dato nemmeno il tempo di rispondere,  nel giro di pochi minuti, erano già in macchina alla volta dell'ospedale. Ben rimase a casa con la nonna, lo avrebbero chiamato se ci fossero state novità.

Arrivati in ospedale, Adele aveva dolori lancinanti, le contrazioni erano sempre più vicine. Dubitava che il suo gracile corpo riuscisse a sopportare tutto quel dolore ancora per molto, ma non era abituata a lamentarsi. Stringeva i denti, chiudeva gli occhi e tratteneva il respiro. Aveva chiesto un paio di volte dove fosse suo marito, non avendo ricevuto risposta smise di cercarlo. Qualcosa le diceva che non si facesse trovare di proposito.

Mentre sua madre sbrigava le pratiche burocratiche, le venne assegnata una stanza. L'infermiera la accompagnò dicendole di mettersi a proprio agio; ma qualsiasi posizione provasse non le dava alcun sollievo.

Sembrava che fosse rinchiusa lì da giorni; camminare, però, le faceva sopportare meglio il dolore, così aveva esplorato il reparto in lungo e in largo, ormai lo conosceva a memoria.

Quando le contrazioni si intensificarono ulteriormente, l'infermiera la accompagnò insala parto.

Sua madre protestò e mise il broncio quando lei affermò categorica che avrebbe preferito che la aspettasse fuori dal blocco operatorio; le ostetriche le avrebbero dato tutto il sostegno di cui aveva bisogno.

Era stanca e non sapeva dove fosse Jack, non voleva doversi preoccupare anche di sua madre; in quel momento non riusciva a pensare ad altro che alla piccola testolina che stava spingendo nel suo basso ventre per venire al mondo.

Dopo un'infinità di urla trattenute e di lacrime silenziose finalmente sentì i primi vagiti di suo figlio e non capì più nulla; entrò in uno stato di assuefazione totale, dove non percepiva altro che un profondo senso di gratitudine verso la vita. Sentiva di non aver mai provato un amore così puro e un'attrazione tanto potente per nessuno, se non per quel piccolo esserino che piangeva a pochi centimetri da lei;  incapace di dire altro, ringraziò, tra le lacrime, una per una, tutte le infermiere che le erano state accanto.Avrebbe voluto ringraziare perfino la sedia su cui aveva partorito.

Quandole misero quel fragile frugoletto tra le braccia le scoppiò il cuore. Era suo figlio. Il regalo più grande che le avesse fatto la vita.

La lasciarono qualche minuto da sola con lui. Non riusciva a credere di aver creato quella meraviglia. Continuava a fissarlo, percorreva i lineamenti di quel tenero visino con il dito, contava le dita delle manine in miniatura. Cercava di catturare ogni singola smorfia o sbadiglio che  quel prodigio facesse e che lei aveva messo al mondo.

Respirava il suo profumo. Ne era drogata, estasiata, avrebbe riconosciuto quell'odore ovunque.

L'arrivo dell'ostetrica la colse di sorpresa, come un risveglio improvviso; la fece spostare in un letto mobile e la riportò nella sua stanza.

Varcatala soia, notò Jack seduto in un angolo, sembrava  mortificato.

«Scusa non sono riuscito a venire prima.»

Il Meglio di MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora