Capitolo sei

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Adele e Jack non parlarono più della casa in campagna e della loro prima volta. Quando Adele toccava l'argomento lui glissava abilmente.

«Vedrai che non vuole parlarne perché anche lui si sente in imbarazzo.» Le aveva risposto Jay poco convinta quando, per l'ennesima volta, l'aveva supplicata per un consiglio.

La tanto ostentata sicurezza che aveva inizialmente su quella relazione andava via via scemando; Jack era cambiato, più distante, quasi disinteressato e questo la portò a riesaminare il loro rapporto.

Non studiavano più insieme. Negli ultimi mesi le uniche volte in cui si erano visti Jack l'aveva portata a casa sua, approfittando del fatto che i suoi fossero a lavoro o fuori città, per fare l'amore.

Non c'era neanche più dialogo tra loro, anzi dopo aver fatto l'amore si metteva a giocare alla play station, lasciando Adele per ore da sola con i suoi pensieri. Quando provava ad insistere per uscire un po', Jack, rifiutava categoricamente di andare fuori, così lei finiva per tornare a casa da sola.

«Non credo che questa relazione funzioni più.» Sbottò un giorno mentre lo vide armeggiare sotto al televisore in cerca di chissà quale gioco.

«Ma sei impazzita?» Domandò esterrefatto voltandosi all'improvviso. «Non sono mai stato così bene con qualcuno. Tu no piccola?»

"Certo fai come ti pare" avrebbe voluto obiettare, invece rispose,

«Si, è solo che ormai l'unico tempo che trascorriamo insieme è quello che passiamo a letto.» - «E ti prego, non chiamarmi più "piccola".»

Jack la guardò di traverso poi aggiunse «Ma che hai oggi? Sei strana. Sta per arrivare "quel periodo"?», mimò le virgolette con le mani.

Quelle parole parole le piombarono addosso come una doccia gelata. Si era completamente dimenticata che una ragazzina alla sua età dovesse avere il ciclo. Con le mani tremanti prese il cellulare e scorse le icone fino al calendario.

Aveva un ritardo di una settimana. Smise quasi di respirare.

Si vestì di corsa e uscì in fretta e furia. Sentì Jack dalla camera gridare qualcosa che non udì nemmeno. Non gli rispose e lui non la seguì.

Senza pensare si diresse verso casa della sua migliore amica. Era sconvolta e impaurita allo stesso tempo.

«Chi è?» chiese la signora Mitchell al citofono.

«Sono Adele, Janet è in casa?»

«Sali pure cara, è in camera.»

Adele fece le scale a due a due, riuscendo a stento a trattenere le lacrime. Con un mezzo sorriso saluto la signora Mitchell e in fretta sparì al piano superiore.

Spalancò la porta, entrando di scatto nella camera senza nemmeno bussare, era visibilmente sudata e a dir poco pallida; Janet era seduta alla scrivania, intenta a disegnare uno strano abito sull'album da disegno. Lo chiuse velocemente e mise da parte i pastelli guardandola con aria interrogativa.

«Ho un ritardo. Una settimana. Non me ne ero accorta. Non so come sia potuto accadere. Aiutami ti prego.»

Adele la guardava disperata, con gli occhi gonfi e le mani tremanti. La notizia aveva shockato anche Jay ma non lo diede a vedere. Si avvicinò all'amica prendendola per mano cercando di calmarla.

«Adesso rilassati, respira. Andiamo in farmacia, devi fare il test per esserne sicura.»

Adele la seguì completamente in preda al panico.

Scesero le scale in silenzio, per tutto il tragitto non proferirono parola. Adele cercava di nasconderlo ma tremava come una foglia.

Tornarono a casa con il test di gravidanza nella borsa che sembrava pesasse come un macigno.

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