Capitolo undici

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La mattina successiva scese le scale e non trovò Jack. Sul tavolo c'era soltanto la cartellina con la richiesta di annullamento firmata; anche le sue cose erano sparite. Per la prima volta dopo moltissimo tempo Adele tornò a sorridere.

La morte era entrata con prepotenza nella sua vita, destandola dal torpore in cui era imprigionata.

Non sarebbe mai riuscita a superare del tutto quella tragedia, ma il dolore l'aveva convinta a dare una svolta alla sua vita.

Le frasi di suo fratello la sera prima dell'incidente, "Non puoi limitarti ad esistere. Vivi più che puoi, vivi intensamente", la tormentavano, "Smettila di esistere solo in funzione di Jack e Noah; assapora la vita, buttati, rompi le regole, fatti credere pazza, ma vivi!".

Doveva onorare quelle parole, dare un senso alla morte, e quel senso sarebbe stata la sua rivincita sulla vita.

La sofferenza non avrebbe fatto più paura, non esistevano più regole, convenzioni o barriere, era disposta a rischiare e avrebbe affrontato a testa alta qualunque sfida si fosse trovata davanti.

Qualche settimana più tardi riuscì a trovare un monolocale in affitto, vicino alla casa dei suoi genitori. Era contenta di non dover più vedere i suoi vecchi suoceri guardarla di traverso da dietro una tenda del loro salone. Sapevano che era stato loro figlio a far naufragare il matrimonio, ma non lo avrebbero mai ammesso; di conseguenza avevano eliminato lei e li nipotino dalla loro vita. Vedevano Noah sempre più raramente, finché non smisero di cercarlo del tutto.

Si trasferì nel nuovo appartamento, nonostante fosse ai ferri corti con sua madre; non le parlava, nella sua famiglia non si divorziava, non si annullavano matrimoni, tanto meno si abbandonavano i mariti, anche se rei di tradimenti; non le perdonava di aver aggiunto anche quel dolore alla morte di Ben.

Al contrario, suo padre e Serena erano lieti di averla più vicina, sapevano che aveva sopportato troppo da Jack, anche se non lo avevano mai detto apertamente.

Iniziò a lavorare a tempo pieno, questo le permise di legare di più con i suoi colleghi, tanto che qualche volta le era capitato di uscire con loro.

Noah ormai era un ragazzino, si affacciava al mondo delle scuole medie e cercava la sua indipendenza; lui chiedeva spazio e lei era disposta a concederglielo, felice di avere più tempo per sé stessa. Era fiera di lui, lo vedeva crescere forte, estremamente intelligente; così come aveva compreso la morte dello zio, capì anche l'assenza di suo padre.

Non lo vedeva dalla sera del funerale e da allora non lo aveva più nominato. Un paio di volte Adele gli aveva chiesto se volesse passare un po' di tempo con suo padre, ma ogni volta scuoteva la testa ripetendo che il suo posto era lì, accanto a lei.

La sua vita finalmente era cambiata, in meglio, senza dubbio, ma aveva la constante sensazione che le mancasse qualcosa. Sentiva di non aver realizzato a pieno ciò che le aveva detto suo fratello.

Iniziò ad uscire più spesso; soprattutto la sera, Noah dormiva volentieri con i nonni e a lei non dispiaceva. Era stanca di seguire le regole, di essere educata con tutti e comportarsi in maniera perfetta.

Una sera, con alcune colleghe, andò in discoteca. Da sempre odiava quel tipo di locali, così passò la maggior parte del tempo appoggiata al muretto d'ingresso. Si divertiva a vedere quei grossi gorilla che cacciavano a pedate ragazzini, evidentemente minorenni, completamente ubriachi.

Ne aveva già contati sette, quando sentì qualcuno alle sue spalle sussurrarle qualcosa.

«Passatempo divertente il tuo.»

Si voltò di scatto e vide un ragazzo alto quasi il doppio di lei, pieno di tatuaggi che sfoggiava un sorriso malizioso mentre sorseggiava una birra in bottiglia.

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