La piaga

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E’ un pregio,

o forse una piaga,

per gli artisti straordinari

 poter andare e tornare dall’inferno?

Perché tante cerimonie,

quando questi oltrepassano senza paura le porte

dove un dì appena cominciato

un poeta vi lesse le parole dolenti?

Le anime dannate

deformate dalla pena da scontare,

immerse in quelle pozze putride e nauseanti,

s’inchinano e si struggono al passaggio degli uomini di sogno.

Gli stessi guardiani della città di Dite,

armati dei loro forconi

 e intenti a percuotere i peccatori con fare i crudeli,

si inchinano ai venuti come al passare d’un sovrano.

Arrivati ai piedi del padrone infernale,

che se ne sta seduto nel suo trono

fatto di lerciume e di carcasse marce,

tutto si ferma, le grida cessano e l’artista giunto fissa l’astro del mattino.

Quale privilegio è più grande

se non quello di poter ammirare,

in tutta la sua arcana bellezza,

quello che una volta era l’angelo prediletto del paradiso?

E’ questa la fortuna,

o forse la piaga degli artisti,

potersi avvicinare alla loro prima musa

carezzarla e lasciarsi rapire come fa il mare con la sabbia.

Ogni sguardo immerso in quegli occhi di rubini è una ferita,

ogni gesto verso l’oscura creatura è un gemito di dolore,

e mentre il servo si contorce ai piedi della sua musa diabolica

il dolore si mischia nel piacere come fa il vino con il sangue.

Nel mondo dei mortali l’artista fugge,

nel suo intelletto ripercorre costantemente la discesa verso Dite,

ma ad ogni suo ritorno si porta dietro le piaghe

ancora grondanti di sangue mentre il mondo ride del suo dolore.

-Maledetto!- gli gridano –Diabolico!-,

gli uomini lo indignano e lo insultano guardando le sue piaghe,

ma eccoli riversi a terra come lui davanti a Satana

mentre sono intenti a godere lussuriosamente della sua arte. 

Lettere a un fantasmaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora