Il mare crea e distrugge. pt.2

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Angolo me.
Lo faccio qui sopra perché non mi va di farlo sotto.
Volevo dirvi che molto probabilmente non riuscirò a pubblicare tutti i giorni per circa una settimana poiché sono in viaggio.
Detto ciò, vi lascio alla lettura. Spero vi piaccia.
P.S. se volete dirmi cosa ne pensate nei commenti ve ne sarei grata.

Orrendo. Non c'era altra definizione. Comunicare la morte di Percy era stata forse la cosa più brutta che Annabeth abbia fatto. Significava confermare il fatto che non sarebbe più stato con loro, significava arrendersi all'idea di non vederlo più. Significava che non c'era più. E per quanto brutto e reale era una cosa che non avrebbe accettato molto presto, anzi non l'ho avrebbe mai accettato. Non l'avrebbero mai accettato.
Annabeth era riuscita a parlare, a dire lo stretto necessario, a pronunciare l'unica frase che spiegava tutto: "Percy Jackson è morto"; prima di crollare in ginocchio a piangere davanti ad un centinaio di semidei impressionati dal crollo di una degli eroi del Campo.
Piper era stata al suo fianco tutto il tempo. Non piangeva più, aveva esaurito tutte le lacrime.
Jason e Leo non avevano proferito parola, non una da quando Percy gli aveva abbandonati.
Hazel e Frank piangevano abbracciati.
Quando lo avevano detto a Grover lui e Juniper erano entrati in una depressione tale che metà dei fiori del campo si erano rinchiusi in boccioli, anche per opera dei figli di Demetra con cui Percy aveva instaurato un bel rapporto. Come con i figli di Ermes, con i figli Afrodite, di Apollo, e il figlio di Ade. Sopratutto con l'ultimo il rapporto era splendido nonostante il carattere particolare di Nico. Già Nico, chi glielo avrebbe detto? In quei non era al Campo e con i messaggi Iride era impossibile comunicare.
La cerimonia era stata forse la più corta che Annabeth ricordasse.
Una volta finita tutti si recarono nelle proprie cabine.
Jason e Hazel non ebbero problemi a stare da soli.
Annabeth zittì tutte le domande e si chiuse in bagno a fare una lunga doccia.
Frank non conosceva molti nella cabina di Ares; e i fratelli non fecero comunque domande.
Piper e Leo erano nel bunker nove. Abbracciati sul letto, tentando di stare almeno un po' meglio.
La notte passò.
Passò in silenzio, come se la natura fosse cosciente di quello successo.
I mostri non si sentirono, stavano anche loro nella foresta. In silenzio.

La mattina non passò molto diversamente.
I ragazzi si alzarono alla solita, per andare alla solita colazione, con le solite persone.
Ma l'umore era sotto i tacchi. (Scusate l'espressione poco fine, ma non mi è venuto in mente altro.😅)
Jason, Hazel e Frank partirono per il campo Giove.
Così il tavolo di Ade rimase vuoto, il tavolo di Zeus rimase vuoto e il tavolo di Poseidone rimase vuoto. 
Anche gli allenamenti furono diversi, più silenziosi.
Non c'era Percy che esultava dopo aver sconfitto l'avversario come ogni volta, non c'erano i nuovi arrivati gridare per la sorpresa o i semidei un po' più anziani arrabbiarsi quando Leo prendeva fuoco bruciando magari qualcosa di importante.
Non c'erano scheletri inseguire i figli di Iride perché avevano detto che non gli piaceva il nero.
Non c'erano pietre preziose spuntare dal terreno al seguito di una graziosa ragazza dalla pelle color cioccolato e i capelli ricci o fulmini che cadono dal cielo o un ragazzo che si trasforma in animali vari.
Non c'era la solita allegria che distingueva il Campo Mezzosangue, non c'era Percy.
E tutti sapevano che la sua assenza avrebbe provocato tutto quello che stava succedendo oggi per molti giorni a venire.
Perché tutti ritenevano Percy, uno dei semidei più importanti.
E tutti erano legati a lui, chi più chi meno, chi lo diceva ad alta voce chi lo teneva per se,  come i figli di Ares. Perché chiunque avesse osservato bene chi lo stava attorno quella sera avrebbe visto le lacrime scorrere sulle guance di Clarisse.
Era così; Percy magari entrava nelle vite degli altri in un modo catastrofico ma quando era dentro non c'era persone migliore per rimettere insieme i pezzi.
E anche se entrava stile tornado una volta che lo conosci, che ci costruisci un rapporto, che ci vivi, non è per niente facile farlo uscire.
Sopratutto se chi l'ha fatto uscire l'ha fatto in un modo spregevole e ingiusto.
Se chi l'ha fatto non aveva nessun diritto di farlo.
Se chi l'ha fatto non aveva avuto pietà né per lui per chi era con lui.
Se chi l'ha fatto poteva essere tua madre o tuo padre, o se non lui in prima persona poteva aver acconsentito.
Se chi ti ha portato via una persona importante è la tua famiglia.
Perché veder morire una persona, una persona che ami, una persona che ammiri, un amico,  sotto i tuoi occhi è una cosa che ti cambia. Ti cambia dal profondo, dalle radici e tu magari neanche ti accorgi che stai cambiando, finché non sei un'altra persona. Forse simile a com'eri prima, forse un po' meno, forse completamente diversa.
Ma non è tanto il cambiamento, quanto il motivo per cui si cambia.
Cambiare per un avvenimento felice è molto diverso dal cambiare per un avvenimento triste.
E tutto questo Annabeth lo sapeva, Piper lo sapeva, Leo lo sapeva, tutti ne erano coscienti. O almeno tutti quelli che in prima persona avevano vissuto la morte di Percy.

-Dai; vieni. Stiamo per andare a cena.- Piper chiamò Annabeth che sussultò.
L'amica infatti era seduta a gambe incrociate sul prato. Lo sguardo fisso rivolto all'ingresso del Campo.
-Certo. Arrivo.- disse più a se stessa che a Piper.
-Ottimo.- la ragazza le sorrise e gli poste la mano per alzarsi. Annabeth l'afferrò e affiancò l'amica nel tragitto verso il padiglione della mensa.
La cena passò normalmente, un po' più animata della precedente.
E come il giorno precedente quando tutti offrirono una porzione di cibo agli dei Annabeth rimase seduta al suo posto, sotto lo sguardo preoccupato di Chirone è quello curioso di qualche semidio che si aspettava di vedere la ragazza fulminata.
Ma Piper e Leo capivano benissimo il suo comportamento. L'avevano vista. Urlare contro gli dei. Rischiando di morire. Se non l'avevano uccisa in quell'occasione dubitavano sarebbe morta adesso.
Finito il pasto molti andarono al falò. Nonostante ciò Annabeth, Leo e Piper erano tra i pochi che non andarono, preferendo una passeggiata alla spiaggia.
-Sapete, a me andrebbe di più la foresta.- disse flebilmente Leo con la voce tremante.
-Si.- concordò Piper.
Annabeth era sulla riva, con l'acqua alle ginocchia. A osservare i giochi che l'acqua faceva con la luce della luna.
"Annabeth" la chiamò una voce profonda e calma.
-Avete sentito?- chiese.
-No,Annie.- rispose Piper.
-Cosa avremmo dovuto sentire?- domandò Leo preoccupato.
-Una voce. Mi ha chiamato.- disse Annabeth.
-No. Non abbiamo sentito nulla.- Piper si guardò attorno. -No nulla. Non c'è nessuno.-
-Dai tranquilla. Sarai stanca. Vieni con noi?- Leo le indicò la foresta.
-Certo. Mi metto le scarpe e vi raggiungo. Iniziate ad andare.-
-Okay.- detto questo Leo cinse la vita di Piper con un braccio e si allontanarono.
Annabeth si voltò verso il mare con sguardo afflitto.
-Mi manchi.- sussurrò.
Un onda bagno la riva, lasciando una P scritta in corsivo sulla sua scia.
"Vai a prenderlo. Vai Annabeth, corri!"
-Ragazzi! Ragazzi!- iniziò a correre ancora scalza.
-Piper! Leo!- disse raggiungendoli. -La voce. Di nuovo. Mi ha detto: "Vai a prenderlo. Vai Annabeth, corri!".
-Chi era?- chiesero all'unisono Leo e Piper mentre la bionda già correva avanti.
Annabeth si fermò di colpo:
-Poseidone.-

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