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New Orleans a gennaio era fredda, la neve scendeva candida sulle strade e si adagiava sui parabrezza delle auto parcheggiate ai fianchi della strada.
Camminavo velocemente nel vano tentativo di riscaldarmi, le mani nelle tasche del cappotto alla ricerca di un po' di calore.
Il cappellino di lana mi schiacciava i capelli sul viso recandomi un certo fastidio, ma non me ne curai molto.
Le punte delle mie Dr Martens nere erano ormai logore, avrei dovuto cambiarle ma ero stranamente convinta che quelle scarpe mi infondessero sicurezza, erano come uno scudo.
Il mio parka verde militare, compagno di mille avventure, era la mia corazza.
Avrei potuto affrontare qualsiasi cosa avvolta nel caldo del mio cappotto invernale.
Continuavo a camminare a testa bassa tra le strade della Louisiana, sapevo che la mia meta era vicina ma non conoscevo con esattezza l'aspetto del luogo che mi avrebbe ospitata per le due ore successive.
Il freddo iniziava ad attraversare le mie ossa e quasi mi faceva male, così decisi di fermarmi a prendere una cioccolata calda al bar all'angolo.
Entrai e mi resi subito conto che non c'era quasi nessuno all'interno, sarebbe stato del tutto deserto se non fosse stato per un ragazzo biondo dietro il bancone.
"Ciao, cosa posso portarti?" mi chiese con un sorriso.
Io voglia di sorridere proprio non ne avevo, specialmente quel giorno.
La mia vita stava per subire una svolta, ed io avevo sempre odiato i cambiamenti.
"Una cioccolata calda" risposi fredda e inespressiva.
Il ragazzo mi rivolse uno sguardo incuriosito per poi girarsi per preparare la mia ordinazione.
Non diedi molto peso allo sguardo che mi lanciò, alla fine ero abituata ad essere giudicata, la mia vita era stata un susseguirsi di disastrosi eventi che mi avevano portato ad essere sulla bocca di tutti.
Il fatto che un ragazzo sconosciuto e che non avrei mai più rivisto potesse pensare male di me non mi turbava, non mi faceva né caldo e né freddo.
"Ecco a te."
Presi subito il bicchiere che mi porse e mi dileguai sussurrando un "grazie" a malapena udibile anche da me stessa.
Uscendo da quel piccolo bar finalmente iniziai a sorseggiare la mia bevanda.
Mi guardai intorno alla ricerca di un'insegna, un cartello, un foglio imbrattato con un pennarello o qualsiasi cosa potesse farmi capire che ero arrivata a destinazione.
Continuai a camminare per una decina di minuti quando finalmente in lontananza vidi un gruppo di persone ferme davanti una porta bianca, stretta e lunga.
Mi avvicinai a loro ma nessuno si accorse del mio arrivo.
Guardandomi intorno iniziai a scrutare i loro visi, uno per uno, e mi resi conto che quasi tutti avevano un aspetto stanco, sembravano reduci da una notte insonne.
Avevano l'espressione rassegnata, lo sguardo perso nel vuoto e il sorriso morto sulle labbra ancora prima di nascere.
Mi somigliavano un po', tutti loro.
Mi accorsi subito di essere nel posto giusto.
Accesi una sigaretta nell'attesa di entrare all'interno dell'edificio e mi sedetti su un gradino poco distante.
Mentre aspiravo profondamente sentii qualcuno accomodarsi al mio fianco.
Mi girai subito e trovai due grandi occhi azzurri circondati da doppi aloni neri che mi fissavano freddi.
"Ti serve qualcosa?" chiesi alla ragazza al mio fianco.
Aveva i capelli corti che non sfioravano neanche le spalle, il naso piccolo all'insù e un fisico abbastanza minuto.
Se non fosse stato per le profonde occhiaie non avrei mai pensato che fosse come me.
"Non dovresti fumare" disse tranquillamente.
"E questo chi lo dice? Tu?" risi piano, un po' per infastidirla, un po' perché la situazione mi provocava ilarità per davvero.
La ragazza non fu scalfita minimamente dalla mia piccola risata, anzi, sembrava ancora più tranquilla.
"Sei qui per uscire dal giro."
"Sono qui per disintossicarmi da droghe pesanti, non per smettere di fumare" risposi piccata.
"Anche le sigarette sono una droga."
Continuava a guardarmi negli occhi, non abbassava mai lo sguardo, sembrava totalmente sicura di ciò che stava dicendo.
Ed in parte anch'io sapevo che avesse ragione, ma non mi era mai piaciuto che qualcuno mi dicesse cosa fare.
"Le sigarette non mi uccideranno alla stessa velocità dell'eroina."
"Ma ti uccideranno comunque!"
"Senti-mi girai del tutto verso di lei per poterle puntare un dito sul petto- non so chi tu sia e onestamente non mi interessa saperlo, però voglio darti un consiglio.
Impara a farti i cazzi tuoi, altrimenti non andrai lontano.
Stai nel tuo e non mettere bocca su cose di cui non sai niente."
Mi alzai e mi diressi a passo spedito verso l'edificio dove già tutti stavano iniziando ad entrare.
"Comunque io sono Amber!" sentii gridare alle mie spalle dalla ragazza che mi stava importunando.
Le rivolsi il dito medio senza neanche girarmi, provocando la sua risata.
L'interno del palazzo era esattamente come me lo aspettavo, l'atrio con le pareti bianche era del tutto anonimo, così come il corridoio.
Dovetti scendere solo due rampe di scale per trovarmi esattamente nel luogo dell'incontro.
La stanza era grande e dai colori asettici, una lungo tavolo ricoperto di piatti con pasticcini e bottiglie di succo di frutta troneggiava sul lato destro.
Al centro erano posizionate in cerchio diverse sedie di plastica nere poco distanti tra loro, potevano essere massimo una quindicina.
Le persone iniziarono subito a prendere posto così mi sedetti su una delle sedie, alla mia destra la ragazza che mi rompeva il cazzo da quando ero arrivata, mi sembrava avesse detto di chiamarsi Amber,e alla mia sinistra un uomo sulla trentina che non spiccicava parola neanche per sbaglio.
Quando tutti fummo seduti un uomo si posizionò al centro del cerchio.
Poteva avere massimo ventotto anni, i capelli castani erano raccolti in una crocchia disordinata ed una leggera peluria ricopriva le sue guance bianche.
Era alto, molto alto, le spalle larghe e il torace tonico erano fasciati da una maglia nera, le gambe lunghe ricoperte da dei jeans con gli strappi sulle ginocchia e ai piedi portava delle Dr Martens bordeaux dello stesso modello delle mie.
"Benvenuti al primo incontro dei narcotici anonimi di New Orleans" disse a voce alta il ragazzo.
Guardava in faccia ognuno di noi, forse aspettando qualche reazione oppure solo per trovare il coraggio di parlare.
"Io sono Aaron" si presentò con un sorriso e poi riprese.
"Non sono qui per inculcarvi qualche ideale del cazzo, o per dirvi stronzate come 'ne uscirete più forti di prima' o 'ci vuole solo un po' di forza di volontà'.
Non vi dirò che sarà facile né tanto meno che tutti voi ce la farete e riavrete finalmente in mano la vostra vita.
Non vi dirò bugie, sarò del tutto sincero, perché è ciò che io vorrei se fossi al vostro posto."
Ci guardò negli occhi per secondi che parvero ore, sembrava che pronunciare quelle parole gli provocasse un dolore forte, come se venisse riaperta una ferita sul suo petto che ancora faticava a cicatrizzarsi.
Prese un profondo respiro e continuò a parlare.
"Sarà dura, farà male e ci saranno dei momenti in cui vorrete strapparvi la pelle per non sentire più niente.
Ci saranno dei momenti in cui soffrirete così tanto che l'unica soluzione che vi sembrerà possibile sarà farvi.
Cercherete la vostra dose oppure la morte, non vorrete altro, non accetterete nessun compromesso.
Avrete paura di morire, vi sembrerà di non respirare più e che le ossa vi si rompano ad ogni nuovo passo che proverete a compiere.
Vorrete mollare, cercherete di convincere voi stessi che non importa come finirà, l'importante è che finisca.
Cercherete di inculcarvi l'idea che morire di overdose farà sicuramente meno male che sopportare tutto questo, che almeno morirete facendo l'unica cosa che vi riesce bene.
Sarà dura e farà male, tanto.
Non tutti ce la farete, alcuni di voi non saranno abbastanza forti e pur di non sopportare il dolore immenso causato dall'astinenza preferiranno uccidersi con le loro stesse mani.
Sono scelte, siete voi i padroni di voi stessi e siete voi a decidere.
Però è mio dovere farvi sapere una cosa."
L'attenzione di tutti i presenti era rivolta al ragazzo di fronte a me.
Ormai tutti avevamo inteso che certi dolori li aveva testati sulla sua pelle, parlava con una sicurezza tale che solo chi aveva attraversato il tunnel e ne era uscito poteva avere.
Gli occhi azzurri di Aaron adesso erano puntati su un punto indefinito della stanza.
I ricordi gli attanagliavano lo stomaco, ma non si fece trascinare giù.
Forse era anche questo che ti veniva insegnato qui, come rimanere a galla e continuare a respirare.
"Se ne può uscire, non è impossibile.
Potete davvero tornare a vivere.
So che adesso vi sembra impossibile e credete che la vostra vita sia finita, che tutta questa merda vi mangerà vivi definitivamente, ma può andare diversamente.
Non lasciate che una caduta segni chi siete.
Cambiate, mutate e rialzatevi.
Zoppicherete all'inizio, ma poi potrete tornare a correre."
Aaron puntò improvvisamente i suoi occhi nei miei.
"Avete ancora una vita davanti, non mandate tutto a puttane."
Sostenni il suo sguardo e riuscii a fare un piccolo sorriso che venne ricambiato quasi subito.
Il suono di un applauso riecheggiò in tutta la stanza, mi unii anch'io e iniziai a battere le mani continuando a fissare intensamente Aaron.
Ero affascinata dalla forza di quel ragazzo, portava sulle spalle un peso più pesante di se stesso ma riusciva a reggerlo nonostante tutto.
Quando anche lui si sedette tutti a giro iniziarono a parlare delle loro esperienze, di come erano finiti nel giro, di come avevano iniziato e del motivo che li aveva portati alla decisione di disintossicarsi.
Non prestai molta attenzione alle loro parole, troppo attenta a pensare a cosa io avrei dovuto dire.
Queste situazioni mi mettevano un'ansia pazzesca.
Anche se ero una persona dal carattere forte e non avevo problemi a rispondere parlare in pubblico non mi era mai piaciuto, specialmente se l'argomento principale era la mia dipendenza.
Ma qui erano tutti come me, eravamo sulla stessa barca, non dovevo vergognarmi né sentirmi in difetto e ne ero consapevole, solo che il mio cervello ormai correva a ruota libera e non mi dava più ascolto.
Sentii la voce di Amber dire "grazie per avermi ascoltato" e capii che era il mio turno.
Avevo gli occhi di tutti puntati addosso e così, dopo un attimo di panico totale, mi alzai in piedi.
"Mi chiamo Jade, ho ventuno anni e sono dipendente dalla morfina.
Ho iniziato circa due anni fa con la cocaina ma vedendo che il mio dolore persisteva dopo pochi mesi ho dato tutto il mio essere alla morfina.
Sono sempre stata una persona mentalmente forte, ma nel momento in cui mi sono stati posti ostacoli più alti di me mi sono sentita disorientata.
Ero giovane, confusa e arrabbiata.
Il dolore per una perdita importante attanagliava il mio stomaco giorno e notte, non riuscivo a dormire e non mi davo pace.
L'unico pensiero fisso nella mia mente era la morte.
Volevo morire, volevo porre fine a tutto quel dolore, desideravo solo un po' di pace.
Ma non avevo abbastanza coraggio per farla finita, così ho iniziato a fare uso di sostanze.
La morfina mi sollevava dal dolore e mi sembrava l'unico modo per tirare avanti."
Mi fermai un attimo per spostare il mio sguardo dal pavimento agli occhi di Aaron, che mi stava già guardando.
"Ho deciso di disintossicarmi perché voglio darmi un'altra possibilità.
Voglio dimostrare a tutti che ho molto di più da offrire di quello che può sembrare, che posso arrivare dovunque se solo lo desidero.
Riprenderò in mano la mia vita e la modellerò.
Otterrò la mia redenzione."
Quando finii di parlare solo Aaron applaudì rivolgendomi un caldo sorriso.
Mi risedetti e sentii una voce profonda riecheggiare nello spazio circostante.
"Mi chiamo Aiden, ho ventiquattro anni e sono dipendente dall'eroina."
Il ragazzo che parlava era seduto poco distante da me e mi chiesi come avevo fatto a non notarlo prima.
Era di una bellezza disarmante, uno di quelli che ti fermi a guardare per strada.
I capelli rasati e gli occhi scuri gli davano un'aria di mistero che mi intrigava.
"Il come sono arrivato a questo punto o il perché ho iniziato a farmi non sono cazzi vostri.
Sono qui perché mi è stato imposto dalla legge, o i narcotici anonimi o la galera.
È stata una scelta difficile ma eccomi qua a deliziarvi con la mia presenza.
Disintossicarmi non mi interessa, io ci voglio morire con questa merda, e al più presto anche" dichiarò con un sorrisetto.
"E allora che cazzo ci fai qui?" chiesi irritata.
Lo sguardo strafottente del ragazzo si puntò immediatamente su di me e mi rivolse un'occhiata omicida.
"Mi sembra di averlo già detto il perchè, bimba."
'Bimba', avevo solo tre anni in meno di lui.
"Potevi tranquillamente scegliere la prigione considerando che ti importa così poco della tua vita" dissi scrollando leggermente le spalle fingendo che quella situazione non mi irritasse minimamente.
"Quello che faccio della mia vita non ti riguarda."
"La tua presenza qui è solo una grande presa per il culo."
Mi alzai anch'io in piedi per poter essere alla sua stessa altezza, o quasi, dato che parecchi centimetri ci separavano.
Tutti i presenti ci guardavano incuriositi come se da un momento all'altro potessimo saltarci alla gola.
"Che vuoi?" chiese quando mi avvicinai a lui.
"Che tu te ne vada."
"Beh, non posso.
Sono costretto qui per i prossimi otto mesi, quindi abituati alla mia presenza bambolina" disse ridendo e sfiorandomi la guancia con un dito.
Mi allontanai di scatto da lui.
"Col cazzo" sputai acida.
Non lo volevo qui, la sua presenza non aveva senso.
Tutti noi eravamo qui perché cercavamo una rinascita, un modo per riscattarci e tornare in piedi.
Lui era felice di ciò che aveva, voleva andare incontro alla morte, avrebbe solo portato scompiglio.
"Jade, calmati" disse Aaron venendomi incontro.
Lo guardai male quando cercò di toccarmi il braccio, così ritirò subito la mano ed io tornai a sedermi, incazzata come una iena.
Il giro continuò ed Aiden non fece altro che guardarmi male per tutta l'ora successiva.
Le sue occhiate omicide venivano felicemente ricambiate da me.
Se cercava qualcuno da sottomettere aveva proprio sbagliato persona.
Finito l'incontro non feci in tempo a dirigermi verso le scale che qualcuno mi chiamò.
Non mi girai ma riconobbi subito la voce irritante di Amber.
"Quel ragazzo è proprio un coglione eh?"
Avevo già capito a chi si riferisse.
"Credo che 'coglione' sia riduttivo per definirlo" dissi semplicemente.
"Addirittura riduttivo?" chiese Aiden dietro di me.
La sua presenza iniziava davvero a farmi girare i coglioni.
"Sei ancora qui?" gli chiesi acida.
"Non mi vedi?"
Continuai a camminare ignorando la sua risata.
Quando uscii fuori dall'edificio il freddo invernale mi graffiò la pelle ed indossai subito il mio parka.
Amber era ancora al mio fianco ma stava stranamente in silenzio.
Ci incamminammo verso la stessa via in silenzio, mentre il rumore dei miei pensieri faceva tremare anche gli alberi.

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