4.

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Jason non si faceva vedere da ormai diverse ore e la mia preoccupazione aveva raggiunto un livello esagerato.
Ero sempre stata una persona paranoica, alla minima problematica il mio stato d'ansia schizzava alle stelle e non voleva più saperne di scendere.
Lo avevo aspettato in piedi tutta la notte, nella vana speranza che si sarebbe fatto vivo e avremmo chiarito la nostra piccola discussione, ma ovviamente non fu così.
Alle 13:45 decisi che non aveva senso continuare ad aspettare e che dovevo fare qualcosa.
Se conoscevo bene Jason, e lo conoscevo davvero bene, non sarebbe mai tornato con le sue stesse gambe dopo una litigata, soprattutto se sapeva di avere ragione.
Gli piaceva essere pregato, sentirsi dire che aveva ragione ed essere rassicurato.
Mi preparai velocemente per uscire di casa alla ricerca del mio migliore amico.
Indossai un maglione color senape e dei jeans neri, le immancabili Dr. Martens ai piedi e il parka verde militare.
Con lo zaino in spalla e le chiavi in mano aprii la porta di casa pronta a catapultarmi fuori al freddo e al gelo.
L'immagine che mi si parò davanti era fuori da ogni immaginario, l'ennesima conferma che se il destino esisteva, cosa su cui avevo dei forti dubbi, era perennemente contro di me.
Il ragazzo odioso che avevo incontrato ai Narcotici Anonimi era proprio di fronte a me, con due sacchetti tra le dita e la voglia di vivere sotto i piedi.
Lui non mi vide, era di spalle che armeggiava con la serratura della porta.
Non potevo credere a quello che stavo pensando, ma aveva proprio un bel fondoschiena.
"Ti prego dimmi che è un fottuto scherzo e che sei solo un ladro che sta cercando di scassinare la serratura."
La mia voce lo fece immediatamente voltare verso di me.
Delle profonde occhiaie segnavano il suo viso quasi perfetto, quell'aspetto non gli donava proprio per niente, ma era la vita che aveva scelto.
Che avevamo scelto.
Le sue labbra si incrinarono in un lieve sorriso, non aveva neanche la forza di sorridere questo povero scemo.
Era evidente che per lui fosse un giorno decisamente no, ma cercò di non darlo a vedere.
"E tu da dove sbuchi, bimba?" mi chiese girandosi totalmente verso di me.
Appoggiò le larghe spalle alla porta e incrociò le braccia al petto in attesa di una mia risposta.
"Abiti qui?" domandai indicando con un cenno del capo la porta alle sue spalle.
"Non ti hanno insegnato che non si risponde ad una domanda con un'altra domanda?"
Lo guardai male per un lasso di tempo indefinito.
Non risposi alla sua domanda da copione, era superfluo e non sarei stata al suo gioco.
Dopo minuti che parvero ore finalmente si decise a rispondermi, ma non prima di essersi lasciato andare ad un sonoro sbuffo infastidito.
Nascosi un sorriso e puntai i miei occhi nei suoi.
"Evidentemente sì."
"Potresti anche essere un ladro per quello che ne so."
Il ragazzo, del quale non ricordavo il nome, scosse la testa e si lasciò andare ad una piccola risata.
"Un ladro che apre la porta con le chiavi?" disse sventolandomi il mazzo di chiavi davanti la faccia.
"Potresti aver rubato anche quelle."
Alzò gli occhi al cielo per un secondo, tornando poi a guardarmi.
"Allora, da dove arrivi? Conosco tutti in questo palazzo e non ricordo di aver mai visto la tua faccia in giro."
"Vengo qui da diversi anni e neanche io ricordo di averti mai visto."
'Grazie a dio' avrei voluto aggiungere, ma lo tenni per me.
"La cosa ti dispiace bimba?"
Scoppiai in una sonora risata e finsi di asciugarmi una lacrima con l'indice.
"Sì certo, non puoi neanche immaginare quanto."
"Non hai ancora risposto alla mia prima domanda però."
Non ero mai stata brava ad evitare i discorsi, era più una dote di mio fratello.
"Sono venuta a stare dal mio migliore amico per un po'" ammisi.
"La mamma che butta fuori casa la figlia tossica è un film visto e rivisto, vivo da solo per questo" disse scuotendo le spalle con nonchalance.
Ammiravo la sua indifferenza, avrei tanto voluto prendere la mia situazione con la stessa leggerezza.
Fissai gli occhi per terra, troppo persa nei miei pensieri per continuare a dare retta ad uno sconosciuto.
Cercavo una soluzione, un modo per ribaltare la mia vita, ma vedevo solo buio.
"Il tuo amico sarebbe Jason?" mi chiese il ragazzo dopo un'infinità di tempo in cui eravamo rimasti in silenzio.
Alzai lo sguardo e lo trovai a guardarmi, ma non come aveva fatto durante tutta la nostra conversazione, no.
In quel momento nei suoi c'era un po' di comprensione, forse anche un minimo di compassione per quella ragazza che aveva perso tutto a causa delle troppe scelte sbagliate.
La via che io e lui avevamo intrapreso fondamentalmente era la stessa, avevamo solo un diverso modo di camminare.
Lui correva, non so come ne con quale forza, ma era uno capace di correre anche tra le macerie.
Io zoppicavo e arrancavo per un po' d'aria pulita, e spesso cadevo anche, ferendomi e rialzandomi.
"Lo conosci?" chiesi tranquilla.
"È stato il primo amico che ho trovato quando sono arrivato qui."
"È amico tuo?"
Il mio tono era tagliente e gli occhi si erano automaticamente sbarrati.
Il mio migliore amico era amico di un tizio che mi stava sul cazzo, la cosa non mi andava molto giù.
"Ti disturba?"
Era ironico e mi dava fastidio.
"Assolutamente no.
Ora se puoi scusarmi devo andare a cercare il mio cane che si è perso."
Recuperai lo zaino che avevo poggiato per terra e mi incamminai in fretta verso le scale.
La voce del ragazzo arrivò nuovamente alle mie orecchie e mi fece fermare per un secondo.
"Aiden. So che non te lo ricordi."
Risi tra me e me e mentalmente diedi una pacca sulla spalla di Aiden per essere stato così acuto da accorgersi della mia piccola forma di Alzheimer.
"Non me ne frega un cazzo" gridai a mia volta e continuai a scendere le scale.
"Ciao Jade!"
L'ultima cosa che sentii fu il suono della sua risata riecheggiare in tutto il palazzo.

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