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Erano passati tre giorni da quando avevo incontrato mio padre e riversato su di lui il mio fiume di parole.
Tre giorni in cui non ero riuscita a chiudere occhio per più di un'ora, limitandomi a restare sdraiata sul mio letto con lo sguardo puntato sul soffitto e le braccia lungo i fianchi.
L'unica compagnia che ero riuscita a tollerare era la morfina, fidata amica di una vita.
Non volevo vedere nessuno né sentire alcuna voce, neanche in lontananza, persino la presenza del mio migliore amico era per me motivo di nervosismo.
Jason continuava imperterrito a bussare alla mia porta già da dieci minuti buoni e la mia pazienza stava seriamente iniziando a vacillare.
"Apri questa cazzo di porta Jade, devi mangiare!"
Il suo tono sembrava quasi esasperato e non potevo mica dargli torto, non era facile stare dietro ad una come me, era risaputo.
"Ti ho già detto che non ho fame."
"Sei chiusa lì da tre giorni ormai, non esci neanche per andare al bagno! Non oso immaginare in che condizioni sia quella stanza."
Ed era davvero in condizioni pietose, il degno habitat di una persona mentalmente incasinata la cui vita stava allegramente andando a puttane.
I miei vestiti erano disseminati sul pavimento un po' dovunque, le mie adidas erano finite sopra l'armadio a causa di un impeto di rabbia che mi aveva attanagliato la notte precedente, i pezzi dell'abat jour che avevo spaccato erano sparsi per la stanza e un cartone della pizza troneggiava fiero sul davanzale della finestra.
Il solo pensiero che sarebbe toccato a me pulire quel porcile mi fece rivoltare lo stomaco, portandomi a desiderare di morire in mezzo al mio stesso caos.
"Lasciami marcire qui dentro, me lo merito!" gridai tra le lenzuola ma con un tono abbastanza alto da permettere a Jason di sentirmi.
La mia solita vena drammatica scaplitava per uscire allo scoperto dopo aver passato troppo tempo reclusa nella parte più oscura del mio cervello ed io non potevo più controllarla.
Schiacciai ancor di più il viso sul cuscino e mugulai dei versi di puro esaurimento mentre mi rotolavo da una parte all'altra del letto.
"Cosa risolverai murandoti in camera tua?"
"Beh ti ringrazio infinitamente per questa domanda mio caro amico."
Mi alzai finalmente dal letto e, stando attenta a non caplestare i pezzi di vetro per terra mi diressi verso la porta, sedendomici davanti e appoggiando la schiena su essa.
Un rumore proviente dall'altro lato mi fece capire che Jason aveva appena assunto la mia stessa posizione, così che solo un sottile strato di legno bianco ci separasse.
Recuperai un quaderno che avevo precedentemente gettato all'angolo della camera e sul quale avevo appuntato le cinque buone ragioni per non uscire mai più da quella stanza.
Le avevo scritte perché sapevo che quella domanda sarebbe arrivata prima o poi e perché la noia mi stava mangiando viva.
MI schiarì la gola con un teatrale e del tutto finto colpo di tosse e inziai a parlare.
"Ecco a te le cinque buone ragioni per cui dovrei morire in questo porcile.
Ragione numero uno: se resterò rinchiusa qui nessuno sarà più costretto a sopportare i miei casini e cercare di porvi rimedio" dissi facendo il gesto dell'uno con la mano come se Jason potesse vedermi.
"Ragione numero due: Jason non dovrà più guardarmi negli occhi mentre mi distruggo con le mie stesse mani" e segno due con le dita.
"Ragione numero tre: un giorno la morfina qui dentro finirà e sarò costretta a disintossicarmi perché le mie gambe saranno ormai atrofizzate e non mi permetteranno di uscire per cercarne dell'altra."
"Sei così ben fornita?" chiese il mio migliore amico ma nella sua voce non vi era alcun tipo di stupore, mi conosceva bene, sapeva che non rimanevo mai a secco.
"Ti sorprendersti anche tu nel sapere cosa c'è qui dentro JJ."
"Lo immagino" rispose sbuffando.
"Credo sia al limite dell'immaginabile."
Mi grattai il collo come imbarazzata dalla mia stessa affermazione.
Non mi piaceva ammetterlo e forse mi faceva anche paura, ma in quella camera avevo abbastanza materiale da soddisfare una squadra di tossici per almeno due giorni.
"Ragione numero quattro: non dovrò più vedere quella testa di cazzo di Aiden né tutti gli altri dei NA."
"Credevo che Aiden ti avesse aiutato" disse sorpreso Jason.
"Sì ma ciò non toglie che sia una testa di cazzo."
Sentii la sua risata dall'altra parte della porta e un piccolo brivido risalì la mia schiena, provocando il mio sorriso.
Mi era mancato quel suono.
"Non lo sopporti proprio eh?" mi chiese ancora scosso dalle risate.
Scrollai le spalle in risposta, dimenticando per un attimo che Jason non poteva vedermi.
"C'è gente che preferisco guardare solo da lontano."
"Però ti piace guardarlo" affermò malizioso.
"Beh non mi sono ancora fatta suora. E' innegabile che Aiden sia un gran figo, solo che quando inizia a parlare il mio fiore appassisce."
"Ma Jaide!" gridò il mio migliore amico ed io non riuscì a trattenere una forte risata, di quelle che non mi prendevano ormai da parecchio tempo e che avevo quasi dimenticato.
Una delle cose che mi avevano portato a legarmi così inesorabilmente a Jason era proprio la sua capacità di portarmi in alto quando mi sembrava di aver toccato il fondo, anche se solo per un secondo.
Lui era sempre stato l'unico in grado di farmi ridere in ogni circostanza, a prescindere da qualunque cosa, e non l'avrei mai ringraziato abbastanza per questo.
"Ne manca una" disse all'improvviso Jason dopo infiniti attimi di silenzio.
"Cosa?"
"Hai detto di avere cinque ragioni ma ne ho sentite solo quattro."
Annuii e riportai lo sguardo sul quaderno tra le mie mani che però cadde per terra quando lessi l'ultima ragione che avevo scritto.
Non potevo dirla a Jason, era troppo per lui, era troppo anche per me stessa ma io avevo imparato ad accettare la realtà, lui no.
Guardai il mio riflesso nello specchio posto davanti a me e sorrisi amaramente vedendo le profonde occhiaie che solcavano il mio viso.
Ero dimagrita ancora, stavo quasi per scomparire, non mi riconoscevo più.
Dov'era Jade?
"Ragione numero cinque: non riuscirei più a guardare il mio riflesso in uno specchio senza vomitare in maniera convulsiva" dissi in un sussurro la prima cosa che mi venne in mente, ma ero comunque sicura che Jason mi avesse sentito, infatti la sua risposta non tardò ad arrivare.
"La tua è una bellezza immutabile piccola."
Un piccolo sorriso sincero si fece spazio sul mio volto e mi decisi finalmente ad abbassare lo sguardo dallo specchio.
Faceva male vedere cosa mi ero fatta, sapere che era tutta colpa mia mi rendeva pazza, mi sarei volentieri sbattuta la testa sullo spigolo della porta a ripetizione.
L'avevo voluto io tutto quello che mi stava capitando, me l'ero cercata, l'avevo desiderato e adesso ero pentita.
Cercavo di convincermi che avrei potuto evitarlo, che se fossi stata più forte sarei stata in grado di rialzarmi e trovare la giusta via.
Ma io ero nata storta, ero sempre stata un po' ammaccata e la verità era che non sarei riuscita a trovare la mia strada neanche se le cose nella mia vita fossero andate diversamente.
La morte di mio fratello aveva segnato la fine della mia storia, ma da poco era sopraggiunta la consapevolezza che se lui fosse stato ancora vivo la mia fine sarebbe stata posticipata di poco.
Semplicemente io non ero fatta per stare al mondo, non ero adatta, e il mio orgoglio mi aveva portata a convincermi che andava bene così.
Meglio controcorrente che in mezzo alla massa, anche se ciò mi avrebbe condotta dritta dritta sotto terra.
Ero una povera pazza che aveva firmato la propria condanna a morte con il suo stesso sangue.
"Ti prego Jade, fammi entrare.." sussurrò il ragazzo dall'altra parte della porta.
Percepivo tutta la sua frustrazione, il suo malessere, la sua impotenza.
Il mio cuore si stringeva ogni volta che percepivo il dolore di Jason, dolore che io avevo causato.
"Voglio solo guardarti negli occhi e sapere che è tutto ok" disse ancora, abbassando ulteriormente il tono di voce fino a renderlo quasi inudibile.
Avrei voluto dirgli che niente andava bene e che le cose non sarebbero cambiate, che non si poteva tornare indietro dopo un salto come quello che avevo fatto io.
Avrei voluto dirgli che non poteva salvarmi, che doveva smetterla di provarci perché era solo tempo sprecato.
Avrei voluto dirgli di andare avanti, di dimenticarmi e cercare qualcuno di migliore che potesse sostituirmi.
Avrei voluto dirgli di stare attento e di tenersi alla larga da quelli come me, perché abbiamo l'anima nera e se ti tocchiamo la macchia non va più via.
Erano tante le cose che avrei voluto dirgli ma rimasi in silenzio, mentre tutte le parole che non avevo il coraggio di pronunciare rimasero incastrate nella mia gola, soffocandomi.
"E' tutto ok" fu tutto ciò che riuscii a dire in quel momento.
"Le tue ragioni.." iniziò Jason.
"Che hanno le mie ragioni?"
"Fanno schifo."
"E sentiamo perché farebbero schifo?" chiesi fingendomi offesa.
"Te lo voglio dire in faccia."
"Non fotti con me Jason" dissi convinta.
Mi alzai da terra e con cautela andai verso lo specchio.
Cercando di non guardare il mio riflesso lo alzai e me lo misi sotto braccio, andando verso l'armadio e nascondendolo tra le pile di vestiti rimasti ancora al suo interno, per poi chiudere l'anta e tornare davanti la porta.
"Non puoi decidere per gli altri Jade."
Le persone continuavano a dirmi cose che sapevo già con la vana speranza che, un giorno, avrei iniziato ad ascoltare realmente.
Ecco un'altra cosa da sapere su di me, non ero mai stata una brava ascoltatrice.
Avevo sempre preferito fare di testa mia, prendere le mie decisioni da sola anche a costo di sbagliare, di ferire o distruggere.
Poi non sapevo ricostruire, questo era palese.
Avevo lasciato una scia di distruzione lungo tutto il percorso della mia breve vita, macerie che forse un giorno qualcuno avrebbe spostato al posto mio ma che, arrivati a quel punto, non sarebbero più state un mio problema.
Ero egoista e questo non potevo cambiarlo, ci nasci con un'indole del genere e, sfortunatamente per coloro che costantemente cercano di salvarti, ci muori anche.
Ma ci sono delle persone con le quali non puoi esserlo semplicemente perché non se lo meritano.
"Io non sto scegliendo per nessuno se non per me stessa."
"Stai scegliendo per me."
"Solo perché tu non capisci!"
Con passo svelto andai verso la finestra, spostai il cartone della pizza e mi sedetti dove era prima poggiato questo, volgendo lo sguardo verso l'alto.
Guardare il cielo di solito mi infondeva un'insolita calma, ma quel giorno non andò esattamente così.
"Cos'è che non capisco, Jade?"
A volte si arriva ad un punto, nella vita, in cui abbiamo solo bisogno di noi stessi e ci rendiamo conto che tutto ciò che abbiamo intorno è superfluo, è stancante.
Ed io ero stanca, ero stanca di parlare, stanca di dare spiegazioni, stanca di deludere e fottutamente stanca di continuare a camminare.
"Se faccio questo è solo per te, per proteggerti" iniziai.
"Tu ancora non ti rendi conto di cosa significa stare accanto ad una come me, e se non sai proteggerti da solo allora devo farlo io per te.
Non voglio buttarti in questa merda, Jason.
Ho sbagliato a venire qui, a coinvolgerti.
I miei fottuti casini devo sistemarli con le mie sole forze, così come li ho creati."
Attimi di silenzio seguirono le mie parole, silenzio che fu nuovamente rotto da me.
"Andrò via stasera stessa."
Mi alzai dal davanzale e mi diressi verso la porta e nel frattempo non un singolo suono era udibile da dietro il massiccio legno.
Girai lentamente la chiave nella toppa e dopo giorni finalmente aprii la porta di quella camera.
Pensavo che dall'altra parte avrei trovato un Jason incazzato nero, pronto a saltarmi alla gola e strozzarmi fino a quando non avrei cambiato idea, adeguandomi alle sue regole.
Ma la scena che mi trovai davanti era del tutto diversa.
Il mio migliore amico era esattamente in piedi davanti a me, i suoi occhi erano intrisi di lacrime che sgorgavano da entrambi i lati, ma le sue labbra erano piegate verso l'alto.
Jason stava sorridendo, e sorrideva con il cuore.
"Io lo so, l'ho capito che tu questa battaglia devi vincerla da sola."
Queste furono le uniche parole che gli sentii  pronunciare prima di sprofondare in un ultimo caldo abbraccio che, stranamente, non sapeva d'addio.

****

Dopo aver sparato in vena la seconda dose della giornata iniziai a preparare la valigia.
Avevo sperato con tutto il mio cuore di non utilizzarla più per un po', di aver trovato un minimo di pace, ma niente andava mai come volevo io.
"Prima di andare via di qui devi mettere a posto questa stanza, lo sai vero?"
Jason mi guardava dalla soglia della porta, la spalla destra poggiata allo stipite e le braccia incrociate al petto.
"Devo proprio?" mi lamentai.
Non ero proprio nel pieno delle mie facoltà mentali in quel momento, e il solo pensiero di mettermi a pulire mi fece venir voglia di tornarmene al mio stato comatoso.
"Assolutamente! Io non ho alcuna intenzione di metterci piede, solo guardandola mi viene voglia di gettarmi dalla finestra."
"Quanto sei esagerato!" gridai nella direzione del mio migliore amico.
Un piccolo sorriso troneggiava sul viso di entrambi, che fosse un po' di felicità la sua?
La mia sicuramente era tutt'altro.
Non sapevo dove sarei andata a stare da quel momento in poi, né cosa ne sarebbe stato della mia vita e dove sarebbe andata a parare tutta quella situazione.
La mia esistenza era un grande boh ed io, all'età di ventuno anni, stavo davvero iniziando a farci l'abitudine.
"Mi mancherai un po', tu e tutti i tuoi casini" sussurrò ad un certo punto il ragazzo accanto a me.
Misi il mio ultimo paio di jeans in valigia e mi voltai completamente verso di lui.
Ci ritrovammo occhi negli occhi, come all'inizio, come tanto tempo fa.
"È la cosa giusta JJ."
"Lo so, solo che a volte la decisione giusta non è quella meno dolorosa.."
Sentii una piccola lacrima salata abbandonare il mio occhio sinistro e schiantarsi contro le mie labbra, che subito leccai con un gesto veloce.
"Voglio iniziare a credere che andrà tutto bene" affermai cercando di sorridere ancora, magari per davvero.
"Io sono sicuro che andrà tutto bene, avrei solo voluto aiutarti."
"Ne abbiamo già parlato, è una cosa che devo risolvere da sola se non voglio più ricaderci.
Deve partire tutto da me, nessuno può realmente aiutarmi."
Jason prese le mie mani tra le sue e le portò delicatamente all'altezza del suo viso, lasciando un delicato bacio su di esse.
"Però devi farmi una promessa, Jade.
Non provare a nasconderti dal tuo sponsor, devi chiamare Aaron.
Lui ha già vissuto questa situazione, può davvero esserti d'aiuto."
Ed era vero, ne ero assolutamente consapevole.
Aaron era l'unica persona in quel momento che poteva realmente fare qualcosa per me, solo che il mio orgoglio non mi permetteva di cercarlo.
Avrei preferito essere investita da un camion che ammettere di avere bisogno d'aiuto, per giunta davanti ad un estraneo.
"Te lo prometto" mentii.
Finii di preparare la mia valigia e, con non poca fatica, riuscii finalmente a chiuderla.
Jason la portò in cucina al posto mio dato che stavo iniziando ad accusare una lieve stanchezza, avevo bisogno di dormire ma quello non era il miglior momento per schiacciare un pisolino.
Recuperai il mio giubbotto il pelle nero, unica cosa rimasta fuori dalla mia valigia, lo indossai e mi diressi verso l'uscita tirando dietro di me la valigia.
Solo dopo aver aperto la porta trovai il coraggio di girarmi verso Jason.
Mi guardava da lontano, l'unico amico che mi era rimasto, e nei suoi occhi, esattamente in quel momento, notai qualcosa che non vedevo da troppo tempo.
Mi spiazzò completamente quello sguardo fiero rivolto verso di me, quel grido silenzioso, quell'ultimo abbraccio incastrato nella distanza che ci separava.
"Fatti sentire mi raccomando, non scordarti di me."
L'ennesima lacrima sfuggì al mio controllo, l'ultima per quella giornata, quando sorrisi ancora una volta in direzione del ragazzo che, sapevo, avrebbe fatto di tutto per me.
"Non potrei scordarmi di te neanche volendo, ci vediamo presto JJ."
E così dicendo chiusi definitivamente la porta alle mie spalle.
"NON HAI SISTEMATO QUELLA CAZZO DI STANZA JADE!"
Sì, mi sarebbe mancato il mio amico.
Scesi le scale del palazzo molto lentamente, con l'amara consapevolezza che dopo quelle rampe si sarebbe chiuso un altro breve paragrafo.
Avrei potuto prendere l'ascensore, ma avevo bisogno di pensare, avevo tanto su cui riflettere e davvero poco tempo per farlo.
Arrivai davanti l'entrata del condominio senza essere giunta ad alcuna conclusione, e nel momento in cui mi trovai fuori mi diressi verso la mia macchina.
L'abitacolo freddo era l'esatto riflesso di come mi sentivo in quel momento, il gelo che scorreva nelle mie viene era quasi visibile attraverso la mia pelle.
Appoggiai la schiena al sedile e volgendo lo sguardo dritto davanti a me esordii con un sincerissimo: "e adesso che cazzo faccio?"

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 19, 2018 ⏰

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