7.

125 6 1
                                    

La pazienza non era mai stato uno dei miei pregi, ero sempre stata una di quelle persone che vuole tutto e subito, che l'attesa non potevano tollerarla e avrebbero voluto azzerarla.
Come le mancanze, come il dolore, come il tempo.
Avrei voluto rimandare tutta la mia vita al punto zero, se fosse stato possibile farlo non ci avrei pensato due volte.
Fare dei passi indietro a volte può implicare delle perdite, ma ero fermamente convinta che, spesso, bisogna perdere prima di poter vincere.
L'ansia stava corrodendo il mio stomaco dall'interno, attaccava le mie budella e bloccava inesorabilmente la mia gola.
La mano calda di Aiden stringeva la mia, le nostre dita intrecciate come in una  diabolica danza senza scampo.
Stavo compiendo un passo più lungo della mia gamba, mi sarei fatta male e non ci sarebbe stato scampo, non potevo evitarlo e questo mi faceva impazzire, mandava tutto il mio autocontrollo a fanculo gettandomi nel panico, nell'incertezza.
Non sapevo cosa aspettarmi, non sapevo cosa dire ne tanto meno come affrontare la situazione.
Non avere tutto sotto controllo mi gettava nel panico, ma d'altronde non avevo più il controllo su niente ormai.
La presa sulla mia mano si strinse e alzai lo sguardo verso il ragazzo in piedi accanto a me, nei miei occhi una domanda silenziosa
"Ti tremano le mani" disse soltanto, scrollando le spalle come se la cosa non lo toccasse minimamente.
"Mettiti tranquilla, non stiamo andando in guerra."
"Questo è peggio" sussurrai.
"Ci sono io con te."
"E questo dovrebbe tranquillizzarmi?"
"Se la situazione si mette male ti posso portare a casa, quindi sono un punto a tuo favore."
"Touché stronzo" risposi con un sorriso sulle labbra che  non mi apparteneva.
In quel momento la porta si aprì rivelando la figura di un uomo dietro di essa.
Un uomo dai capelli brizzolati ma ben curati, delle leggere rughe che incorniciavano gli occhi color smeraldo, uno sguardo perso chissà dove, delle labbra troppo stanche per sorridere.
Micheal Vause era sempre stato un uomo composto, riservato e molto taciturno.
Raramente prendeva una posizione quando una questione troppo difficile gli si presentava davanti, preferiva farla risolvere ad altri oppure ignorarla facendo finta di niente.
Sapeva anche essere duro quando voleva, sapeva come imporsi e come farsi ascoltare.
Aveva sempre avuto il totale monopolio della sua vita e di quella delle persone intorno a lui, tutti esclusa me ovviamente.
Il mio essere era sempre stato d'intralcio a mio padre, nella vita privata come in quella lavorativa, gli avevo causato non pochi problemi nel corso degli ultimi anni, ma lui non aveva mai smesso di guardarmi con luce intensa.
I due smeraldi di Micheal Vause si inumidivano quando guardava me, erano intrisi di un amore incondizionato che io conoscevo, che avevo avuto modo di vedere e percepire, ma che poteva facilmente essere manipolato.
L'uomo dietro la porta in legno non rispecchiava neanche minimamente quello che era mio padre.
Sembrava invecchiato di dieci anni in pochi giorni, come se non dormisse da chissà quante notti, come se fosse mangiato da chissà quali pensieri.
"Ciao Jade, entra pure."
Usò un tono freddo e assolutamente formale, lo stesso tono di voce che utilizzava con i suoi clienti, con gli sconosciuti.
Feci un primo passo verso di lui, che si scostò velocemente, permettendo a me ed Aiden di entrare dentro casa.
Tra quelle quattro mura era tutto esattamente come l'avevo lasciato, ogni cosa era al suo posto e l'aria che si respirava aveva sempre la sua solita pesantezza.
Mi diressi verso uno dei divani in salotto e mi sedetti con le mani in grembo, lasciando che il ragazzo prendesse posto al mio fianco.
Mio padre ci raggiunse poco dopo trascinando i piedi sul pavimento, sembrava quasi che non avesse neanche la forza di alzarli.
"Gradite qualcosa da bere? Non so, dell'acqua o uno scotch?."
Feci segno di no con la testa, volevo lasciare quanto meno possibile di mio lì dentro quel giorno.
"Accetto volentieri lo scotch, grazie" disse Aiden.
Mio padre annuì e andò verso l'armadietto degli alcolici, girandosi di spalle per recuperare quanto richiesto.
Diedi un calcio ad Aiden che, confuso, si girò verso di me chiedendomi spiegazioni.
"Appena usciamo di qui giuro che ti strozzo" gli dissi piano.
Lui rise, come faceva sempre nei momenti seri, forse era il suo modo di affrontare le situazioni.
Mio padre tornò verso di noi con due bicchieri di vetro tra le mani, ne porse uno ad Aiden e poi si sedette sulla sua solita poltrona, esattamente di fronte a me.
Sorseggiò il suo drink in silenzio, lo sguardo puntato su di me che mi ispezionava in cerca di segni di qualsiasi tipo e natura.
"Come stai?" mi chiese tutto d'un tratto, cogliendomi totalmente alla sprovvista.
Non sapevo come rispondere ad una domanda del genere, non ero mai stata brava nell'esporre i miei stati d'animo con le parole, però ero la migliore a mentire.
"Bene."
L'uomo annuì e tracannò un altro grande sorso dal suo scintillante bicchiere.
"Ne sono contento, gli incontri invece come vanno?"
"Altrettanto."
"Anche questo mi fa molto piacere, ti saranno molto d'aiuto queste riunioni."
Non risposi, mi limitai ad annuire impercettibilmente, tutto ciò che riguardava la mia vita o la mia situazione non era più affar suo, quindi meno sapeva meglio sarebbe stato per tutti.
"Lui è un tuo amico?"
Il suo sguardo si posò immediatamente su Aiden, fissò le sue braccia e il suo collo, cercava qualcosa che potesse confermare l'idea che sicuramente si era già fatto su di lui.
"Non ti riguarda, non siamo qui per parlare di questo."
"Hai ragione."
Seguirono attimi di silenzio che nessuno osò rompere.
Mio padre guardava me ed io lui, Aiden alternava lo sguardo tra noi due cercando di capire.
"Ma voi vi chiarite stando zitti?"
Mi girai verso di lui con uno scatto, mandandogli l'ennesima occhiata omicida di quella giornata, ed in quel momento più che mai che mi resi conto di quanto quel ragazzo sapesse essere inopportuno e indelicato.
"Sto aspettando" dissi io rivolgendomi all'uomo di fronte a me, quando la mia sopportazione aveva già superato il suo limite massimo.
"Preferirei che ne parlassimo da soli."
Aiden non se lo fece ripetere due volte e si alzò dal divano, dirigendosi verso la cucina.
"Se hai bisogno di me urla" mi disse prima di scomparire dietro la porta, chiudendosela alle spalle.
La serietà con cui aveva pronunciato quelle parole mi fece sorridere, e per un momento quasi dimenticai la voglia di farlo fuori che mi aveva pervasa da quando avevamo messo piede in casa.
"I panni sporchi si lavano in famiglia Jade, hai sbagliato a portarlo qui."
"La mia risposta è la stessa di prima, non mi piace ripetermi."
"Non puoi dire che non mi riguarda, non ci sei solo tu in questa storia."
"Posso fare quello che voglio" risposi ridendo.
Dopo tutto quello che mi stava facendo passare aveva anche il coraggio di dirmi cosa potevo fare o no, esilarante.
"Già, come d'altronde hai sempre fatto.
Non ti sei mai preoccupata degli altri, delle ripercussioni che le tue azioni potevano avere su di loro."
"Mi preoccupo solo di ciò che ritengo importante" risposi tranquillamente.
"Io e tua madre non lo siamo?"
"Non più."
Non so da dove arrivasse quella freddezza, non era mai stata proprio della mia persona un distacco così totale, diedi la colpa alla morfina, alla dipendenza e al fatto che in quel momento fossi fuori come un balcone.
"Forse non lo siamo stati mai, hai sempre dato più importanza alle tue cose che a noi."
"Questo vittimismo è una novità, mi ci devo abituare?"
Non riuscivo a non ridere, la situazione si faceva davvero interessante, vedere mio padre arrampicarsi sugli specchi per riuscire a giustificare l'avermi abbandonata non aveva prezzo.
"Chiamalo come vuoi ma è la realtà dei fatti.
Hai sempre combinato cosi tanti guai Jade, hai portato problemi di ogni tipo in questa casa senza mai scusarti, non hai mai osato guardarti indietro per vedere gli effetti del tuo passaggio." 
"Chi si ferma per guardasi indietro è perduto papà, non si può vivere facendo sempre felici gli altri e non pensando mai a se stessi."
"Tu però hai sempre pensato solo a te stessa."
"E se tornassi indietro lo farei ancora."
Dire la verità non mi spaventava, ma non volevo pensare a ciò che avrebbe potuto causare la mia incapacità di tenere a freno la lingua.
Mio padre sospirò pesantemente e iniziò a massaggiarsi le tempie con una mano, totalmente esasperato dalla mia mancanza di empatia e comprensione.
"A me dispiace davvero tutto questo, Jade.
Non pensare che non mi importi."
"Sicuramente il mio pensiero non è infondato."
Mi alzai in piedi dirigendomi verso la finestra alle spalle del divano principale.
Il solo stava per scomparire dietro le nuvole, segno che il tempo a mia disposizione stava per scadere, a breve sarebbe rientrata mia madre e non avrebbe assolutamente dovuto trovarmi lì.
Così decisi di semplificare il gioco, per sbrigarmi ed essere fuori da quella casa il più velocemente possibile.
"Mi avete abbandonato a me stessa senza farvi tanti problemi, l'avete fatto nel momento in cui io avevo più bisogno di aiuto. Che razza di genitore oserebbe mai fare una cosa del genere? Ti aiuto io dato che evidentemente non capisci, uno a cui non importa niente della persona che gli sta davanti.
Non voglio scuse, non mi servono, non me ne faccio niente, chiedo solo che rispettiate la vostra decisione.
Tu hai deciso di appoggiare la mamma in tutto questo, mi hai voltato le spalle senza tanti scrupoli e ora che senti i sensi di colpa mangiarti vieni a cercarmi? Forse qua l'egoista non sono solo io, papà."
L'uomo provò a rispondermi ma lo bloccai prima che potesse dire una sola parola.
Ormai ero una ruota libera, solo un muro avrebbe potuto fermarmi.
"Nella vita bisogna sapersi prendere le responsabilità delle proprie azioni, me l'ha ricordato anche tua moglie l'ultima volta che ci siamo viste, ed io credo di avere davanti una persona che non ha ancora imparato a farlo.
Stai mettendo in mezzo questioni passate per giustificare ciò che mi hai fatto, quando tu sei sempre stato il primo a dirmi di godermi la mia età, di fare delle cazzate perché se no poi avrei avuto dei rimorsi da adulta.
Mi hai sempre spinto a seguire il mio cuore anche se andava contro quello che era il tuo pensiero, e per questo ti ringrazio.
Custodisco i tuoi insegnamenti e le tue parole costruttive nel mio cuore, ma da adesso in poi possiamo dividere le nostre strade.
Voi non volete accettare che la mia condizione sia anche causa vostra, io non voglio nella mia vita pesi morti, ne ho già abbastanza.
Avete preferito fingere di non vedere quando vi siete resi conto che stavo iniziando a zoppicare, adesso non facciamo i finti buonisti dicendo che non è così."
Gli occhi color smeraldo di mio padre mi guardavano famelici, cercavano di cogliere quanti più dettagli possibili della mia figura, consci del fatto che non avrebbero più avuto la possibilità di vedermi.
Si riempirono di lacrime ad un certo punto, le iridi di mio padre, ma non me ne curai, continuai a parlare, continuai a svuotarmi.
"Io ho fatto i miei errori, non potrei mai dire il contrario ne voglio rinnegare ciò che ero e sono tutt'oggi.
Io ho fallito come persona, non c'è dubbio, ma voi avete fatto altrettanto.
Non siete stati in grado di adempiere al vostro compito, non vi siete resi conto che la sofferenza che avete patito voi io l'ho sentita il triplo.
Quella notte voi avete perso un figlio, ma io ho perso un fratello ed entrambi i miei genitori.
Voi vi avevate reciprocamente, vi facevate forza a vicenda, io sono stata esclusa e mi sono fatta forza da sola.
Che non ci sia riuscita è ovvio, basta guardare dove sono oggi, ma la colpa non è solo mia.
Sono convinta che se voi mi aveste aiutato, se mi foste stati vicino in questi anni, adesso non saremmo qui a fare questa conversazione."
Ci guardammo intensamente per minuti che parvero anni, e ogni nostra occhiata era carica di quelle parole che non avremmo mai avuto il coraggio di dire, che sarebbe per sempre rimaste nel silenzio dei nostri occhi, nel suono dei nostri respiri.
"Abbiamo tutti le nostre colpe."
Rimasi stupida da quella affermazione, tutto mi aspettavo tranne un'ammissione di colpa.
"Sono contenta che tu l'abbia capito."
"Non c'è bisogno di tagliare ogni ponte, possiamo ricominciare, insieme."
Per la prima volta in quella giornata percepì la paura nelle parole di Micheal Vause, l'uomo composto stava lasciando spazio al padre che aveva già perso un figlio ed era terrorizzato all'idea di perderne definitivamente un altro.
"Magari un giorno, quando nella mia vita sarà tornato tutto al posto giusto.
Ma per adesso devo realmente pensare solo a me stessa, non ho tempo per nient'altro, ho una partita da vincere."
Sorrise con malinconia mio padre nell'ombra del salotto di casa sua, colpito dalla consapevolezza di aver perso l'unica figlia che gli restava e di aver fallito.
A nessuno piaceva perdere, ma a noi Vause ancor meno.
"Spero che tu ci riesca, e spero che quando tutto questo sarà finito tornerai da me."
Il suono di una chiava girare la serratura mi fece gelare il sangue nelle vene, pregai mentalmente ogni entità possibile che non fosse chi pensavo io, ma ovviamente non poteva essere altrimenti.
Mia madre si bloccò sulla soglia della porta non appena mi vide, la sua bocca resa rossa dal suo amato Chanel assunse la forma di una 'o', un espressione sorpresa troneggiava sul suo viso.
Solo sorpresa, nient'altro che questo.
"Che ci fai tu qui?" mi chiese ad un certo punto, dirigendosi verso l'attaccapanni e liberandosi dal suo ingombrante cappotto invernale.
Misi su la faccia più indifferente possibile e ficcai le mani fredde nelle tasche della mia felpa.
"Niente, stavamo giusto andando via."
"E tu saresti?"
Ricordai solo in quel momento come ero arrivata lì e di non essere sola.
L'espressione di mia madre nel vedere Aiden prendermi per mano e tirarmi verso la porta d'ingresso quasi non mi fece cadere per terra dal ridere, era davvero tutta un programma quella donna.
"È stato un piacere, buona serata!" gridò Aiden aprendo la porta di legno e catapultandosi fuori dalla villa alla velocità della luce.
L'ultima cosa che sentì prima che questa si chiudesse alle nostre spalle fu la voce di mio padre carica di sicurezza.
"Guarda che io ti aspetto Jade!"


***

Il viaggio di ritorno in macchina fu stranamente silenzioso.
Io ero completamente divorata dai miei pensieri più intimi, dai rimorsi del passato che tornavano a bussare alla mia porta, dal timore di aver sbagliato qualcosa e dai sensi di colpa.
Se avessi avuto possibilità di scelta non avrei ferito nessuno, ma a volte questa chance non ci viene data e dobbiamo prendere le cose come vengono.
Speravo che, un giorno, sarei riuscita davvero a sistemare tutto ciò che era fuori posto da troppo tempo nella mia vita, ritrovare un ordine mentale in grado di conferirmi un'innata calma che non avevo mai neanche sfiorato.
Mi sarebbe piaciuto ricominciare da zero, tenendo come ricordo del passato soltanto le cicatrici che ricoprivano tutto il mio corpo, dentro e fuori.
Sarebbe stato altrettanto bello però tornare indietro, evitare certe strade e guardare per terra prima di fare un passo, scorgere le buche da lontano e cercare di non calpestare i piedi delle persone sbagliate.
Intraprendere una strada diversa da quella che ormai da anni percorrevo, per fare del bene a me stessa e a chi mi stava intorno.
Magari se fossi stata in grado di scegliere avrei avuto ancora mio fratello con me, una famiglia unita al limite del possibile e un futuro degno.
Invece non avevo niente, solo un pugno di mosche, la testa stracolma di ansie e paranoie e uno zaino pieno di siringhe.
"È andata."
La voce di Aiden mi parve lontana anni luce da quella che era la realtà, non sentivo niente e non vedevo nulla, percepivo solo un forte senso di vuoto allo stomaco che si propagandava nelle viscere.
Spesso mi ritrovavo a pensare che non provare niente fosse nettamente superiore a quell' inevitabile senso di nulla, ero portata a desiderare l'apatia, a bramarla come acqua fresca su una ferita che divampa, la sognavo e non vedevo l'ora di raggiungerla.
Altre volte, invece, ero totalmente terrorizzata al pensiero di perdere ogni stato d'animo che mi era ancora concesso, immobilizzata all'idea che mi sarebbe stata tolta l'ultima cosa che mi ricordava di essere ancora viva.
Era un continuo conflitto, una continua indecisione, mi convincevo di avere ancora facoltà di scelta, quando in realtà tutto in me e attorno a me accadeva senza che io me ne rendessi conto, senza che io acconsentissi o meno.
Quello che io volevo, che preferivo e ritenevo più giusto ormai non contava più niente, ormai non ero più io a decidere.
Ero un burattino, un inutile pezzo di stoffa tra le mani della mia dipendenza.
L'avevo voluto io e adesso mi toccava davvero accettare ogni conseguenza.
Forse mio padre aveva ragione, forse l'unica cosa che ero in grado di portare erano guai, non bisognava avvicinarsi a me, ero una bimba pronta ad esplodere da un momento all'altro.
Un uragano che travolge tutti senza chiedere scusa, senza preoccuparsi della devastazione che si lascia alle spalle.
Aveva ragione Micheal Vause ed io non potevo più negarlo, ma un giorno le cose sarebbero cambiate.

RedenzioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora