Capitolo 21

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Quando apro gli occhi le lancette dell'orologio sul muro di fronte a me segnano le tre e trenta.

Cavolo ho dormito un'infinità.

Mi alzo pigramente dal divano e mi dirigo verso la cucina, dove sento il rumore di mia madre che spadella qualcosa ai fornelli.

"Finalmente ti sei svegliata! Chi è Alberto?"

Solo a sentire il suo nome si riapre il buco nero nello stomaco, questa volta sono in piedi quindi mi aggrappo velocemente a una sedia per non cadere.

"Tu cosa ne sai di Alberto?"

"È tutta la mattina che chiamano a rotazione Stella, Marco, Margherita e Caterina, che avrà chiamato almeno cinque volte. Mi dicono tutte che c'è questo Alberto che ti cerca disperatamente e loro non sanno cosa dirgli. Hai il cellulare spento, quindi hanno pensato che potevi essere qui; dicono che lo stai facendo andare fuori di cervello."

Ho la salivazione azzerata, ho bisogno d'acqua. Possibilmente di una vasca intera, magari mi ci affogo, sarebbe meglio.

"Lo sai che non m'impiccio mai, che rispetto il tuo modo di vivere e di vedere la vita; non posso però fare a meno di notare una piccolissima connessione tra le domande che mi facevi stamani e la situazione che mi hanno raccontato le ragazze. Mi sbaglio?"

Ho la saliva sempre a zero, quindi scuoto la testa.

"Allora se non mi sbaglio c'è veramente bisogno che ti spieghi un paio di cose perché, tesoro mio, mi sa proprio che non hai capito nulla della vita."

Mi prende per mano, mi mette seduta su una sedia e lei si siede davanti a me, guardandomi negli occhi.

"Ti ho sempre reputato una persona molto matura e intelligente, Cassandra. Forse il mio errore è stato darti troppa libertà, ma l'ho fatto solo perché credevo che, così facendo, saresti diventata più forte e coraggiosa e avresti imparato dai tuoi errori. Invece guarda che ho fatto, sei diventata una donna che ha paura perfino della sua stessa ombra! Soffrire fa parte di tutte le cose, non puoi vivere evitando la sofferenza, vivresti solo a metà. Se ne vale la veramente la pena, le gioie che si ottengono cancellano anche tutti i dolori che comportano."
"Ma come fai a capire se ne vale la pena? Come fai a esserne sicura?"

"Non c'è modo di saperlo, devi rischiare. Ma dov'è il problema? Sei giovane, sei bella e hai tutta la vita davanti. Se domani, Dio non voglia, ti succedesse qualcosa, potresti dire di avere vissuto intensamente? No tesoro mio, hai vissuto protetta dal tuo piccolo guscio e non hai mai rischiato di farti male; chissà quante cose belle ti sei già persa! Non puoi sempre camminare amore mio, ogni tanto bisogna anche correre: se cadrai ti rialzerai e non avrai più paura di cadere. Non credi che sia il caso di cominciare a rischiare?"

Non può essere, non sta parlando di me.

Io sono una persona libera, ho sempre fatto quello che ho voluto senza complicazioni e senza farmi male: ecco sono libera ma prudente.

Mentre cerco inutilmente di confutare la versione di me che ha dato mia madre, una domanda che mi ha sempre spaventato si insinua nella mia mente: sono veramente libera? Può una persona essere prigioniera di se stessa?

Piano piano mi rendo conto che l'unica vera e incontrovertibile prigione nella quale sono stata rinchiusa è quella che mi sono fatta da sola, mattoncino per mattonicino.

Durante la mia vita non ho fatto altro che scappare da tutto e da tutti, vivendo al sicuro attraverso la vita degli altri.

"Non lo so mamma, è un po' troppo presto. Ci conosciamo da così poco..." 
"Poco, tanto, il tempo è assolutamente relativo tesoro. Lo sai quanto siamo stati insieme io e papà prima di sposarci? Dieci anni. Secondo la tua teoria le probabilità di fallire un matrimonio erano pochissime e invece ta-da! Le persone non si conoscono mai abbastanza. Forse è più corretto dire che le persone cambiano, non sempre nello stesso modo. Quindi devi rischiare e se va male pazienza, sarà per la prossima volta, ma gli errori che hai fatto non li ripeterai più."

Forse per la prima volta da quando ero piccola la vedo con altri occhi: ho sempre pensato di dovermi prendere io cura di lei e invece lei è quella veramente libera e felice, non io.

Santa mamma.

Un sorriso mi spunta finalmente sulle labbra.

"Adesso per favore accendi il cellulare e chiama questo poveretto. Poi vai subito a casa e risolvi la situazione."

Mi da un bacio sulla fronte passandomi la borsa.

Nell'esatto momento in cui prende la linea, il mio telefono comincia a impazzire, non riesco a farlo smettere di suonare: chiamate e messaggi da Alberto, dalle ragazze e perfino da Luti: ho scatenato un putiferio.

Non ho il coraggio di chiamare Alberto, quindi gli mando un messaggio: "SCUSA SE TI HO FATTO PREOCCUPARE, ERO DA MIA MADRE E MI SONO ADDORMENTATA. STO VENENDO A CASA, CI VEDIAMO LÌ".

Bacio mia mamma e la abbraccio forte, sperando che le arrivi tutto il bene che le voglio, la saluto ringraziandola, spaventata ma ansiosa di affrontare quello che mi aspetta, una volta arrivata a casa.

Monto in macchina e mi avvio verso il mio appartamento, con le idee non ancora ben chiare su cosa gli dirò e su come risolverò questa imbarazzantissima situazione.

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