lei

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Il silenzio regnava tra le quattro pareti rosa. Un rosa pallido che in quel momento era invisibile, un tutt'uno con l'oscurità.

Le tenebre erano calate da alcune ore su quel piccolo paese italico e l'afa stagnante del pomeriggio aveva ceduto il posto ad una brezza leggera, che rinfrescò d'un tratto l'asfalto fumante. Una leggera frescura che invitava al riposo dopo l'asfissiante calore pomeridiano.

Anche nei luoghi più ombrosi, durante le ore diurne, l'aria rovente ti infiammava i polmoni.

I pochi aliti di vento ti graffiavano la pelle e irritavano gli occhi tanto erano carichi di polvere.

In fondo ogni estate ogni giorno era tale in quel paesino separato dal mondo.

Camminando sul selciato delle vie sentivi l'eco dei tuoi passi riecheggiare e perdersi nel silenzio, tra persiane chiuse e porte sprangate che bloccavano fuori i pellegrini, insieme ai roventi e abbaglianti raggi del sole.

La sera, quelle rare volte in cui si alzava la brezza, ti abbandonavi al sonno, cercando di esporre ogni singolo lembo di pelle a quell'esile e sospirato filo d'aria che soffiava dall' Ovest.

Adeline, gettate a terra le lenzuola, stava stravaccata sul letto di quella spoglia camera d'albergo da quattro soldi.

I suoi pensieri correvano a briglia sciolta in quel primo momento di solitudine, senza confini in quell'insondabile oscurità.

Non sapeva quale sarebbe stata la reazione dei genitori la settimana seguente quando, all'aeroporto, avrebbero visto scendere Armando, Adriano, Alice, tutta la sua classe ma non lei.

Con uno stratagemma era riuscita a convincere i suoi genitori a non accompagnarla a scuola quel giorno, adducendo come scusante che non voleva farsi vedere in lacrime dalle amiche e poi, con maggior fatica, a non chiamarla durante quella settimana di gita all'estero.

Ma la busta dei soldi per il biglietto aereo e le spese d'alloggio non era mai arrivata nelle mani del prof di storia dell' Arte e lei, quella mattina, davanti al cancello della scuola non ci era neanche passata.

Si rizzò d'un tratto a sedere, smarrita e confusa.

Nel vuoto intorno a lei pensò al medesimo vuoto che forse avrebbe provato sua madre, al senso di impotenza che suo malgrado avrebbe vissuto suo padre. Lui, che voleva sempre avere tutto sotto controllo, che credeva di conoscere anche i più reconditi pensieri della figlia.

Con un brivido che non dipendeva dal freddo Adeline si rimise giù, cercando a tentoni, nel buio, un capo del lenzuolo che aveva scalciato via.

Cercava di frenare le lacrime che premevano insistenti contro le palpebre e con una mano si massaggiava ritmicamente le tempie, cercando al contempo di rigettare nel subconscio l'immagine del volto angosciato della madre, delle sue mani tremanti per l'ansia di una settimana senza sua figlia. Una settimana che non sapeva si sarebbe protesa al "per sempre".

Non voleva pensarci, e comunque non le venivano in mente altri modi con i quali avrebbe potuto nascondere il suo segreto.

Un segreto che non avrebbero tardato a scoprire se fosse rimasta.

Una felicità che loro non avrebbero condiviso nel loro rigido sottostare alle regole, uno sconsiderato gesto d'amore che sarebbe stato degradato al ruolo di disonore.

Quanto tempo ancora sarebbe trascorso prima che sua mamma si accorgesse che gli assorbenti gettati via erano solamente i suoi da ormai tre mesi?

E la scusa della "dieta", o del cibo probabilmente scaduto che la faceva ancora correre al bagno in preda alla nausea...

Si meravigliava che i suoi ci fossero cascati così facilmente e a lungo.

Un sorriso le incurvò amaramente gli angoli della bocca.

Forse sarebbe stata la sola ad amare quella cosa senza nome che inarrestabile le cresceva in grembo...

Avevano organizzato ogni cosa con la massima cura possibile.

«Mamma, vado a dormire da Estelle»

«Mà, Nat ha chiesto se posso andare a dormire da lui»

Lei dalla sua migliore amica, lui dal suo migliore amico.

Estelle e Nathanael attaccati ai telefoni per perpetuare l'inganno, nel caso i genitori degli amici avessero chiamato.

Adeline correva avvolta nel cappotto mentre il fiato le usciva a sbuffi dalle labbra semiaperte, condensandosi nell'aria gelida di quella cristallina serata invernale a Parigi.

La sua fervida immaginazione correva assieme a lei, più veloce e più in alto, ancor più luminosa della luna perfetta che rifulgeva nel cielo sopra di lei.

Sognava entusiasta e impaurita ciò che avrebbe vissuto.

Fu la notte più lunga della sua vita, il suo animo diviso tra la passione e l'ancestrale timore di essere scoperta; le promesse di amore eterno indelebili nella sua mente, un giuramento ad avvolgerle il cuore e l'anulare.

Tornando a casa dai suoi, la mattina seguente, la sua psiche rimase sospesa nel sogno della notte appena trascorsa.

I mattutini raggi del sole straordinariamente simili ai baci sul suo collo, sul ventre, sulle braccia.

Bastarono tre parole per infrangere la bolla di sapone in cui fluttuava:

«Traslochiamo Adeline, domani!»

L'eternità giurata troppo finita per sopportare un intero oceano, troppo condizionata dal tempo per accettare l'incertezza del futuro.

L'argento, vile separato dal sentimento, privato di ogni ragione d'essere. Lei, sofferente, in rotta verso l'Italia, a Oderzo, una sconosciuta cittadina veneta.

I ricordi smisero di imporlesi impetuosi, le emozioni di uscire invadenti dall'inconscio.

Cominciarono a rallentare, vennero educate dalla razionalità, d'un tratto sempre più simili al dolce sentimento di una madre.

Le esili dita, nude, sfiorarono istintivamente il ventre ancora piatto.

Gli occhi d'ambra si chiusero nel giovane volto di quella futura madre addormentata.

Il sogno intento a mostrarle colui che un giorno sarebbe stato suo figlio.

Diario di un sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora