Capitolo 1

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Nella vita di un adolescente le cose importantissime sono tre:

Parlare correttamente almeno la propria lingua.

Avere una fidanzata che ami disperatamente.

Essere sempre felice del momento presente.

Io sono Edoardo D'Angelo, ed ero migliore amico di una ragazza che non sapeva mettere due congiuntivi in fila, ero single da quando avevo quattordici anni... e mi stavo incazzando!

Sbuffai esasperato, gli occhi bruciavano a causa del sudore che continuava a scorrermi copioso sulla fronte. Ero stanchissimo, rincalzavo quella fila di patate dietro casa da almeno venti minuti, nei quali ne avevo concluso solo una piccola parte. La frangia continuava a rallentarmi il lavoro cadendomi sugli occhi. Dovevo ammetterlo, ero stato masochista a rifiutarmi di tagliare quel ciuffo per puro spirito di ribellione, un particolare del mio proprio io, questo, che tendevo a nascondere, abituato com'ero a mostrarmi docile e rispettoso. Questo però era accaduto in inverno, quando il calore del sole estivo era un problema ancora lontano. Mi arrestai in mezzo alla fila, la zappa tenuta ferma da un piede e appoggiata alla spalla sinistra. Mi avvolsi la maglia intorno al capo, a mo di beduino del deserto, e ripresi a zappare. Avrei voluto essere in qualsiasi altro posto oppure che fosse già sera, al crepuscolo. Oggi è Sabato, domani Domenica...sveglia tardi e riposo assoluto, domani... Per fortuna in quel momento nell'orto ero solo e potevo lavorare con tutta calma, non c'era nessuno a mettermi fretta. Mio padre stava tagliando l'erba del prato davanti casa, e, sicuramente, fanatico del lavoro quale era, avrebbe anche aggiustato la grondaia e chissà cos'altro; mamma e Margherita erano in casa, al fresco. Non doveva mancare molto all'ora della merenda, di solito era Marghe a portarla.

«Edoardo!»

Un grido mi distolse subitaneamente dalle mie elucubrazioni. Lei era sulla strada, con limonata e bicchieri in mano, ferma. La guardai confuso, poi mi avviai rassegnato verso di lei.

«Mi sembra giusto, devo venire a prendermela...»

«Dai che ho le ciabatte, tu almeno sei già sporco»

Con una smorfia esasperata la raggiunsi, mi feci versare da bere e le ridiedi il

bicchiere.

Purtroppo Margherita era l'unica con cui andassi abbastanza d'accordo.

Ero convinto che mia madre soffrisse di ansia patologica, con una lieve percentuale di manie di protagonismo, mentre mio padre di manie del controllo.Fra l'altro nel quartiere in cui stavo la privacy era un'utopia: era impossibile che i miei genitori non sapessero dove e cosa avessi fatto e con chi, con conseguente apprensione e invadenza, soprattutto materna.

A volte mi sentivo estraneo, non possedevo la praticità di mio padre ne tantomeno il complicarsi la vita di mia madre, fortunatamente.

Forse somigliavo leggermente a mia sorella, intellettualoide, però meno intelligente e più istintivo e socievole. Non che questo mi dispiacesse, dopotutto preferivo occupare il mio tempo libero a leggere libri e relazionarmi col mondo, invece che cercare disperatamente una mansione da svolgere o una stanza da riordinare.

L'unico luogo dove mi sentissi più o meno libero di comportarmi con quasi assoluta naturalezza era in classe, coi miei compagni: Isa e Ismaele, che erano fratelli e con cui parlavo un po di più, Daniel, Camilla...

Ritornai al presente, alla freschezza della limonata e all'affetto che tutto sommato provavo per mia sorella, ritornai con sguardo desolato al resto del lavoro che mi attendeva.

Solo un'ora, ancora un'ora e ho finito!

Affranto ripresi la zappa, mentre il motore del decespugliatore di papà, che udivo instancabile da almeno due ore, continuava a ruggire.

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