Intro - The xx
Mi stropiccio gli occhi e cerco di strozzare uno sbadiglio imminente, mentre mi tolgo la divisa e la ripongo ordinatamente dentro il mio armadietto.
È stata una giornata particolarmente stressante e ho capito il motivo per cui il dottor Styles mi ha detto che il caffè mi sarebbe stato d'aiuto. Il mio turno si sarebbe dovuto concludere alle quattro del pomeriggio, invece fuori è già buio. Guardo l'orologio che porto al polso: segna le undici e un quarto. È notte inoltrata.
Prendo la borsa e mi maledico mentalmente per aver dimenticato il cellulare nel mio appartamento. Non ho la fissazione di portarlo sempre dietro, ma è anche vero che devo fare la strada al buio, da sola. Per quanto io sia abituata a girare senza alcuna compagnia per le strade di Boston, non mi è mai capitato di farlo a notte fonda.
Questa è la dimostrazione del fatto che dovrei seriamente prendere un'auto. Devo affrontare dei turni notturni ed è impensabile che gironzoli da sola così tardi. Non ho quello che si dice "un cuor di leone", quindi l'idea precedente riesce ad agitarmi.
Potrei telefonare a Cindy, ma sono quasi certa che stia già dormendo. Se, invece, telefonassi a mia madre, si preoccuperebbe senza un motivo preciso e non ho voglia di assorbire le sue lamentele. È una donna che, tendenzialmente, si preoccupa in modo esagerato per tutto, e non mi va di dirle che devo tornare a casa a piedi, in piena notte.
Anziché dirigermi verso l'uscita principale, decido di passare prima al Pronto Soccorso, perché voglio avere la certezza che sia tutto in ordine. Quando esco dall'ascensore, per mia fortuna, trovo un ambiente più pacato rispetto a qualche ora fa.
Stella è stata dimessa in tardo pomeriggio perché le analisi hanno confermato la gravidanza; il dottor Styles le ha dato alcune dritte e le ha fissato un appuntamento con il ginecologo dell'ospedale per la settimana prossima. La ragazza ha voluto che fosse proprio il dottor Styles a comunicare la notizia anche alla madre che, con grande stupore di tutti, non ha reagito troppo male.
Esco dall'uscita secondaria, quella appunto del Pronto Soccorso, e respiro a pieni polmoni l'aria fresca della notte. La temperatura è calata, ma comunque gradevole. Non fa troppo freddo, ma mi stringo ugualmente al cardigan blu scuro che indosso.
Mi guardo intorno: sono poche le persone che passeggiano tranquille per i marciapiedi, e svariate sono le macchine che sfrecciano indisturbate per le strade. Sistemo meglio la borsetta a tracolla che ho e mi incammino verso casa. Per raggiungerla, devo prima aggirare l'edificio ospedaliero, poi proseguire per alcuni isolati verso il centro della città.
Boston mi piace. Sono cresciuta in una frazione lontana poco meno di venti minuti di automobile, ma la zona in cui vivo ora è più pratica per gli spostamenti.
Ho in progetto di comprare una casa tutta mia e sto nuovamente mettendo da parte quanti più soldi possibili per poter esaudire il mio desiderio.
Quando arrivo davanti all'entrata principale dell'ospedale, vedo con la coda dell'occhio una sagoma avanzare verso il marciapiede. Non mi fermo e proseguo a camminare.
«Cooper.»
Riconosco immediatamente la voce, ormai inconfondibile.
Prendo un profondo respiro e mi volto. Come immaginavo, il dottor Styles è proprio davanti a me. Non indossa più il camice; ha un paio di jeans scuri e una camicia nera a maniche lunghe. Questo abbigliamento lo avvolge di un'aria più giovanile e meno severa.