Teardrop - Massive Attack
«Tesoro, hai preso tutto?» chiede mia madre, mentre cammina a passo svelto.
«Sì, mamma, ho tutto». Scatta il verde per i pedoni e le faccio cenno di proseguire.
Lei sembra più nervosa di me. Ha insistito tanto per accompagnarmi al mio primo giorno di lavoro e, anche se un po' riluttante, ho dovuto accettare. Non mi dispiace averla al mio fianco, ma sapevo già dal principio che mi avrebbe trasmesso la sua agitazione. Così, mentre ci dirigiamo verso l'ospedale, inizio a mordicchiarmi le unghie. Sono tesa come una corda di violino e mi infastidiscono perfino i rumori delle auto che sfrecciano per le strade di Boston, questa mattina. Forse, se non avessi esagerato con il caffè qualche ora fa, ora sarei meno agitata.
«Il telefono? Lo hai preso?» continua, facendomi alzare gli occhi al cielo.
«Sì, mamma», inizio per bloccarmi subito. «No, maledizione, l'ho dimenticato a casa!» ammetto.
Mi sono svegliata in ritardo a causa della mia coinquilina — nonché migliore amica — che, ieri sera, ha avuto la brillante idea di tornare a casa ubriaca, costringendomi a tenerle i capelli mentre vomitava perfino l'anima dentro il water. Ho dormito a malapena quattro ore e, di conseguenza, non ho sentito le prime due sveglie che avevo impostato sul telefono. Senza contare che mia madre è piombata nel mio appartamento e mi ha messo fretta, facendomi così dimenticare di prendere alcune cose.
Frugo distrattamente nella borsa, continuando a camminare a passo svelto; trovo le chiavi del mio appartamento e lascio andare un sospiro di sollievo. Almeno quelle...
«E come dovrei fare per contattarti?» sbotta lei.
Smetto di camminare e mi volto verso di lei per guardarla. I suoi occhi scuri, così simili ai miei, mi stanno letteralmente fulminando. Oggi ha i capelli raccolti in uno chignon, una cosa più unica che rara, dato che li tiene quasi sempre sciolti.
«Mamma, stai calma. Non potrò comunque usare il cellulare, lo sai. Ti chiamerò quando tornerò a casa.»
«Sai già a che ora stacchi?» chiede, riprendendo a camminare.
«Il mio turno dovrebbe finire verso le tre del pomeriggio.»
Guardo l'orologio che porto al polso e mi rendo conto di avere a malapena dieci minuti di tempo. Devo necessariamente darmi una mossa.
«Più veloce, mamma», la incito, allungando il passo.
«Tesoro, tu hai venticinque anni. Io ne ho più del doppio. Non mi chiedere di correre!» esclama.
Pronta a risponderle, vedo l'imponente edificio e lascio perdere. "Massachusetts General Hospital", cita la scritta.
Sorrido. «Eccolo», dico in un sospiro.
Non riesco ancora a credere che il mio sogno si sia avverato. Ho sempre desiderato lavorare in ospedale ma, dopo la laurea, sono stata assunta in una clinica privata. Due settimane fa, invece, la fortuna ha girato a mio favore e sono riuscita a ottenere un posto in uno dei migliori ospedali dello Stato. Uno dei più antichi, oltretutto.
«Sono nervosa per te», ammette mia madre. «Vuoi che ti accompagni dentro?»
Scuoto la testa. «No. Posso farcela da sola. Grazie lo stesso», rispondo, abbozzando un sorriso.