Doce.

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Emily’s point of view.
Quella mattina ebbi un crollo in tutti i sensi.
Mi svegliai presto, sentivo appena il canto degli uccellini fuori dalla finestra della mia camera.
Paco era steso come al solito ai miei piedi e, forse per la prima volta, Álvaro era girato dalla parte opposta alla mia.
Mi alzai lentamente dal letto vestendomi in fretta e furia andando anche in bagno.
Le lacrime continuavano a solcarmi il volto mentre tentavo di smettere di piangere e continuavo a vestirmi e lavarmi in fretta.
Tornai in camera e accarezzai appena i capelli del mio ragazzo che dormiva beato.
Presi il guinzaglio di Paco attaccato alla porta e non appena lui sentì il tintinnio delle chiavi, mi corse incontro.
Cercai di legarlo il più correttamente possibile per poi uscire velocemente di casa.
Stavo scappando dai miei problemi, dalla paura, dal mio ragazzo, dalla mia vita stessa.
Avevo paura di vivere in quel modo, volevo che tutto finisse ma allo stesso tempo mi ripetevo di abituarmi a tutto quello che stavo passando perché nessuno sarebbe mai riuscito a curarmi.
Io e Paco camminavamo già da un po’ per le strade di Torino, avevo già sentito passare tram e autobus sulle strada e Paco mi guidava tranquillamente facendomi evitare ogni ostacolo.
Sentii il mio cucciolo fermarsi all’improvviso ed annusare qualcosa davanti a sé, probabilmente una persona.
“Che succede?” chiesi, probabilmente anche a nessuno davanti a me.
“Ti sei persa?” mi chiese la voce di una donna toccandomi anche una spalla.
Io mi spaventai e mi ritrassi subito quasi con un salto.
“No, no, va tutto bene.” risposi prima che mi dicesse altro o che, ancora peggio, chiamasse Álvaro per farmi venire a prendere “Solo una cosa...mi può dire che ore sono?” chiesi.
“Sono le nove meno dieci.” rispose la signora e sentii il sorriso tra le sue labbra.
“Grazie...” risposi a mia volta per poi ricominciare a camminare tra la gente con Paco che mi guidava.
Sentivo il cellulare suonare dentro la borsa ma non volevo assolutamente rispondere, sapevo già che cosa mi attendeva in tutto quello.
Mentre continuavo a camminare per la città, sentivo Paco insicuro al guinzaglio, forse non capiva dove doveva andare e all’improvviso si mise seduto a terra iniziando a lamentarsi.
Mi agitai anche io dato che lui non voleva più muoversi e iniziavo a capire di aver fatto la cosa sbagliata.
Mi sentii prendere per un polso all’improvviso e mi spaventai a morte, la stretta della mano attorno al polso era strettissima.
Paco non abbaiava e non reagiva e mentre io mi dimenavo, sentii anche l’altra mano far pressione sul mio braccio, così capii che quella stretta era quella che avevo sempre amato e che sempre mi aveva protetto.
“Álvaro...” dissi appena ma lui non mi rivolse parola.
Prese Paco per il guinzaglio e guidò entrambi fino alla macchina poco lontana da lì.
Ogni tanto tentavo di appoggiarmi a lui per cercare conforto ma lo sentivo freddo, distaccato; era profondamente arrabbiato con me.
Salii in macchina con già le lacrime che mi solcavano il viso e per tutto il viaggio verso casa, il silenzio era l’unica cosa certa del nostro rapporto.
Non appena arrivammo, mi slacciai la cintura di sicurezza e scesi prendendo Paco per il guinzaglio per poi farmi portare fino alla porta di casa.
Aspettai che Álvaro la aprisse e poi entrai.
Lasciai libero il cagnolino che andò probabilmente a riposarsi e io provai ad avvicinarmi ad Álvaro ma lui non mi volle.
Provai nuovamente ad abbracciarlo da dietro ma lui rimase teso, sentivo i suoi muscoli tesi e il suo respiro non tranquillo.
“Álvaro...” iniziai “Ti prego, scusami...” continuai con un singhiozzo.
“Scusarti?” chiese lui ancora più arrabbiato e scansandosi dal mio abbraccio.
“So che ti ho spaventato, che non  dovevo scappare, che avrei dovuto parlare con te e risolvere ma io...io non ce la faccio più.” dissi piangendo ancora di più e cercando ancora una volta il contatto con lui ma ricevendo soltanto un rifiuto.
“Sei un’irresponsabile.” mi urlò contro dopo qualche secondo di silenzio “Non hai pensato nemmeno per un minuto a me, a quanto potevo essere preoccupato del fatto che mi fossi svegliato solo in casa. Non hai pensato nemmeno per un minuto a me e a tutto ciò che ho fatto per cercarti, a quante volte ti ho chiamata, al fatto che avrei potuto cercarti ovunque e non trovarti più.” continuò.
In tutto questo avevo continuato a piangere e i miei singhiozzi si erano fatti sempre più forti fino a che non mi accasciai a terra mentre sentivo le zampette di Paco accorrere, lui aveva sentito tutto.
Iniziò ad annusarmi mentre mi tenevo le mani sul volto, mi leccò anche le mani come a farmele spostare mentre le urla di Álvaro continuavano a risuonare nella mia mente e a rimbalzare nelle pareti del corridoio e del salotto.
“Sei un’incosciente.” ricominciò “Tu non hai ancora capito il problema che hai, non puoi ancora fare tutto da sola né tantomeno scappare di casa così, come se fosse una cosa normale.”
“Basta!” urlai io in preda alle lacrime “Gli sbagli possono essere fatti da tutti!” continuai ancora.
“Se volevi lasciare casa e anche me, bastava dirmelo in faccia.” disse ancora con un tono molto arrabbiato.
Non risposi a quella provocazione, la verità era che non volevo lasciare né la mia casa né lui.
La verità era che lui era tutta la mia vita e solo lui poteva risollevarmi e salvarmi da tutto quello che mi stava capitando.
Continuai a piangere accasciata al pavimento e mentre il mio ragazzo continuava a dirmene di tutti i colori, potevo sentire il mio cagnolino ringhiargli contro, come a proteggermi.
Trovai la forza di alzarmi qualche minuto dopo e di camminare a passo svelto lungo il corridoio fino ad arrivare al letto ancora sfatto su cui mi buttai.
Appoggiai il viso al suo cuscino e l’odore della sua pelle misto al profumo che metteva, mi invase e le mie lacrime continuavano a scendere lungo il mio viso mentre continuavo a stringere convulsamente il suo cuscino, come se stessi abbracciando lui.
Il suo abbraccio mi aveva sempre aiutata in ogni momento, mi aveva sempre rialzata e protetta da tutto e tutti ed era l’unica cosa che volevo in quel momento.
L’unica cosa che volevo era lui vicino a me e l’unica cosa che avevo era lui arrabbiato, che mi aveva urlato contro di tutto fino a farmi piangere, fino a farmi perdere quella poca fiducia che avevo riacquistato in me.

You were my eyes when I couldn't see. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora