Dieciocho.

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Álvaro’s point of view.
Il freddo di inizio dicembre iniziava a farsi sentire anche in casa e, per due freddolosi come noi, non sarebbero bastati nemmeno i termosifoni al massimo delle loro possibilità.
Ogni sera ci stringevamo sul divano o, ancora meglio, sotto il piumone del letto, per tenerci caldo a vicenda.
Ogni volta che Emily mi accarezzava le gambe con i suoi piedi gelati, scoppiava a ridere per la mia reazione istintiva di gridare per il freddo.
“Sembri una ragazzina ad un concerto...” mi diceva sempre mentre si avvicinava anche per darmi un bacio.
Quei momenti con lei sarebbero rimasti per sempre nella mia memoria.
Quella sera, però, mi fece una strana richiesta, diversa dal solito che mi stupì molto.
“Ti va di portarmi in giro un po’?” chiese “Mi andrebbe di sentire di nuovo l’aria di Torino, di notte, a dicembre.”
Stavamo ancora sistemando la cucina dopo cena quando me lo chiese e io mi avvicinai a lei appoggiando prima i piatti sporchi nel lavandino.
“Certo, per te tutto.” risposi tenendola per un po’ tra le mie braccia per poi sorriderle anche se non poteva vedermi.
La sentii sospirare mentre appoggiava la fronte alle mie labbra.
Dopo poco rialzò il viso e sembrò guardarmi, per un attimo è stato come rivivere i suoi occhi accesi, ma la magia finì subito quando la vidi chiudere gli occhi e sospirare leggermente.
“Mi baci?” chiese con un filo di voce.
Io non seppi come rispondere se non con un bacio che lei approfondì subito, come se fosse l’unica cosa a tenerla ancora in piedi.
“Grazie, amore.” disse sempre come se si vergognasse di dirlo.
Io la abbracciai ancora poi le dissi di andare in camera a vestirsi mentre io finivo di sistemare la cucina.
Andai a vestirmi anche io dopo qualche minuto e Paco stava facendo la lotta con il nostro piumone e la mia ragazza si stava mettendo il maglione più caldo che aveva.
“Come mai hai deciso di uscire stasera?” chiesi mentre infilavo la felpa nera che, il più delle volte, indossava lei.
“Perché mi andava di passare una serata diversa, tutto qua...”
Non risposi, la abbracciai soltanto per poi andare a prendere il giubbetto e il guinzaglio di Paco.
Uscimmo di casa pochi minuti dopo e lei mi prese la mano come sempre quando camminavamo insieme per le vie di Torino.
“Mi porti ai Cappuccini?” chiese dolcemente in un momento in cui ci eravamo fermati e lei era davanti a me sorridente, con le mani sulle mie guance.
Io annuii e sorrisi lasciandole un dolce bacio sul naso.
Camminammo fino al nostro muretto, quel muretto in cui andavamo sempre ai nostri primi appuntamenti, dove potevamo vedere sempre tutto il panorama di Torino, dove c’erano sempre altre coppie come noi; chi si stava conoscendo, chi si conosceva da una vita e chi smetteva di conoscersi.
Mi sedetti sul famoso muretto e lei si mise a fianco a me, le luci di Torino e la leggera foschia invernale erano davanti a noi.
La Mole campeggiava maestosa su tutta la città come a ricordare a tutti la sua importanza, era lei che comandava.
Emily mi prese la mano appoggiata al muretto tra di noi e si avvicinò leggermente.
“Anche se non posso vedere niente, è sicuramente tutto bellissimo.” disse stringendo per un attimo in più la mia mano, come se volesse farmi capire che non si riferiva solo al panorama che avrebbe dovuto vedere coi suoi occhi.
Quelle luci di quella città che ci stava appartenendo e che ci stava crescendo insieme, avrebbe dovuto vederle anche lei.
Presi il suo viso tra le mani per darle un bacio e rendere unico quel momento ma fummo interrotti dalla risata di una ragazza poco lontana da noi.
Guardai per un attimo lei e il ragazzo che la seguiva ridendo e prendendole, dopo poco, la mano.
“C’è una gelateria qua vicino, ti va un gelato?” chiese il ragazzo.
In quel momento mi ricordai del nostro primo incontro in una calda notte di luglio.
Eravamo alla festa di compleanno di un amico che avevamo in comune ed entrambi ci stavamo annoiando.
Era stata lei a chiedermi di portarla via di lì, la sua spontaneità e la sua semplicità mi avevano letteralmente rapito.
Le sorrisi e uscimmo dal locale iniziando a camminare verso Piazza San Carlo.
“Conosco una gelateria qua vicino, ti offro un gelato...” le dissi, la mia non era una domanda anche se non ero mai stato sicuro del fatto che accettasse.
Lei annuì e io sorrisi prendendole la mano in uno scatto di coraggio.
Non immaginavo nemmeno che, da quel momento, le nostre mani non sarebbero più divise.
“Allora?” chiese lei “Vuoi offrirmi questo gelato o no?” continuò ridendo.
Aveva capito perfettamente a cosa stavo pensando perché quelle esatte parole erano quelle che lei mi aveva detto quella stessa sera, dopo che fummo entrati in gelateria e ci fummo seduti ad un tavolo.
Senza dirle niente, unii le nostre labbra e la baciai dolcemente, erano già passati due anni e mezzo...e pensare che nessuno ci avrebbe dato una lira.
Ci alzammo da quel muretto e camminammo insieme fino alla gelateria mentre Paco si guardava attorno con occhi vispi e felici, ogni volta che lo portavamo in giro era come una botta di vita, gli piaceva esplorare e, alle volte, lasciare “il segno” su qualche albero o su qualche ruota di qualche macchina.
Non appena ci sedemmo in un tavolino fuori dalla gelateria, siccome i cani non potevano entrare, Paco si sedette impettito ai miei piedi e con le orecchie dritte come a voler captare qualsiasi suono, anche lontano.
Ordinai anche le nostre coppe di gelato preferite e rimanemmo seduti lì per un bel po’ mentre mi perdevo a guardare quei suoi lineamenti così semplici e belli e ripensavo a quante cose di lei mi avevano fatto innamorare così tanto.
La voglia di sposarla, di avere una famiglia con lei non era ancora sparita dalla mia mente, anzi era più viva e nitida che mai.
Glielo avrei chiesto anche in quel momento, senza un anello, senza nessun “fronzolo”, a noi non servivano.
Ci bastavamo, ci bastava il nostro amore, i nostri baci e i nostri abbracci.
“Senti...” iniziai io insicuro, ormai quell’idea era arrivata alla mia mente e non potevo reprimerla ancora.
“Dimmi...” disse lei con un sorriso mentre ancora mangiava un po’ del suo gelato alla crema.
“Che ne pensi se...se ci sposassimo?” chiesi tutto d’un fiato “Cioè, non dico ora...dico in futuro, se ti andrebbe di sposarmi, di metter su famiglia...” continuai con imbarazzo nella voce.
La guardai in viso e vidi un sorriso.
Lei spostò la sua mano lungo il tavolo fino a trovare la mia.
“Anche ora.” disse lei stringendomi le dita.
Lo stesso feci io e ad interrompere quel momento magico, fu Paco che con il suo abbaio, ci richiamò all’attenzione.
Cercò di arrampicarsi lungo le mie gambe come a voler salire sul tavolo ma quando gli feci capire che non era una cosa da fare, quasi si mise a piangere.
“Non ti darò il mio gelato, ti fa male...” dissi mentre Emily rideva avendo capito cosa fosse successo.
Restammo lì ancora per un po’, a stringerci la mano e a sorriderci mentre il mio cuore ancora batteva dalla certezza che lei voleva sposarmi e voleva una famiglia insieme.
Stavo vivendo uno dei momenti più belli della mia vita.

Spazio autrice:
Questo capitolo è frutto del lavoro di quasi un mese e, come avete potuto ben leggere, non è un granché.
Gli aggiornamenti non saranno ancora settimanali, vedrò come e quando riuscirò a scrivere.
Spero vi sia piaciuto sia questo capitolo che l'ultima one shot che ho scritto, "Save me."
Se non l'avete ancora letta, mi farebbe piacere se andaste.
Un bacio, Emily.

You were my eyes when I couldn't see. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora