Once.

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Álvaro’s point of view.
Quella mattina non lasciai nemmeno suonare la sveglia, quella notte avevo dormito pochissimo e non mi capitava da molto tempo.
Le ricerche che continuavo a fare per salvare la vita di Emily e la paura che mi scoprisse e mi lasciasse per l’ennesima bugia, mi invadeva ogni giorno.
Avevo stretto Emily per tutte le ore in cui aveva dormito accanto a me.
Ad un certo punto della notte, più o meno verso le quattro, la sentii agitarsi e ovviamente ero sveglissimo.
Sentii le sue parole in maniera non troppo nitida, la sua voce era molto impastata, sentivo solo che chiamava il mio nome.
La strinsi e la calmai in tutti i modi ma non si svegliò e io lacrimavo al vederla soffrire.
Passai le restanti ore a guardarla dormire, a scostarle i capelli e ad accarezzarla.
Lei era il mio tutto ed era come se sentissi di non amarla abbastanza in quel periodo anche se lei mi diceva sempre il contrario.
Quando la svegliai la mattina, lei mi strinse subito. Vidi nella sua espressione, la tristezza e l’agitazione, come se quell’incubo non fosse mai finito.
Mi strinse forte dalle spalle e sospirò.
“Che succede?” chiesi dolcemente mentre le accarezzavo la guancia e continuavo a stringerla.
“Non lo so...penso di aver sognato qualcosa...” rispose mentre si avvicinava ancora a me e mi appoggiava il viso al petto.
La strinsi di più e una lacrima mi solcò il viso mentre lei mi abbracciava sempre di più.
Dopo qualche minuto stretti in quell’abbraccio che non ammetteva brivido di freddo o qualsiasi altro tipo di intrusione se non quella di Paco, lei si stacco da me e mi accarezzò la guancia.
“Posso aiutarti a preparare la colazione?” chiese.
Ero tentato dal dire di no e dal volerla trattare come una principessa ma prima che potessi risponderle, lei mi pregò quasi ridendo.
“E va bene...” risposi baciandole la guancia mentre mi alzavo dal letto.
Infilai i pantaloni del pigiama e la maglia mentre ogni tanto guardavo lei attraverso lo specchio prendere i suoi calzini e infilarli, ormai aveva imparato di nuovo a farlo; la stessa cosa fece con i pantaloni della tuta e la felpa, era molto freddolosa.
Feci il giro del letto e la aiutai ad alzarsi prendendole le mani per poi camminare insieme verso la cucina.
Mentre scaldavo il latte, ogni tanto mi giravo a guardarla mentre apriva gli sportelli delle dispense per prendere i biscotti, i cereali e le tazze.
“Álvaro...” mi chiamò e io mi girai subito sentendo il tono della sua voce sofferente “Non arrivo a prendere le tazze...” disse cercando di arrivare al ripiano in alto.
Non si era nemmeno resa conto di non aver aperto lo sportello giusto e di aver aperto la dispensa della pasta.
“Emi...” la richiamai io, quasi imbarazzato.
Lei si fermò e si girò come a guardarmi pur non riuscendo a vedermi.
“Hai aperto gli sportelli sbagliati...” dissi con più tatto possibile mentre la tenevo per le braccia.
“Ah...” disse lei flebilmente.
Abbassò il viso e quasi si accasciò tra le mie braccia, la sentii singhiozzare flebilmente.
“Ehi, ehi...” sussurrai fermamente per poi alzarle il volto sul mio “Non è nulla, okay?” continuai.
Lui annuì e si ributtò su di me.
"Stai tranquilla amore mio..." iniziai "Imparerai a fare tutto piano piano..."
Le baciai la fronte e poi la feci sedere al suo posto per fare colazione.

"Che farai stamattina?" mi chiese mentre addentava un biscotto.
"Devo pulire..." risposi quasi ridendo all'idea di vedermi pulire casa, non mi era mai piaciuto.
"Tu che pulisci?" rispose lei scoppiando poi a ridere.
"Ma smettila, sono un bravo uomo di casa." risposi fieramente.
"Ti aiuto..." disse lei appoggiando a tentoni la sua mano sulla mia.
Io scossi la testa per poi pronunciare un flebile "no".
"Tu ti riposi..." risposi ancora mentre portavo la sua mano alle mie labbra.
"Ma io..." disse "Non voglio essere inutile." disse convinta.
"Sono cieca, non impedita." disse ancora, quasi arrabbiata.
Era da tanto che non sentivo pronunciare quella parola da lei.
"Amore, non penso che tu sia impedita..." risposi sentendomi in colpa, non era assolutamente ciò che pensavo di lei e della situazione che si era presentata.
"Allora lascia che ti aiuti..." pronunciò flebilmente.
"Va bene..." risposi io.
Alla fine le avevo lasciato da pulire i vetri delle porte e gli specchi bassi, quelli che per pulirli non sarebbe dovuta salire su sedie o scale.
Ogni tanto mi giravo a guardarla e la vedevo tranquilla mentre Paco la controllava ad ogni centimetro che percorreva.
Era seduto sulle zampe posteriori proprio a fianco a lei.
Mi avvicinai a lei e le appoggiai una mano al fianco sinistro.
Le lasciai un bacio sulla guancia e poi appoggiai la mia mano destra alla sua che stava pulendo il vetro con lo straccio.
"Nana..." le sussurrai all'orecchio.
Lei rise e la aiutai a pulire la parte in alto del vetro, dove lei non era arrivata.
Andammo avanti così ancora per un po’ fino a quando Paco non prese il guinzaglio in bocca per portarlo fino a noi e farci capire che era ora di uscire.
Risi al vedere il cucciolo di Golden Retriever scodinzolante ai miei piedi così dissi ad Emily di andare a mettere le scarpe mentre io mettevo il guinzaglio a Paco.
Non appena fummo pronti, uscimmo mano nella mano mentre lei teneva il guinzaglio di Paco che cercava di correre fino a quando il guinzaglio non gli tirava troppo al collo.
Non appena arrivammo al parco per cani più vicino, lo liberammo dal guinzaglio e lui iniziò a scorrazzare libero tra l’erba e qualche altro cagnolino impaurito dalla sua vivacità.
Ci sedemmo sulla panchina mentre il nostro cane continuava a correre e scorrazzare in giro e io ed Emily ne approfittammo per farci un po’ di coccole.
Le misi il braccio attorno al collo e le baciai la guancia mentre lei sorrideva e si appoggiava alla mia spalla.
Paco arrivò di corsa e mi tirò per i pantaloni ma tra i dentini aveva anche un bastone che però gli scivolò.
Risi e mi alzai in piedi per tirargli il bastone che aveva racimolato mentre la mia ragazza rimaneva seduta.
Paco corse incontro al bastone e poi tornò appoggiandolo ai piedi di Emily che si piegò subito a prenderlo per capire cosa fosse.
“Ma...vuole che...” disse appena.
“Già...scalpita proprio...” risposi io ridendo mentre aiutavo Emily ad alzarsi.
La tenni per i fianchi per non farle perdere l’equilibrio e lei lanciò il bastone a Paco che, abbaiando, corse a prenderlo.
Lei si girò verso di me una volta tirato il bastone e mi baciò inaspettatamente sulle labbra e, dopo un primo bacio a stampo, si staccò da me.
Era come insicura, come se avesse fatto la cosa sbagliata ma subito dopo si rese conto del contrario e mi baciò di nuovo sulle labbra, più appassionatamente.
Sentivo tutto il suo amore dentro quel bacio, lo sentivo nelle sue mani fredde che mi accarezzavano le guance, lo sentivo nel tremore del suo corpo dovuto all’emozione, lo sentivo nelle sue labbra che si muovevano sulle mie come se non fosse mai accaduto.
Si staccò ancora una volta da me, più delicatamente e appoggiò la sua fronte alla mia.
“Ti amo, Álvaro.” disse subito “Ti amo da morire.” continuò ancora.
“Non immagini quanto ti amo io.” risposi per poi baciarla ancora sulla fronte e metterci seduti sulla panchina.
Lei si appoggiò a me ancora una volta e il desiderio che avevo di rimanere in quella posizione per tutto il giorno era indescrivibile, ma qualcosa avrebbe rovinato i miei piani.
Infatti, Paco, stava correndo verso di noi e si lanciò sulla panchina proprio mentre ci stavamo nuovamente baciando.
Atterrò tre le nostre gambe e abbaiò sonoramente, come se volesse che ci staccassimo.
Non appena lo sentimmo, ci staccammo ed Emily iniziò a ridere mentre gli accarezzava la testa.
“Amore, sei geloso?” chiese ridendo mentre Paco le lasciava qualche laccata sulla mano in segno di affetto.
“Sì ma se lo chiami così, sono geloso io...” dissi ridendo mentre lei si riappoggiava a me abbracciando il cane contemporaneamente.
Si stava costruendo qualcosa di grande tra noi, che potevamo quasi chiamare famiglia, mancava solo una cosa...

You were my eyes when I couldn't see. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora