Uno.

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Álvaro’s point of view.
Non appena la mia ragazza uscì dalla sua stanza accompagnata dal bastone che la aiutava a camminare per non inciampare, mi si scaldò il cuore.
“Álvaro..” mi chiamò tendendo la mano davanti a sé.
“Amore, sono qui..” dissi io alzandomi e andandole incontro.
“Andiamo a casa..” sussurrò appoggiando il viso alla mia spalla.
“Certo, andiamo..” risposi.
Le presi la borsa con i vestiti che le avevo portato nel corso dei giorni che era rimasta ricoverata e le misi un braccio attorno alla spalla.
Dovevo starle accanto e anche se stavo per piangere dovetti resistere dal non farmi sorprendere da lei.
“Álvaro..” mi chiamò di nuovo fermandosi davanti a me e appoggiandomi le mani al petto.
“Dimmi..qualcosa non va?” chiesi.
“Come sei vestito?” chiese tristemente e il cuore iniziò a battermi forte mentre cercavo di trattenere le lacrime.
“Amore, dobbiamo pensare a te ora..” cercai di spostare il discorso.
“Non importa, voglio immaginarti visto che non posso più vederti..” rispose con la voce spezzata.
“No no, ehi..” dissi prendendole il viso mentre fissavo i suoi occhi marroni spenti mentre fissavano il vuoto davanti a sé “Non piangere..” continuai per poi baciarla dolcemente facendo rimanere, però, le nostre labbra immobili.
Cercai di farle sentire tutto l’amore possibile ma mi resi conto subito che con un bacio non si sarebbe risolto quasi nulla.
“Ho un paio di jeans e la maglia nera con la scritta bianca che mi hai regalato il mese scorso..” risposi sorridendole anche se non poteva vedermi.
Lei mi accarezzò la guancia e poi mi riaffiancò di nuovo mentre riprendevamo a camminare verso la macchina.
Non appena uscimmo fuori dall’ospedale ci avviammo al parcheggio mentre il sole quasi mi accecava pur essendo quasi alla fine dell’estate.
Abbassai gli occhiali da sole che tenevo sulla testa e continuai a tenere la mia ragazza per le spalle mentre lei rimaneva in silenzio senza dire nulla.
Le aprii la portiera della macchina e la aiutai a sedersi e ad allacciarsi la cintura come se fosse una bambina mentre la sentii sospirare.
Partii verso casa nostra e accesi la radio con il nostro CD preferito già inserito.
Ogni tanto mi giravo a guardarla e ogni volta lei era appoggiata con la fronte al finestrino e gli occhi chiusi.
Respirava profondamente quasi a trattenere le lacrime mentre io mi addolcivo ogni minuto che passava ma era comunque orribile vederla così e sentivo che qualsiasi parola avessi la possibilità di dire sarebbe risultata incredibilmente scontata e non sarebbe servita a farla stare meglio.
Non mi veniva in mente nulla, neppure un discorso plausibile.
Era tutto incredibilmente scontato ed era una sensazione orribile.
Così mi limitai ad appoggiarle la mano sulla coscia cercando di farle sentire la mia presenza il più possibile.
Lei la strinse flebilmente, il che mi fece sorridere ma la sensazione di essere incredibilmente scontato continuava ad invadermi il corpo.
“Dove siamo..?” mi chiese.
Mi guardai attorno avendo perso completamente la concezione dei luoghi in cui ero passato fino ad ora.
“Siamo sul Lungo Po, non manca molto a casa..” risposi.
Lei sorrise e poi riappoggiò la fronte al finestrino ma sospirò.
“Scusami..” disse all’improvviso lasciando la mia mano e io non capii il motivo di quelle scuse.
“Per cosa amore mio?” chiesi dolcemente.
“Per averti fatto passare giorni d’inferno e perché ora dovrai portarti dietro questo fardello che non ci vede..”  rispose con voce ferma.
Fermai la macchina e accostai al marciapiede.
“Ehi, non dire cavolate.” dissi prendendole il viso “Io ti amo, non ti lascerò mai sola e non sarai mai un fardello per me.”
Unii dolcemente le nostre labbra ma come sempre da quando eravamo usciti dall’ospedale, le sue labbra rimasero ferme e questo mi fece sentire quasi male.
Le diedi un altro bacio e ripartii verso casa dove arrivai dopo cinque minuti.
Non appena entrammo in casa appoggiai il borsone sul divano e accompagnai Emily verso la camera dove si stese sul letto appoggiando il bastone proprio a fianco a lei.
“Sistemo un paio di cose e vengo a farti compagnia, okay?” le chiesi e lei annuì.
Le lasciai un bacio sulla fronte poi mi avviai verso la cucina per preparare qualcosa da mangiare che avremmo mangiato nel pomeriggio.
Non appena finii tornai in camera in silenzio e mi appoggiai allo stipite della porta guardando il letto intatto con lei stesa su un fianco verso il mio cuscino.
Aveva una mano appoggiata proprio lì e potei vedere le lacrime solcare le sue guance arrossate.
Vederla in quello stato mi spezzò il cuore e abbassai lo sguardo cercando di non piangere.
Mi avvicinai al letto e mi stesi a fianco a lei.
Non dissi nulla, la abbracciai e la strinsi forte mentre lei si avvicinava a me affondando il viso sulla mia spalla.
Sentivo la maglietta che indossavo, bagnata dalle sue lacrime ma non mi importava.
La strinsi più forte e poi la baciai dolcemente sulle labbra.
Sentire che la pressione sulle labbra da parte sua era ricambiata fu qualcosa di spettacolare, un'emozione unica che mi riempì di soddisfazione e felicità.
Mi godetti a pieno quella sensazione, tanto che riuscii a percepire di averla fatta almeno un po' felice e averle fatto capire che io c'ero, e mai l'avrei lasciata sola.
Dopo qualche ora in cui rimanemmo così, lei si scansò dal mio abbraccio e si sedette con le gambe fuori dal letto.
Voleva alzarsi senza nessun aiuto così mi alzai dal letto e andai verso di lei senza farmi sentire.
Lei si alzò senza prendere il bastone e fece qualche passo ma inciampò sulla poltrona che avevamo di fronte al letto.
Stava per cadere a terra quando la trattenni per le braccia.
“G-grazie..” balbettò lei appoggiandosi completamente su di me.
“No amore, non ringraziarmi..” sussurrai baciandole i capelli.
Percorremmo il corridoio fino al salotto dove ci mettemmo seduti sul divano rimanendo abbracciati per tutta la sera.

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