Capitolo 3

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È buio. Non riesco a muovermi. Sono paralizzata su una superficie umida, fredda. Non vedo nulla. Qualcosa di liquido mi scorre sulla pelle, dalle spalle fino ai piedi. Non riesco a capire da cosa sono bloccata. Cerco di gridare ma la voce non mi esce. Improvvisamente delle fiamme di fuoco appaiono attorno a me e portano un po' di luce. Non c'è nulla. C'è il vuoto. Il nero diventa blu, ma rimango solo io in questo posto.
Le fiamme si fanno imponenti ed un'ombra si avvicina. Sono spaventata e non posso gridare.
David appare ai miei occhi come un pericolo incombente.

Vedo tutto sfocato per qualche secondo prima di capire che sono in una stanza d'ospedale. Ho una flebo di sangue attaccata al braccio, mi fa impressione. Faccio fatica a ricordare gli ultimi avvenimenti, ma David lo ricordo chiaramente. David è il mio ultimo ricordo.
Provo a sedermi sul letto quando Liz mi corre incontro. Sono sollevata nel capire che non sono a casa.
"Ferma, ferma, rimani distesa. Tesoro, sono così felice che stai bene" mi da un bacio. "Come ti senti?"
In quel momento mi rendo conto che i polsi mi bruciano, e dei frammenti mi tornano alla mente.
"Sto bene... credo" mento.
"Bene, chiamo il medico, okay?" mi sorride, dolce.
Ritorna dopo pochi secondi seguita da Kat e da un uomo alto e robusto col camice bianco. Appena Kat mi vede accelera il passo, viene di fianco al lettino e mi abbraccia.
"Mi devi un accappatoio" mi sussurra all'orecchio. Tenta di sdrammatizzare, ma il tono provato nella sua voce è fortemente percepibile.
"June" il medico attira la mia attenzione. "Sono il dottor Farrell, piacere di conoscerti. Hai rischiato grosso, ragazza. Hai perso molto sangue e hai subito una lavanda gastrica, per questo dovrai rimanere qui fino a domani in osservazione, capito?"
Annuisco.
"Le condizioni sono stabili e sei completamente fuori pericolo, ma vorremmo evitare svenimenti. Per il momento riposati ed evita sforzi inutili."
"Grazie" rispondo.
"Mi congedo. Per qualsiasi cosa chiamatemi."
"Grazie, dottor Farrell" risponde Kat.

Alle tre del pomeriggio Kat entra nella stanza con tre caffè.
"June, c'è una cosa di cui dobbiamo parlare" mi dice mentre li distribuisce a me e a Liz.
"Non ora, la prego." Il mio umore si rabbuia solamente al pensiero.
"No, non di quello che è successo. Parleremo più avanti con calma di ciò." Cerca il sostegno di Liz con lo sguardo. "Di norma, la prassi dopo, beh..." mi fissa il polsi, senza rendersi conto che me ne accorgo.
"Un tentato suicidio" la aiuto. "È quello che ho fatto. Non ne vede tanti durante il suo lavoro?"
Kat mi guarda sconvolta.
"No, non mi capita di vedere i miei parenti che tentano di ammazzarsi durante il mio lavoro."
"Kat!" Liz s'intromette. "Il punto è che, June, la prassi vuole che tu segua una terapia. Con uno psicologo."
L'idea mi disgusta. Perdere tempo a parlare con un estraneo di fatti strettamente personali. Fatti che non riesco ad affrontare nemmeno con me stessa.
"No. Non intendo farlo." Rispondo fermamente.
"June, è evidente che c'è un problema, e grosso anche. Le tue azioni ci mettono in una posizione difficile."
"Al diavolo la prassi. Voglio solamente uscire da questo posto e..."
"E? Cos'è che vuoi, June?"
Non so cosa voglio. Giro la testa guardando fuori dalla finestra. Vedo alberi, vedo strade, palazzi, e nient'altro. Non c'è nulla in cui io possa sperare. Il mio futuro è incerto.
"Voglio dimenticare."

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