Capitolo 2

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Kat crede che io sia a Washington per lavoro. Non può neanche lontanamente immaginare che in realtà mi trovo sulla costa opposta degli Stati Uniti. Benvenuta in California, Elizabeth. Penso mentre il mio aereo atterra.
Non le avevo mai mentito prima, ma è meglio che lei non sappia di questa storia.

Ho solo una valigia con me, e nemmeno tanto grande; mi fermerò per pochi giorni. Intenta a chiamare un taxi, sento una voce familiare che mi chiama da dietro:
"Elizabeth!"
Quando mi giro, vedo mio fratello, affascinante come mai prima, in giacca e cravatta, che, sfilandosi i costosissimi occhiali da sole, mi raggiunge.
"Liz, i Johnas non prendono il taxi, non qui a Los Angeles, per lo meno" mi abbraccia. "Ho l'auto privata" indica un SUV nero e gigantesco con un distratto movimento della mano. "Come stai?" Mi chiede.
"Io? B-bene. Non mi aspettavo che mi venissi a prendere" sorrido. "Il mio hotel..."
"Cosa? Hai prenotato un hotel?" mi interrompe. "Oh, no, tesoro, puoi stare da noi! Più o meno, da noi... abbiamo due aree della casa dedicate agli ospiti, puoi scegliere quella che preferisci."
"Sono lusingata, Paul, ma non mi sembra una buona idea..."
"Non accetto un no, sarai nostra ospite per questa vacanza"
"Mi hai invitata qui... per una vacanza?"
"Ne parliamo a casa, okay?"
Mi guida verso la macchina, mi fa salire ed infine monta con me, il tutto senza lasciarmi la possibilità di replicare. L'autista parte.
"Elizabeth, ti presento Hugh Baltimore, l'autista di famiglia, Hugh, questa è mia sorella Elizabeth."
"Piacere, signora."
"Il piacere è mi-"
"Allora, che mi racconti? Come va la vita a New York?"
"Intanto è Mayland, non New York" la sua interruzione mi secca parecchio. "E, Paul, non ti sei fatto più sentire per gli ultimi dieci anni, come puoi pretendere di comportarti come se nulla fosse?"
Mio fratello ghigna, con il suo solito fare spavaldo.
"Paul, Katherine non sa nemmeno che sono qui!" lo prendo per le spalle.
Immediatamente lui cambia espressione, il suo volto si raggela ed inarca le sopracciglia. Mi guarda.
"Non le hai detto che saresti venuta?"
"Io, ecco, non ho potuto..." ho lo sguardo basso, la mascella tesa.
"Penso che non sarà un problema." Afferma.
"Cosa?" Risollevo lo sguardo.
"Non glielo hai detto. Fine." Paul guarda dritto davanti a sé. "Anche se avrei sperato che per lei non ci fossero problemi."
Rimaniamo in silenzio, probabilmente entrambi pensando a Kat.

"Ma questo è un castello! Davvero tu vivi qui?! Oddio, ma quello è un giardino o un parco giochi?! È una piscina quella?!"
"E non è l'unica." Paul mi sorride, smontando dall'auto.
Sono estasiata da tanta immensità, tanta bellezza. Questa gigantesca magione in mezzo alle montagne losangeline è un paradiso terrestre. La maggior parte delle pareti frontali è fatta di vetro, ci saranno almeno quattro piani, ma non riesco a vedere il fondo della casa.
"Di solito non mi scompongo, ma... diamine! Hai acquistato un pezzo di paradiso!!" tutto questo ben di Dio mi dà alla testa, ma subito ripenso a Kat e a cosa direbbe vedendomi comportare come una bambina a Disney World, così mi riprendo. Paul ride.
Saliamo la scalinata di marmo fino al portone d'ingresso.
"Ai miei amici di' che sei di New York"
"Bronx?"
"Per favore..."
"Okay, entro nell'atmosfera dell'alta società."
"Cosa vuoi dire?"
"Lascia stare."
Per la prima volta da quando ci siamo incontrati, tre quarti d'ora fa, vedo Paul fare qualcosa di umano: mio fratello prende le chiavi di casa e le infila nella serratura.
"Come scusa, non avete un portiere?"
"Frank è ammalato questa settimana" dice serio. "Spero che ritorni presto, o dovremmo sostituirlo." Fa scattare la serratura con uno movimento secco.
"Ah, giusto. Come ho fatto a non pensarci." Ironizzo.
"Frank è il maggiordomo, non il portiere. Potremmo mettere una delle domestiche a prendere il suo posto fino al suo ritorno, ma per Renée è importante che ognuno in casa abbia un solo ruolo preciso."
"Capito."
Paul apre la porta, a fatica mi trattengo dall'uscire di me nuovamente, ma mi limito ad ammirare l'ingresso ampio e luminoso, la moquette soffice e color ocra, quadri autentici sulle pareti, ma non un solo mobile. Un grande lampadario di cristallo e sospeso sulle nostre teste.
"Solo il tuo ingresso è grande come casa nostra, potrebbe essere una sala da ballo."
"No, la sala da ballo è alla fine del corridoio a sinistra."
"Ah, sì, scusa." Cerco di entrare nell'idea di stare zitta per un po', dato che sto solo facendo la figura dell'idiota da quando siamo arrivati. Odio quanto Paul dia tutto questo per scontato, alla fine, fino a dieci anni fa era un comune mortale come noi.
Attraversiamo uno dei due corridoi laterali, mentre io muoio dalla voglia di scoprire dove portano le due scale che partono dalla sala d'ingresso e si incontrano al primo piano.
Usciamo in giardino e Paul mi guida verso la più grande dependance che abbia mai visto.
"Questa è la parte riservata agli ospiti di cui ti parlavo, l'altra è più in fondo, dopo le piscine, ma fondamentalmente sono molto simili."
"Questa andrà benissimo, grazie."
"Sistemati con calma, a mezzogiorno in punto Jack, il cameriere, serve il pranzo, dopodiché parleremo del perché sei qui."
Mi saluta con un bacio sulla fronte e se ne va.

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