"Emma! Da questa parte!" urla Catherine dalla fine del corridoio. Ha in mano una cartella clinica, sfogliandola rapidamente mentre intorno a lei altre infermiere si disperdono per i corridoi adiacenti. Emma lascia le siringhe nelle vetrina, chiudendola piano e raggiungendo la collega che ha già iniziato a parlarle. "Hanno bisogno di te in geriatria. Metà di noi sono state trasferite al pronto soccorso."
"Ma sarei dovuta andare in pediatria, mi avevano detto così ieri-"
Catherine le solleva una mano davanti al viso, zittendola e alzando un sopracciglio. "I programmi cambiano. Forza!" dice, girandosi e rivolgendosi ad un'altra ragazza, continuando però a parlarle. "Devi fare la medicazione in stanza 14" dice, ma ormai Emma si è allontanata, dirigendosi al reparto con passo rapido. Si sistema i bottoni del suo camice prima di entrare nella stanza 14.
"Chi mi ha chiamato?" chiede con un sorriso. Un uomo steso sull'ultimo letto solleva una mano pallida e magra, richiamando la sua attenzione. Emma gli si accosta, aprendo il cassetto del suo comodino. "Buongiorno, signor Hardy" saluta lei, tirando fuori i flaconi di disinfettante e le nuove garze pulite. "Come va il prurito?" chiede, scoprendo il braccio dell'uomo all'altezza del cerotto.
Il signor Hardy stringe le labbra. "Non bene, la notte sudo di più e mi verrebbe di strapparmi la pelle per quanto mi prude."
Emma gli sorride, staccandogli intanto il cerotto e inumidendo la ferita chiusa dai punti con una garza pulita. "Però la vedo migliorata" dice, tastando i punti e la pelle quasi definitivamente cicatrizzata. "Due giorni e glieli possono togliere."
"Sì, ma ieri mi hanno operato al ginocchio, di conseguenza non potrò andarmene comunque da qui."
Emma gli spalma piano l'unguento sulla zona, facendovi aderire poi sopra un nuovo cerotto. "Questo qui non dovrebbe darle fastidio."
"Grazie, cara" dice l'uomo, sorridendole. Emma recupera il materiale e lo getta nella spazzatura. "Ci vediamo presto."
"Buona giornata." Emma saluta gli altri pazienti della stanza e abbandona la camera, sfilandosi i guanti e mettendoli nella tasca del camice. Incontra Jeanine correrle incontro e le loro spalle si urtano con violenza.
"Scusa, ma devo cambiare un antibiotico!" urla la collega, mentre Emma le alza il pollice ed entra nello studio del piano. Ci sono altre donne lì dentro che confabulano o si lamentano dei loro turni, mentre le lancette dell'orologio scandiscono il tempo che passa.
"E' una settimana che mi cambiano il turno di notte, non ce la faccio più!" si lamenta Eliane, una giovane donna dai capelli rossi e le lentiggini sul naso. Si siede sul lettino della stanza, facendo dondolare i piedi. "Mi stanno sbattendo da una parte all'altra, come se non ci fossero altri infermieri che possano farlo." Emma si sfila la cuffietta dalla testa, liberando la sua coda scura sulle spalle esili. Infila anche questa nella tasca, stringendosi poi l'elastico ai capelli. "Ho sentito che hanno spostato anche te" dice Eliane, spostando i suoi occhi verdi su Emma. "È vero?"
La ragazza annuisce, sedendosi su una sedia lì vicino e sgranchendosi il collo. "Già. Avrei dovuto cambiare le flebo ai bambini del secondo piano, ma a quanto pare c'è più bisogno di me qui."
"No" dice Lizzie, sistemando le carte sulla scrivania, "c'è più bisogno di personale in quest'ospedale. Da quando hanno iniziato a spedire infermieri nelle basi pakistane, il lavoro deve essere distribuito negli ultimi cinquanta membri rimasti."
Emma socchiude gli occhi, guardando la ragazza dai capelli scuri che sistema in maniera maniacale i fogli affinché gli angoli coincidano. "Stanno ancora mandando i nostri?"
"Sì" risponde Eliane, appoggiando la schiena al muro. "E sicuramente manderanno nuove richieste. La guerra porta troppi feriti e gli uomini non bastano mai."
"Io non ci vorrei mai andare" ammette Lizzie, lasciando finalmente i fogli. "Cioè, avrei troppa paura a stare lì in mezzo." Una folata di vento irrompe improvvisamente dalla finestra spalancata, facendo finire rovinosamente a terra i fogli che aveva riordinato, guardandoli mentre adagio si posano sul pavimento. La porta sbatte mossa dal vento e tutte le ragazze presenti fanno un salto per lo spavento. Una donna bussa ed entra nello studio, fulminandole con un'occhiataccia.
"Non deve esserci corrente per i corridoi! Chiudete quella dannata finestra" dice, chiudendosi nuovamente la porta dietro.
Lizzie stringe le mani in due pugni e si china per terra a raccogliere tutti i fogli sparsi mentre Eliane si porta una mano alla bocca per mascherare le risate. In tutto questo, Emma si abbassa per aiutare la sua collega, vedendo le altre non fare assolutamente nulla. "Comunque" dice, aiutando Lizzie a rimettere i fogli sulla scrivania, "penso che andare lì sia molto altruista, soprattutto in quanto c'è davvero bisogno di aiuto."
"Perché, qui no? Non muoiono anche qui le persone?" dice Eliane dopo essersi ripresa. "Io spero davvero che non mi scelgano, anche perché non saprei proprio a cosa appellarmi per evitare di andare lì."
Altre tre ragazze silenziose annuiscono, continuando a trafficare con le carte che hanno in mano e prestando attenzione solo ai loro futili discorsi prima che la porta venga riaperta. Catherine rimane con la mano stretta intorno alla maniglia, squadrando le ragazze una alla volta.
"Ma cosa ve ne state lì, senza fare niente? Ci sono dieci piani in quest'ospedale, sicuramente qualcuno aspetta un aiuto. Muovetevi!"
Emma si mette in piedi, stringendosi di nuovo la coda ai capelli e si avvia verso l'ingresso. "Dimmi tu dove devo essere mandata" dice, guardando Catherine nei suoi occhi scuri. La collega abbassa gli occhi sulla cartella che stringe al petto, poi guarda il suo orologio.
"A casa" risponde, "il tuo turno è finito e non te ne sei nemmeno accorta."
"Pensavo che-"
"Va' a casa, Jensen. Domani sarà una lunga giornata."
Emma stringe i denti e saluta le colleghe con un gesto del capo, poi si avvia verso una stanza in fondo al corridoio e recupera la sua giacca, lasciando quell'ospedale in pochi minuti.
Quando ritorna a casa è circa l'ora di pranzo, così bussa invece di aprire con le chiavi. Sua madre Meredith la accoglie frettolosamente, "Pensavo saresti tornata più tardi" ammette la sua voce ormai distante. Emma lascia la sua borsa e la giacca nell'atrio, sfilandosi il camice e appendendolo al muro.
"Ormai non si capisce più nulla, i turni variano in continuazione. Notizie da Richard?" chiede, lavandosi le mani nel lavandino e prendendo posto a tavola. La postazione di suo padre è sgombra, segno che è tornato a lavoro. La madre scuote la testa mentre le porge il piatto fumante. "Nessuna lettera, ancora."
"Cosa dicono in tv?" chiede Emma, portando il primo boccone tra le labbra. La madre sbuffa, sedendosi accanto alla figlia mentre si asciuga le mani.
"Non dicono mai niente della guerra. Parlano solo della politica economica di Reagan in rialzo, della Thatcher in Inghilterra per il suo secondo mandato e di Super Mario Bros, il nuovo videogioco della Nintendo. Ad una donna che ha il suo primogenito in guerra in Pakistan, cosa potrebbe mai importare di un nuovo gioco per ragazzi? Buon cielo, qualcuno faccia capire a questi uomini che ci sono cose più importanti di cui discutere ed informare la popolazione!"
Emma stringe le labbra, ingoiando il boccone, prima di chiedere una cosa a sua madre. Era da un po' che ci pensava e neanche da sola riusciva a darsi una risposta autoconvincente. "Mamma" dice, guardando la donna negli occhi. "Ma se venissi chiamata per il Pakistan?"
Meredith sbatte la mano contro il tavolo, rispondendo di botto. "Assolutamente no."
"Non ho nemmeno finito-"
"No, Emma, non ti lasceremo partire."
"Perché mai? C'è carenza di personale, mamma, e non c'è più la disponibilità di un tempo. Molte delle mie colleghe si stanno licenziando perché si sono sposate e devono occuparsi della loro famiglia, altre sono state trasferite. Io sono solo all'inizio della mia carriera e avrei tanto da offrire-"
"Avresti davvero il coraggio di andare lì? In una base di guerra?" Meredith la guarda con il labbro inferiore che trema leggermente.
Emma osserva sua madre negli occhi scuri, sentendo una morsa intorno al cuore. "Penso solo che se venissi chiamata, probabilmente ci andrei." Meredith rilascia un sospiro pesante, stringendosi le dita nell'altra mano. Le avvicina alla bocca, con lo sguardo perso nel vuoto e il petto che si alza e si abbassa rapidamente. "Starei persino più vicina a mio fratello, mamma."
"Hai ventidue anni, Emma."
"Lo so."
"Alla tua età, dovresti essere già sposata, con una casa da mantenere e figli da crescere. Invece vuoi lavorare."
"Lo faccio perché non voglio gravare sulla spalle di nessun altro che non sia me stessa."
Meredith si porta una mano alla bocca, scuotendo la testa. "Sai cosa ne pensano tuo padre e tua nonna."
"E tu sai bene quanto poco me ne importi."
Meredith non continua la conversazione, si alza e sparecchia la tavola una volta che Emma ha finito di mangiare. La ragazza sa perfettamente che non ci sarà niente che porterà sua madre a riprendere l'argomento, così prende un profondo respiro e sale al piano di sopra, appoggiandosi al corrimano in legno delle scale e fermandosi fuori la porta del bagno. Entra e la richiude con la schiena, rimanendo appoggiata ad essa e guardando il muro di fronte, persa nei suoi pensieri. Lavora al St. Joseph's da due anni, il suo posto è sicuro, ben retribuito. Nel caso fosse chiamata, sarebbe disposta a correre il rischio? Abbandonare la vita a cui si è abituata e a deludere - ancora - le aspettative della famiglia?
Scuote la testa per sgombrare la mente da quei pensieri asfissianti, andandosi a fare un bel bagno rigenerante.N/A
Ecco qui il primo capitolo!
È, indubbiamente, di presentazione circa il personaggio di Emma, un'infermiera americana del 1983.
D'ora in poi gli aggiornamenti saranno pubblicati ogni sabato!
Lasciatemi qualche commento/voto!
Vi aspetto per questa nuova avventura.
Un bacio ❤
P.s vi lascio di nuovo il trailer qui in basso :)
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The bullet
General FictionSettembre 1983. Emma Jensen, giovane infermiera americana, viene chiamata per lavorare in una struttura ospedaliera in Pakistan. Abbandonata la vita a cui è abituata, si stabilisce in uno dei tanti accampamenti allestiti in quella zona di guerra, ri...