"Signorina Jensen." Un bussare ostinato alla porta del dormitorio fa sollevare Emma a malincuore dal suo letto, non riconoscendo la voce al di là del legno spesso.
Si trascina sui suoi piedi, stropicciandosi un occhio. Sblocca la serratura della porta e la apre, rivelando il viso di un donna con i capelli sollevati sulla nuca e gli occhiali calati sulla punta del naso. Solleva gli occhi per vedere Emma dritta in viso, perlustrandole l'abbigliamento.
Emma si addormenta praticamente vestita, troppo stanca per spogliarsi dopo essere tornata dal suo turno. Aveva passato tutta la notte a medicare ferite, a supportare pazienti, mandare informazioni e chiamare medici, scorrazzando per quei corridoi per tutte le otto ore di lavoro. Si gratta un lato della testa, guardando la donna più bassa di lei. "Buongiorno, che succede?"
"Deve venire subito in ospedale."
Prende la mano di Emma e se la tira dietro, attraversando rapidamente l'accampamento e i corridoi - ovviamente - bui. Quando superano la porta di ingresso dell'ospedale, si avvicinano al banco dell'accettazione. La donna al di là di esso sta lavorando con alcune scartoffie e solo quando vede Emma e la signora avvicinarsi, rabbuia il suo sguardo.
"Cosa sta succedendo?" chiede Emma preoccupata.
La donna dietro il bancone prende un foglio e lo pone sotto lo sguardo di Emma, indicandole un preciso giorno e l'orario della sua firma. "Lei ha curato il signor Aadil Anwar?" le chiede, soppesandole lo sguardo. Emma aggrotta la fronte cercando di ricordare, prima che la signora Smith - quella al banco dell'accettazione - le fornisca qualche dettaglio più. "Ferita all'addome, primo giorno di lavoro" dice e aspetta una qualche risposta da parte dell'infermiera.
Emma sgrana gli occhi di scatto, ricordando il viso dell'uomo, i suoi capelli neri, la smisurata quantità di punti che gli ha posto sulla ferita sul petto. Lo ricorda perfettamente, sulla trentina e con il viso sporco di fuliggine. "Sì, l'ho curato" dice semplicemente.
La signora Smith annuisce, prendendo un ampio respiro e intrecciando le mani sotto il mento. "E' morto, signorina Jensen."
Emma sente i peli rizzarsi sulla nuca e un brivido percorrerle la spina dorsale. Come?
La Smith solleva le sopracciglia, esausta, controllando una pila di fogli lì accanto.
"Come è successo?"
"E' stato trovato morto fuori l'accampamento, riverso sulla terra. "
"Non è rimasto in ospedale?" chiede Emma, sgranando gli occhi. "Bisognava fargli un controllo totale! Pensavo fosse stato ricoverato!"
"Lo è stato, infatti. Per due giorni."
"E allora qual è la causa della morte?" Emma ripercorre i suoi ricordi, controllando passo per passo tutti i procedimenti. Ha disinfettato la ferita, aveva predisposto i medicinali da somministare, aveva ripulito la zona. Cos'aveva sbagliato, allora?
"Asfissia" dice. "Ostruzione vie respiratorie. Forse qualche medicinale gli ha fatto allergia."
Non è possibile.
Emma aveva tutti i dati su quell'uomo, non avrebbe mai potuto sbagliare.
"Le posso assicurare, signora Smith, che avevo consultato i dati più volte per evitare una situazione del genere. I medicinali non danno allergia dopo quasi una settimana dal loro utilizzo."
La Smith si porta le mani sugli occhi, stringendoli esausta. "Bisognerebbe ordinare un'autopsia."
"Signora" dice Emma, sporgendosi su di lei e afferrandole piano un polso. "Io sono venuta in Pakistan per salvare vite, non farei mai niente che possa andare contro questo principio e di certo sbagliare medicinale non rientra nel piano. Non lo farei mai, nè tantomeno potrei cadere in errore per sbaglio. Sono pignola - sotto questo punto di vista - e non avrei mai lasciato che un paziente si avvelenasse con dei medicinali sbagliati. L'autopsia è assolutamente necessaria. Se fossi qualificata, la farei io stessa per provarvi che non ha niente a che vedere con l'assunzione del medicinale."
La Smith vede la ragazza e prende un profondo respiro. "Purtroppo le emergenze tolgono tantissimi medici. Dovremmo vedere come fare."
Emma libera la presa della donna e fa un passo indietro. "Deve uscire per forza qualcuno" dice, stringendo i denti e uscendo rapidamente dall'ospedale, percorrendo i corridoi a grosse falcate. Gira l'angolo e si scontra con qualcuno, ma non osa nemmeno alzare lo sguardo. Vuole andare all'aria aperta e concentrarsi. Perché mai quell'uomo avrebbe dovuto avere uno shock anafilattico per un medicinale compatibile con le sue analisi? Non ha senso.
"Attenzione, la prossima volta. Potresti non essere così fortunata da trovare qualcuno che lasci perdere una simile botta."
La voce viene dritta da dietro di lei. Emma si volta e nota il viso di John regalarle un sorriso in prossimità dell'angolo. "Scusi" dice, portandosi una mano al viso e passandoselo sopra. "Davvero, scusi."
John le si avvicina, controllandole attentamente il viso stanco. "Cosa ti turba? Non ti ho mai vista così volenterosa di abbandonare questa zona come oggi."
Emma prende un ampio respiro e si lecca le labbra. "Problemi a lavoro. Ho solo paura che ciò mi costi il posto."
"Uh" dice il soldato, procedendo accanto a lei e uscendo alla luce del sole, con un fortissimo rumore che sopraggiunge alle loro spalle in direzione dei dormitori dei soldati. "Allora è qualcosa di grave."
"E' morto un mio paziente" dice Emma, mentre si gratta un lato della testa. "E non mi spiego come sia possibile."
John la guarda con i suoi occhi verdi resi più accesi dal sole sopra le loro teste. Stringe gli occhi a causa della forte luce. "La gente muore tutti i giorni, Emma. Non puoi fartene una colpa."
"Sì, se pensano sia colpa mia."
"Vedrai che non lo sarà."
"E come fa' a dirlo?" si gira di botto verso di lui, scuotendo piano la testa. "Se non riescono a fare l'autopsia perché troppo impegnati, sicuramente la colpa sarà mia e non posso accettarlo, soprattutto perché sono convinta non sia vero."
Una sirena risuona per tutto l'accampamento e John si guarda alle spalle. "Devo andare" dice, "il dovere mi chiama." Prende la mano di Emma e le lascia un bacio sul dorso pallido. Poi la guarda attentamente negli occhi. "L'ho vista lavorare. So quanto stia attenta a quello che fa. Sono sicuro che non ne risentirà. Buona giornata" dice, prima di allontanarsi e rientrare nel corridoio.
Emma si dirige verso il suo dormitorio, accarezzandosi il palmo della mano e con la testa sommersa dai pensieri.
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The bullet
General FictionSettembre 1983. Emma Jensen, giovane infermiera americana, viene chiamata per lavorare in una struttura ospedaliera in Pakistan. Abbandonata la vita a cui è abituata, si stabilisce in uno dei tanti accampamenti allestiti in quella zona di guerra, ri...