Passano due settimane e mezzo da quel giorno.
E' il dieci di ottobre, fa ancora molto caldo e la terra rilascia il calore assorbito dal sole. Emma siede su una panchina all'interno dell'ospedale, con le gambe incrociate e gli occhi fissi sul foglio che le sue mani tengono stretto.
Legge la lettera che la madre le ha mandato e si sente gli occhi diventare lucidi di colpo. Non perché i suoi genitori le abbiano detto chissà cosa, ma perché sente ancor di più la loro mancanza. Tira su con il naso, leggendo i loro aggiornamenti sul lavoro del padre, su come la vita a casa proceda e sul fatto che sia molto felice che lei e Richard si vedano più di quanto avesse sperato. E' orgogliosa di tutti e due, le mancano enormemente e che la casa - ora che anche Emma se n'è andata - è più silenziosa di quanto sia mai stata. Ah, e la informa anche che suo padre non ha perso tempo e si è comprato il nuovo telefono cellulare che è uscito lo scorso ventuno settembre, un certo Motorola DynaTAC 8000X che è costato loro una cifra esorbitante ma che il padre ha voluto per stare al passo coi tempi.
Emma ripiega il foglio e lo rimette nella tasca del camice, tirando leggermente su con il naso. Si sistema la coda ai capelli, mettendosi in piedi e controllando dove sia più necessaria la sua presenza quella mattina.
In quelle quasi tre settimane trascorse non è successo nulla di particolarmente notevole, la vita ha seguito una linea retta, senza alcun tipo di slancio improvviso. La situazione in ospedale è stata sempre sotto controllo, le truppe fruttavano diverse vittorie contro la RDA e nessun camion di feriti gravi aveva attraversato l'accampamento a sirene spianate.
Martha e Micheal hanno cambiato completamente atteggiamento l'uno nei confronti dell'altra, anzi. Si può persino dire che si siano impegnati vicendevolemente in una relazione a cui non vogliono dare alcun tipo di etichetta, rendendola più seria di quanto possa mai essere. Joe scorrazza come sempre per i corridoi, fermandosi a parlare con chiunque gli capiti sotto tiro. La signora Smith ha annunciato formalmente ad Emma la mancata possibilità di fare l'autopsia al guerrigliere afghano, chiudendo così definitivamente il caso.
Richard è molto più tranquillo da quando il soldato Lodge è sparito dai dintorni, ma continua a gravitare intorno alla sorella, seguendo come un cagnolino il Tenente Rossi che lo loda sempre per i suoi atteggiamenti e per le sue prestazioni militari notevoli.
Emma va al banco dell'accettazione, appoggiandosi con i gomiti e guardando la signora Smith da sopra le sue spalle curve. "Novità?" chiede, sorridendole.
La donna solleva il capo, inclinando verso il basso gli angoli delle labbra pallide. "Nessuna, se non che quel soldato morto in ospedale, lo ricordi? Un certo Matt Stevens, è stato riportato dalla famiglia affinché lo seppellissero, dopo essere stato in obitorio per fin troppo tempo, a mio parere. Povero ragazzo, aveva appena trentadue anni."
"Si conosce la causa della morte? Tutti i soldati vengono monitorati, possibile che nessuno abbia visto niente?" chiede Emma, appoggiando la testa sul palmo della mano.
La signora Smith controlla qualche foglio, scuotendo la testa. "Ti pare che le notizie abbandonino l'obitorio? Tengono nascoste molte cose, qui dentro, per non allarmare i pazienti."
"Ma se si tratta di un'infezione-"
"Non può esserlo" la interrompe la donna, guardando di scatto Emma negli occhi. "Altrimenti saremmo già in quarantena."
Una sirena improvvisa congela tutti sul posto, chiudendo ogni conversazione e facendo girare ogni testa verso l'ingresso dell'ospedale. Nessuno riesce a vedere niente, se non che iniziano a sentire ruote di camion sfrecciare sul terriccio e allarmi attivati. Tutti gli infermieri si posizionano vicino il pronto soccorso, in attesa di accogliere i feriti, quando i paramedici irrompono per primi. "Sono i nostri!" urlano, facendo passare una sfilza di barelle infinite. "Hanno lanciato una bomba!"
I pazienti urlanti sfrecciano e vengono dirottati verso le stanza e le sale operatorie mentre i medici si mettono praticamente in posizione. Emma viene spinta e si avvicina ai soldati meno gravi per effettuare qualsiasi medicazione sia necessaria, quando Martha - circa dieci minuti dopo - le appoggia entrambe le mani sulle spalle, richiamando la sua attenzione. Emma intinge una garza in una ferita sanguinante al braccio di un soldato e si gira a guardare l'amica subito dopo. "Dimmi" dice, riprendendo a pulire la ferita dell'uomo.
Martha le si abbassa sull'orecchio e le sussurra qualcosa che fa rabbrividire istantaneamente Emma, bloccando ogni suo movimento. L'infermiera lascia la garza in mano a Martha. "Quale stanza?"
"La S-10!" le dice l'amica quando ormai Emma si è avviata in quella direzione. L'infermiera scansa i medici per raggiungere quanto prima la destinazione. Bussa piano alla porta e nota Joe chinato sul paziente con già la flebo incastrata al braccio e delle garze pulite, del nylon e dell'anestetizzante appoggiati sul comodino. Il secondo paziente della stanza viene portato via in sala operatoria e Joe segue la barella trasportata, accorgendosi solo dopo di Emma lì, posta sotto l'impalcatura della porta. Joe si solleva dal paziente, indicandoselo con un rapido gesto del pollice della mano. "Se finisci tu, posso andare da qualcun altro" dice, sorridendole.
Emma annuisce, facendo uscire Joe dalla stanza. La porta viene chiusa alle sue spalle, così si avvia rapida verso il letto, su cui il soldato Lodge si muove freneticamente, scalciando la coperta con le ginocchia. Ha il busto nudo, un lato del viso sporco di sangue, gli occhi serrati e i denti digrignati per il dolore. Emma controlla subito la ferita e la nota lì, appena sopra la cintura dei pantaloni. Il sangue continua ad uscire e a colargli persino sul fianco, sporcando di poco il lenzuolo sotto il soldato. Stephen rilascia un urlo attraverso i denti stretti, chiudendo il lenzuolo tra due pugni. Si gira per rimproverare l'infermiere quando si rende improvvisamente conto della sostituzione e di Emma lì accanto che prepara subito la siringa con l'anestetizzante. "Jensen" dice a bassa voce, prima di digrignare nuovamente i denti e sbattere la testa al cuscino per il dolore. Emma prepara lo stantuffo, poi tasta con le dita la zona in cui iniettare l'anestetizzante. Sbottona il pantalone del soldato per abbassare la cintura sul lato della ferita, scoprendo il principio della "v" dei suoi muscoli.
"Avrei voluto che i pantaloni mi venissero tolti in circostanze completamente diverse" sussurra Stephen, prima di cacciare un urlo quando Emma gli inietta l'anestetizzante, infilando la siringa rapidamente - anche per zittire il soldato, lo ammette.
"E' un idiota" dice Emma, appoggiandogli poi della garza sulla ferita per tamponargli il sangue. Stephen serra gli occhi, allargando le narici e aspettando che l'anestesia faccia effetto. "Come le vengono certe cazzate in questi momenti."
"Se si è sentita colpita non è di certo colpa mia. Ho parlato in generale, non che lei mi togliesse-"
"Stia zitto, per l'amor del cielo" sbotta Emma, abbassandosi sulla ferita, continuando a tamponarla. Dopo due minuti, inizia a preparare l'occorrente per ricucirgli il taglio profondo. "Come se l'è procurato?" chiede, sempre non guardando il soldato steso accanto a lei. Non ricevendo alcuna risposta, solleva di poco lo sguardo, piantandolo in quello scuro del soldato che ha gli occhi fissi su di lei. "Allora?"
"Mi ha ordinato di stare zitto" dice, ed Emma respinge l'impulso di dargli un pugno.
"O ha colpito forte la testa contro qualcosa" risponde l'infermiera toccandosi una tempia e alludendo a quella sporca di sangue del soldato, "o queste tre settimane l'hanno reso particolarmente simpatico" dice sarcasticamente, iniziando a stringere la ferita con due dita per iniziare a ricucirla.
"C'è stata un'esplosione vicino ad una baracca di legno" risponde Stephen ignorando l'osservazione dell'infermiera. Si sporge per guardarla mentre infila l'ago nella pelle, ma preferisce guardare il soffitto sopra di lui. Limita i movimenti del busto per evitare che Emma possa sbagliare. "Eravamo io ed altri tre ad essere lì vicino al momento dell'esplosione. La baracca è saltata in aria e un pezzo di legno mi ha praticamente scalfito il fianco."
"Le sarebbe potuta andare molto peggio di così."
"Crede non lo sappia?" dice Stephen, alzando un sopracciglio mentre Emma, con estrema attenzione, gli fa passare l'ago attraverso i due lembi di pelle, pulendo sempre eventuali goccie di sangue. Con un movimento della caviglia si avvicina la sedia dietro di lei e vi si siede sopra, avvicinando ancora di più il suo viso alla ferita del soldato. Cade il silenzio tra loro e nessuno dei due osa aprire bocca, fin quando non è di nuovo Stephen a rompere il ghiaccio.
"Le sono mancato?" chiede, sorridendo con un lato della labbra.
Emma prende un profondo respiro. "Quasi non mi sono accorta della sua assenza, considerando quanto sia abile a stare zitto, solitamente."
Il soldato Lodge stringe le labbra. "Touché, credo." Emma scuote la testa, infilando l'ago per la decima volta, ormai. "Lei sta bene, signorina Jensen?" chiede Stephen, guardandola e stringendo lievemente gli occhi.
Emma tira il nylon per fare un altro nodo, asciugando un piccola goccia di sangue che sta colando lungo il fianco del soldato. Annuisce, senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro. "Sì, signore" risponde, guardando di sfuggita il petto muscoloso del soldato coperto di cicatrici più o meno grandi. "Noto sia abituato a farsi ricucire" non può fare a meno di dire.
Stephen abbassa lo sguardo sulla sua pelle chiara, annuendo a labbra strette.
"Non posso farne a meno" tenta di scherzare, se non che Emma non sia per niente incline a regalargli un sorriso. L'ha pensata molto spesso in quelle settimane, chiedendosi soprattutto se fosse al sicuro. E a quanto pare, sì. Eppure sente ancora di avanzarle la proposta che doveva farle prima che fosse chiamato in battaglia. Crede proprio che i tempi siano maturi, ormai, anche se non è il momento giusto. "Se lei sta bene" continua Stephen, "posso anche smettere di farle da guardia del corpo" dice, abbassando la voce.
Emma solleva lo sguardo su di lui mentre con le mani chiude la ferita e gli appoggia la garza sopra per preservarla. "Certamente" dice lei, incollandola con dei cerotti bianchi. "Non vedo perché continuare, soprattutto dopo queste tre settimane in cui me la sono sbrigata praticamente da sola."
Stephen annuisce, riportando lo sguardo sul soffitto. Emma si mette in piedi, sgranchendosi la schiena e sollevando il bordo del pantalone del soldato per risistemarglielo. Glielo abbottona e Stephen abbassa lo sguardo sulle mani delicate dell'infermiera che sfiorano la sua pelle fresca e subito dopo sistemano il comodino accanto al letto. "Ogni giorno deve farsi la medicazione. Mi raccomando, sia responsabile nel fare determinati movimenti, non vorrei che la ferita si possa riaprire."
Stephen ingoia a vuoto. Annuisce ed Emma gli da le spalle, ma lui la blocca avvolgendo le sue dita intorno al polso magro della ragazza. Emma sgrana gli occhi e si libera subito dalla sua presa, infilando la mano nella tasca per tutta risposta al gesto. "Mi dica."
"Signorina Emma, alla luce di quanto successo, vorrei chiederle-" Si interrompe bruscamente a causa della porta che viene aperta di colpo. John sopraggiunge sulla scena, guardando l'amico steso a letto. Il soldato Letterman, facendo spostare l'infermiera e sedendosi sulla sedia, dice: "Quando mi hanno detto fossi qui mi è venuto un colpo."
"Sono vivo, per tua fortuna" dice Stephen, lanciando poi un'occhiata ad Emma.
L'infermiera saluta entrambi i soldati abbandonando la stanza, chiedendosi cosa mai il soldato Lodge le stesse per dire.
Per le tre ore seguenti serpeggia di stanza in stanza a curare pazienti, a preparare le stanze e a togliere le lenzuola sporche, sorreggendole tra le sue braccia magre prima di gettarle nella cesta lungo il corridoio. Incontra alcune colleghe che prendono un caffè appoggiate alla parete che la salutano con un gesto della mano, prima di vedere Martha camminare nella direzione opposta alla sua. "Tutto okay?" le chiede la ragazza con il caschetto, fermando l'amica per il braccio.
"Certo, cosa credevi?" le risponde Emma, sorridendole, prima di andare in accettazione e lasciare la sua firma. Prende il suo tesserino e apre la porta dell'ospedale, percorrendo rapidamente i corridoi e uscendo all'aria aperta. Il camion dei feriti è ancora parcheggiato al centro dell'accampamento. Deve circumnavigarlo per raggiungere la mensa e consumare il suo pasto. Quando entra nell'ambiente spazioso incontra Joe sorreggere il vassoio e cercare un tavolo libero a cui sedersi. Emma si affretta a prendere qualcosa da mangiare e lo raggiunge, approffittando di tre ragazzi che si sono appena alzati. Va a sedersi per prima e con un gesto invita Joe a mettersi accanto a lei. Il ragazzo intercetta il suo gesto e la raggiunge, accomodandosi di fronte a lei. Iniziano entrambi a mangiare, prima che Emma rompa il silenzio.
"Perché hai voluto che curassi io il soldato se già te ne stavi occupando tu?"
Joe finisce di masticare il boccone e beve dal suo bicchiere prima di risponderle. "Perché credo che in quei momenti di dolore - al di là del grado sociale che si ricopra - sia meglio avere un volto amico accanto."
"Ma io e il soldato non lo siamo nemmeno" dice Emma, portandosi un boccone vicino le labbra. "Siamo molto ma molto lontani dall'essere amici."
"Ma almeno ti conosce, più di quanto possiamo esserlo noi tutti. E' la tua guardia, dopotutto. Se io avessi accanto qualcuno il cui viso non mi è sconosciuto starei già meglio."
Emma scuote le spalle mentre mette la forchetta in bocca e inizia a masticare. La porta della mensa si apre e un'orda di altri infermieri si presenta all'interno, mettendosi in fila. Tra loro Emma scorge Micheal che parla con alcune colleghe e sorride nella sua direzione sebbene non la stia vedendo. "Che ne pensi di Martha e Micheal?" chiede a Joe, spostando poi gli occhi cervoni su di lui. Il ragazzo si scompiglia i capelli scuri con un gesto della mano, scuotendo la spalle.
"Non penso niente, a dir la verità. E credo nemmeno loro sappiano qualcosa di loro stessi. Si comportano come se fossero amici ma con la possibilità di divertirsi a letto."
Emma appallotola il tovagliolo pulito e glielo lancia addosso, ridendo. La porta della mensa si apre nuovamente e il soldato Letterman raggiunge Emma al tavolo, abbassandosi su di lei.
"Mi dispiace disturbarla, ma ci tenevo moltissimo a ringraziarla per aver aiutato Steve" le dice con un sorriso a cui Emma non può fare a meno di avvampare per quanto sia splendido. Si riscuote e abbassa leggermente il capo. "E' il mio lavoro, John. E' il minimo che possa fare" dice, ricambiando il sorriso. Letterman si sfila il cappello dalla testa e la saluta elegantemente prima di andarsene e uscire dalla mensa. Emma lo guarda finché non scompare dalla sua vista.
Joe solleva un sopracciglio. "Chi preferisci tra John e Steve?" dice con tono scherzoso. Emma lo guarda aggrottando le sopracciglia.
"Il suo nome, comunque, è Stephen. Solo il soldato Letterman lo chiama così. E poi, perché dovrei preferirne uno all'altro?"
"Perché ho notato ti ronzano intorno entrambi e mai quando stanno insieme. Sembra facciano a turno."
Emma scuote le spalle, bevendo un po' dal suo bicchiere. "Non ci ho fatto caso."
"Mmh" mugugna Joe, masticando lentamente. "Non ci crederò mai."
Emma scuote la testa e indica all'amico il suo piatto. "Pensa a mangiare, piuttosto."
"Sì, madame" risponde lui, sorridendole, mentre Micheal si fa servire e raggiunge il tavolo a sua volta.
"Dov'è Martha?" chiede non appena prende posto. Si sistema il vassoio e spezza in due la pagnotta di pane.
Emma solleva le sopracciglia. "E' il tuo primo pensiero?" chiede sorniona.
Micheal alza gli occhi al cielo ma non fa in tempo a rispondere che Emma gli appoggia la mano sulla sua e lo guarda dritto negli occhi. "Ti ripeto, nel caso in cui te lo fossi dimenticato durante queste tre settimane, che ti rompo le ossa anche se vedo Martha versare un'unica lacrima per colpa tua."
Micheal, con l'altra mano, si porta il pane alla bocca. "A furia di frequentare i soldati stai diventanto imperiosa come loro."
Emma stringe le labbra. "Lo prendo come un complimento, sappilo."
Mentre loro consumano il loro pranzo, dall'altra parte dell'accampamento Stephen Lodge è da solo nella stanza dell'ospedale, godendo solo della compagnia dell'occupante del secondo letto che altro non fa se non dormire. Gli occhi del soldato sono fissi fuori dalla finestra e guardano i raggi di sole che filtrano attraverso i buchi delle persiane abbassate a metà.
Si sposta di tanto in tanto il lenzuolo, tastandosi i cerotti che nascondono un'ulteriore cicatrice e pensa all'infermiera che gliel'ha ricucita.
L'ospedale è stranamente in silenzio, non si sentono allarmi, urla o lampeggianti per le strade. Tutto tace tranquillamente. Il Tenente Rossi beve un caffè con Richard, Martha firma la fine del turno.. tutto fila liscio.
Tranne per una persona.
Un'unica anima che tornando silenziosamente verso la sua stanza non sa cosa potrebbe accadere in pochissimo tempo.N/A 🎉🎁
Wattpad ha deciso di crearmi problemi con l'aggiornamento, vabbè
In ogni caso, TA DAAAN
Per la prima volta Stephen ed Emma interagiscono per davvero e in più la fine del capitolo segna la piega che la storia prenderà già dal prossimo capitolo, entrando finalmente nel vivo della vicenda.
Volevo inoltre approfittare di questo spazio autrice per augurare a tutti voi BUON NATALE! 💖
Vi voglio bene e al prossimo aggiornamento!
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The bullet
General FictionSettembre 1983. Emma Jensen, giovane infermiera americana, viene chiamata per lavorare in una struttura ospedaliera in Pakistan. Abbandonata la vita a cui è abituata, si stabilisce in uno dei tanti accampamenti allestiti in quella zona di guerra, ri...