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"Sapessi quanto male ho fatto al mio miglior amico, io dentro sono un killer e non so guardarmi indietro"
- LowLow

Ci sono momenti nei quali ogni cosa che ci aspettiamo assume una forma diversa. Momenti nei quali cambiamo totalmente idee e neanche ce ne accorgiamo. Momenti che per quanto possano essere amari, celano un retrogusto. E questo è un omaggio a chi riesce a scrivere del suo passato, chi riesce ad accettare il suo ruolo, a chi ha la forza di cadere nove volte e rialzarsi dieci, questo è un addio alla mia innocenza.

Il tutto iniziò quella maledetta sera:

-Oggi pomeriggio alle tre, non ti dimenticare eh!- Ginevra mi schioccò un bacio sulla guancia.

-Sisi ciao- Le chiusi la porta in faccia per strisciare in camera mia, mi cacciai le cuffiette nelle orecchie e impugnai un libro. Lui visto da lei.

Inetti, egoisti, dipendenti, fifoni, sostanzialmente inutili: ecco l'ironico ritratto degli uomini agli occhi di Natalia Aspesi.

Anche se il libro racconta delle generazioni precedenti, non vedevo molte differenze tra la nostra e quella degli anni ottanta.

Mi immersi nel mondo della lettura, e ne uscii solo quando notai che erano le quattordici e trenta. Una persona normale userebbe il formato dodici ore, invece io sono tutto fuorché normale.

-Però il rosso ti sta da dio- ripeté con occhi sognanti la mia amica.

-Senti Giné, il rosso non mi è mai piaciuto, figurati se me lo metto ad una squallida festa di drogatelli-

-Va bene, allora vorrà dire che ne cercheremo un altro- sospirò lei trascinandomi nel negozio affianco, e dopo aver frugato qua e la mi decisi finalmente.

-Prendo questo nero- annunciai dirigendomi verso la cassa.

-Ma non te lo provi?- chiese confusa.

-Non ne ho voglia, è della mia taglia quindi sarà perfetto.- uscimmo dal negozio di vestiti per entrare nel mondo delle scarpe.

Scarpe di tutti i tipi ordinate su centinaia di scaffali in base alla taglia e al sesso. Ero fanatica dell'ordine finché non conobbi il mio Heathcliff.

Presi un paio di scarpe con la suola molto sottile, che Ginevra si affrettò a strapparmi dalle mani, le sostituì con un tacco quattordici e senza obiezioni pagai e uscii.

-Sicura di non soffrire di shopping compulsivo?- Chiesi, non ero ironica, infatti mi morsi la lingua perché mi sentii in colpa, si tratta pur sempre di un disturbo. Di una malattia.

Scossi leggermente il capo per allontanare i pensieri.

-Ma sei scema? Lo faccio solo per farmi notare da Paolo- spiegò sventolando le borse contenenti gli acquisti.

Quella sera decidemmo di prepararci a casa sua, Ginevra era la più femminile tra noi due e di conseguenza la più fornita di make-up.

Una volta finiti i preparativi, ci mettemmo in cammino. Per tutto il tragitto Ginevra non fece altro che lamentarsi della mia lentezza.

-Dai sbrigati che siamo in ritardo Lara!-

-Continua a lamentarti e giuro che mi tolgo sti cosi- replicai indicando i trampoli che avevo ai piedi.

-va bene, ma affretta il passo-

-Scusa ma non eri tu quella che mi diceva sempre 'concediti il ritardo che spetta ad ogni reginetta'- le feci notare.

-Si ma questo non è un appuntamento- puntualizzò guardandomi storto.

-Non sprecare fiato e usa le tue energie per camminare più velocemente- aggiunse.
Rammento che mugugnai qualcosa, ma non ricordo di preciso cosa.

Già all'entrata del locale riuscimmo a sentire l'odore di alcool, marcato dall'effluvio della ganja.
Ricordo perfettamente la musica che rimbombava nel mio apparato acustico e i corpi sudati che si muovevano a ritmo.
Quello non era il posto giusto per me, mi sentivo come quel piccolo pietroburghese isolato dalla realtà e da qualsiasi rapporto amichevole durante una delle nordiche notti bianche di Dostoevskij.

Feci per uscire dal locale quando incontrai due occhi nocciola.
-Hei dove vai? La festa non è ancora cominciata- mi fece notare Paolo con un sorriso timido stampato in volto.

-Si ma dato che mi annoiavo ho deciso di andarmene.- precisai senza peli sulla lingua.

-Mi stai dicendo che sono un pessimo party planner?- disse con una buffissima smorfia.

-E neanche l'inglese è il tuo forte- scherzai.

-Facciamo un patto: se entro mezz'ora ti faccio divertire, non pensare male, tu resti qui fino alla fine della festa- mi propose, l'idea di rifiutare non mi balenò nella mente, d'altronde si trattava di Paolino.
Il ragazzo più simpatico e buffo del liceo.
Non avrei mai immaginato che seguire una qualsiasi sua proposta mi avrebbe portata alla rovina. Come avrei potuto saperlo?
Non esiste un modo per prevenire le difficoltà.
Noi non possiamo sapere quanto male potrà fare, non ci resta che provare sulla nostra stessa pelle per esserne a conoscenza.
So solo che in quel preciso istante strinsi la mano a Paolo, un po' come due contraenti che stipulano un contratto di vendita consensuale.

-Andiamo a ballare daje- mi trascinò in pista.

Non so come spiegarvi ciò che provavo con lui, avete presente quando siete nel posto sbagliato, ma non ne sentite il peso?
Ero tra le braccia di Paolino e svolazzavo come una farfalla in minigonna sfiorando corpi fradici di un agglomerato di persone che ballavano sulle note di David Guetta.

Dopo un paio di shots sentii la gola bruciarmi, i piedi deboli, le ossa che cedevano, la vodka attraversare lentamente l'esofago, e un bruciore, che per quanto fastidio poteva dare ancor meglio mi faceva sentire.

In quel momento volevo sentirmi parte del gruppo, volevo divertirmi al massimo e non pensare a nulla, per me Ginevra non esisteva più e nemmeno Nico.

Volevo lasciare andare via tutto, anche se non possedevo nulla.

Il mio compagno mi urlò in un orecchio cercando di farsi capire, ma la musica copriva tutto.
Mi tirai indietro i capelli bagnati e appiccicosi. Se ci fosse stata la mia migliore amica mi avrebbe cinguettato dietro 'Gne fai schifo vai in bagno a sistemarti'.

Mi girò la testa. Mi girò tutto, ma io ballai indifferente cadendo ripetutamente a terra e obbligando il mio amico ad alzarmi ogni volta.

-Laretta stai più attenta- la sua voce ubriaca mi fece ridere di gusto mentre le sue dita mi rimuovevano una ciocca di capelli appiccicata alla guancia. Si avvicinò ancor di più.

-Ma quanto abbiamo bevuto?- mi chiese con voce roca.

-poco direi- mi morsi il labbro.

-Questa vicinanza è davvero molto compromettente- mi sussurrò, lo sentii e rabbrividii.

-attenzione..- aggiunse per avvertirmi mentre precipitavo tra le sue braccia, la musica si smozzò pian piano, incominciai a vedere tutto sfocato e i piedi erano in cerca del giusto equilibrio.

Lui cercò di sollevarmi e poi mi ritrovai la pressione delle sue labbra contro le mie. Non reagii all'istante. Era un bacio casto che sprigionava il sapore di alcool, mischiato all'odore di vomito, fumo e un pizzico di sensi di colpa.

L'idea che mi ero fatta di Paolo in questi anni si ruppe in mille pezzi, mi piaceva. Mi piaceva davvero.
Una mano violenta mi tirò i capelli, mi voltai e vidi Ginevra con una faccia disgustata, infuriata e forse anche stupita mi si rivolse contro.

-Troia!- mi accusò davanti a tutti, e mi ci sentii pure. Mi trascinò dalla stretta del ragazzo che poco prima mi baciò. E solo quando la musica cessò lei iniziò a parlarmi, mentre io la osservavo pentita.

-Come hai potuto farmi questo?- le parole mi morirono in gola, non riuscivo a risponderle e lei mi tirò uno schiaffo. Pian piano mi annichilii sul muro e piansi.

-Mi fai schifo!- gridò come un satanasso, le sue parole mi trafissero, mi inflissero una sorta di condanna.
Ma non finì qui, La mia ormai ex amica prima di andarsene mi spiazzò.

-Non sei nessuno, voglio vedere cosa farai ora senza di me. E ora sparisci. Non voglio più vederti- rimasi lì con il capo appoggiato al muro e versai lacrime amarissime.

다섯 번째 채널. Questo è il nuovo amor cortese Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora