Chapter 2.

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THE POWER.

Non ricordo bene. È tutto molto confuso. Mi svegliai con la faccia premuta sul pavimento sporco del corridoio. Intontito, mi alzai lentamente e gemendo, notando un dolore al ginocchio. Guardai l'orologio. Ero fuori dalla classe da dieci minuti. Ma che ci faccio qui? Poi tutto mi tornò alla mente, investendomi come un treno in corsa. Roberto, la lacrima, tutto quanto. Svenni di nuovo.

Mi svegliai dopo circa tre ore, su un lettino d'ospedale, mia madre seduta accanto a me, parlava al telefono con mia zia. Amo mia zia. In ogni caso, la salutai, e mi misi seduto. Mise giù il telefono concludendo la conversazione con un rapido "ti chiamo dopo.". Mi chiese cosa fosse successo, e io liquidai tutto con la scusa di un calo di zuccheri.

Dopo un po' venne a trovarmi il dottore, aveva una cartella in mano, sarà stato sulla cinquantina, era bassino ma ben piazzato, con i capelli e la barba bianchi. Mi si avvicinò, mi studiò un poco, e constatato che stavo bene, mi mandò a casa, dicendomi che potevo tornare a scuola tranquillamente l'indomani.

Non dormii bene quella notte, pensai alla lacrima, al fatto che forse riuscivo a controllare l'acqua, o forse ero talmente andato fuori per Roberto che stravedevo. Ma poi, Roberto. Perché aveva avuto quell'impatto su di me? Decisi così di affrontare una cosa alla volta. La radiosveglia sul mio comodino segnava le tre e ventisei. Rimuginai su tutto l'accaduto, l'asfalto bagnato, e tutto il resto. Alle tre e quarantotto non ne potevo più, mi alzai, mi diressi in cucina e presi un bicchiere d'acqua. Tornai in camera, lo posai sul comodino e mi ci misi davanti. Le tre e cinquanta. Iniziai a concentrarmi sull'elemento, sui legami chimici che tenevano insieme gli atomi. Immaginai di sollevarla. Nulla. Immaginai di muoverla. Ancora niente. Così me la bevvi, e mi riinfilai sotto le coperte. Le quattro e diciassette. Mi addormentai.

Quella notte sognai Roberto. O meglio, lo sognai, ma non fece nulla di particolare. Ero come una telecamera che gli girava intorno mentre camminava. Continuava a camminare, prese la metro, scese in duomo, e camminò ancora. Poi un rumore di onde che si infrangono sulla spiaggia si diffuse nell'aria del sogno e mi svegliai. Era la mia sveglia. Con un sonoro "mpfh" mi alzai. Presi il pullman, e in dieci minuti ero davanti a scuola. Ero in anticipo, così sfilai dalla tasca il mio pacchetto di Chesterfield Blu e ne accesi una. Sentii il fumo che mi riempiva la bocca e mi riempiva i polmoni. Espirai lentamente. Mi appoggiai alla ringhiera della scuola e mi guardai intorno. C'erano capannelli di ragazzi e ragazze che parlavano tra loro. Alcuni mi guardavano e scoppiavano in risolini. Arrossii un po e mi guardai. Ero vestito sempicemente, Timberland, jeans neri e giubbotto di pelle nero. Oche, pensai. Poi una voce alla mia sinistra mi destò dicendomi: "Hei Drew.".

Come non riconoscerla? Profonda, sensuale. Mi girai e Roberto era lì in piedi vicino a me. Il mio cuore mancò di un battito. Aveva i capelli biondi perfettamente pettinati, e aveva persino un accenno di barba. Portava una maglia con uno scollo a V molto ampio, grigia, che metteva in evidenza la forma dei suoi pettorali. Dei jeans azzurri chiari, strappati in qualche punto. Vans nere, come la felpa dell'Abercrombie allacciata per metà. Portava un pendente con una rosa dei venti in oro e argento. Profumava di One Million. Adoro quel profumo. E qui capii che era giunto il momento di affrontare il secondo problema.

Lo salutai, stringendogli la mano. "Hai da accendere?" mi chiese sorridendo. Tirai fuori lo zippo e glielo passai. Si accese la sigaretta e aspirò profondamente. Gettò la testa all'indietro e espirò, rilasciando una nuvola di fumo denso. Fissai le sue labbra, piene e rosate, leggermente più scure della sua pelle, il suo pomo d'adamo pronunciato sotto il mento. E poi un segno rosso sul lato sinistro del collo. Un succhiotto. Strinsi forse una sbarra della ringhiera dietro di me, come per reggermi, sforzandomi di continuare a sorridere. Cazzo, è fidanzato. pensai sconsolato. Ma che credevo? Ma... ehi, alla fine, che te ne frega?

Beh, parlammo del più e del meno, fino a che finimmo entrambi le sigarette, buttammo i mozziconi, e ci dirigemmo verso l'entrata. Nonostante non avrebbe dovuto importarmi, non riuscivo a smettere di pensare a quel succhiotto, e mi ritrovai ad immaginare persino che l'autore fossi io. Ah, che ingenuo. Intanto un serio dubbio su cosa mi piacesse realmente mi salì, dal fegato, facendolo bruciare, fino al cervello, invadendolo.

Quarta ora, matematica. La Coordinatrice di classe era una donna sulla quarantina, con le gambe storte, una gobba pronunciata sulla schiena e i capelli unti. Uno schifo insomma. A metà lezione, che poi era solo un piano del programma che avremmo affrontato durante l'anno, mi ritrovai annoiato. Guardai Roberto, che aveva la testa appoggiata al braccio muscoloso, sdraiato sul banco, che scarabocchiava qualche disegnino sul quaderno.

Presi la mia matita tra le dita e pensai agli avvenimenti soprannaturali del giorno prima. Da piccolo avevo sempre sognato di avere qualche tipo di potere, e scoprire ora che poteva essere solo frutto della mia fantasia... Beh speravo in fondo di no. Ma perché io? Avrebbe dovuto avere uno scopo?

Guardai la matita, e notai che una gocciolina fuoriusciva da un segno di un mio morso. Ne notai un'altra, e un'altra ancora, fino a che si raccolsero tutte sulla punta della mina e iniziarono a cadere. Mi misi ritto sulla sedia, sempre concentrato sulla matita. Ben presto una discreta macchia d'acqua si era raccolta sul banco e in mano mi ritrovai un pezzetto di legno tutto rinsecchito. La schiacciai leggermente tra le dita e si spezzò in due. Accantonai la matita e mi concentrai sull'acqua, con la mente che lavorava incessantemente, i pensieri si accavallavano uno sull'altro. Guardai Roberto, ma non sembrava essersi accorto di nulla. Ritornai alla macchia. Tutti i pensieri che affollavano la mia testa si riunirono in un unico, chiaro pensiero. Lentamente avvicinai il dito per toccarla, ma prima di avere il tempo di farlo, questa diventò una sfera perfetta. Strabiliato, pensai: Alzati. E la pallina si alzò di qualche centimentro dal banco.

Ero ancora concentrato sulla sfera, quando Roberto mi mise la mano sulla coscia, chiamandomi. "Drew, è l'intervallo. Andiamo a fumarci una sigaretta." Mi scossi, e la sfera si infranse sul banco, dividendosi in tante goccioline, alcune delle quali schizzarono sulla mia maglia. Cazzo. Fu il mio unico pensiero, poi Roberto mi mise una mano sulla spalla e mi condusse fuori. Ci sedemmo su una delle panchine del cortile, all'ombra di un ippocastano che cresceva a pochi metri. Le nostre spalle si sfioravano, una brezza leggera, che sembrava quasi innaturale mi accarezzava il viso, scompigliandomi leggermente il ciuffo castano sulla fronte. Guardai Roberto. Mi sorrideva, e una sensazione di benessere mi pervase.

Spero vi piaccia fino a qui, è la prima storia che scrivo. Potete seguirmi su twitter, @azurejus.
Un bacio.

A Weird Story Of Love.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora