Chapter 9.

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THE EX.

Non riuscivo a pensare ad altro quella mattina, a scuola. Le mie ninfe non c'erano più, mi sentivo perso. Loro mi avevano sempre aiutato, infondendomi energia quando ne avevo bisogno, distraendomi dallo stress della vita di un adolescente (più o meno) qualsiasi. Avevo ancora i miei poteri, ma non avevo più motivi per usarli se non per giocarci nei momenti di noia. Ora anche questo marchio, come lo avevano definito Dione e Cleio, che non avevo la minima idea di cosa potesse essere. Come se non bastasse, Roberto non era in classe, non era proprio venuto a scuola quella mattina. Ne un messaggio, né una chiamata, niente di niente. Non rispondeva ai miei sms, e nemmeno alle mie telefonate. Così alla fine decisi di non aspettarlo per tornare a casa e di andare al parco dove quella mattina era successo tutto. Appena suonò la campana che segnava la fine delle lezioni, mi infilai una cuffia e feci partire la musica, così da distrarmi un po. Scelsi di fare la strada più lunga, nonostante si trattasse di cinque minuti di differenza rispetto a quella più corta. Stavo camminando, guardando basso, con la sigaretta accesa tra le dita, ormai a metà. Fin quando un movimento catturò il mio sguardo. Due persone, si stavano baciando contro un muro. Erano due maschi. Uno era Roberto. E l'altro non ero io. La sigaretta mi cadde dalle mani, e iniziai a tremare. Lacrime calde e salate mi rigavano le guance, ed erano talmente cariche di amarezza che sembrava volessero scavarmi gli zigomi. Ero impietrito dalla rabbia, dalla confusione, dalla tristezza. Ero furioso, una tempesta si stava abbattendo dentro di me, distruggendo tutto. Tutto intorno a me si fece buio, e l'acqua colpì, di nuovo.

Tornai cosciente solo quando Roberto era schiacciato da una colonna d'acqua che lo teneva per il collo, sollevato da terra, contro un muro a parecchi metri di distanza. Attorno a me roteavano oggetti di ogni tipo, lattine, sassi, fogli di giornale. Mi giravano intorno lenti ma con costanza. E non era aria quella che li muoveva. Ero io, me lo sentivo. I miei occhi erano puntati in quelli di Roberto, che mi guardava estremamente impaurito, tentando di parlare. Io gli urlavo contro, probabilmente cose senza senso, su quanto fosse bastardo, che da lui non mi aspettavo una cosa del genere, non lo credevo capace di... questo. Poi mi ricordai dell'altro, ma non percepii nessuno intorno a me. Come facevo a percepirlo? Non lo so nemmeno io, avevo solo la perfetta coscienza di tutto ciò che mi circondava. E nel frattempo continuavo a urlare, stancandomi sempre di più, finché la colonna divenne dapprima esile, e poi non resse più. Quella cadde a terra come una secchiata, Roberto si afflosciò per terra agonizzante, gli oggetti intorno a me caddero facendo un fracasso assurdo e io rovinai a carponi sull'asfalto, ansimante, con le lacrime che scorrevano ancora a fiumi. Mi alzai, lentamente, appoggiandomi al muro vicino, gemendo per lo sforzo, e senza degnare di uno sguardo il mio ex-ragazzo, mi girai e me ne andai a casa.

~

Dormii. Non so per quanto, ma appena aprii la porta di casa, caddi a terra svenuto. Mia madre mi portò sul letto e lì rimasi molte ore, ma non saprei dire quante. Non appena aprii gli occhi, tutti i ricordi mi travolsero la mente con la forza di un uragano, e mi ci volle tutta la mia forza di volontà per trattenermi dal piangere. A fatica mi alzai, e barcollai verso la sala da pranzo, giù di sotto, dove c'era accesa la tv, e mia madre sdraiata sul divano. Appena varcai la soglia della stanza, si alzò di corsa e mi venne ad abbracciare, per poi prendermi per le spalle, inondandomi di domande, che liquidai con qualcosa del tipo: "Oggi a scuola mi é venuta una forte emicrania, era da un po' che non mi sentivo bene.".
Lei annuì e si precipitò in cucina farfugliando qualcosa sulla cioccolata calda, che io rifiutai, lasciandola spiazzata. Non avevo mai rifiutato una cioccolata. Ma avevo altri programmi.
Mi infilai il giubbotto e uscii di casa, prendendo solo il telefono, il portafoglio e le sigarette, il tutto cacciato in uno zaino in stile hipster. L'unica cosa che sapevo era che era notte, le stelle splendevano. Mi incamminai verso il parco di quella mattina, la mia meta originaria, prima che succedesse tutto il casino che è successo. Una volta arrivato, trovai il ragazzo nella stessa posizione in cui l'avevo lasciato, con lo stesso sorriso stampato in volto, e gli stessi occhi vispi. Quando mi guardò mi scappò un sorriso, e lui ricambiò salutandomi con un cenno del capo. Automaticamente andai a sedermi accanto a lui sulla panchina, aspettando un inizio di dialogo da parte sua.
"Ti sei fatto aspettare." Mi disse.
"Scusami tanto, ho avuto un imprevisto e sono dovuto tornare a casa... Non so nemmeno che giorno è. Sono svenuto." Gli risposi, abbassando lo sguardo.
"Beh, è un giorno quasi che ti aspetto. Ma che ti é successo?".
E così, spontaneamente gli raccontai tutto. Non lo conoscevo, eppure mi venne spontaneo parlarne con lui. Stette zitto per tutto il tempo, poi mi passò un braccio attorno al collo, e io mi irrigidii. Mi disse di stare calmo, che era solo per tranquillizzarmi, così mi sciolsi e mi appoggiai alla sua spalla.
Dopo qualche minuto alzai lentamente la testa, guardandolo. Poi lui mi chiese: "Ti va di andare a bere qualcosa?" Con un largo sorriso stampato sulle labbra. Dissi spontaneamente di si.
Così ci incamminammo, il suo braccio ancora sulle mie spalle, come due vecchi amici che si conoscono da anni.

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