ANGEL'S MARK.
Mi risvegliai nel mio letto.
Era stato tutto un sogno. Mi girai pigramente nel letto, avvolgendomi di più nelle coperte, ripensando a ciò che era successo nel mio subconscio notturno. Mi ricordo l'allenamento, Roberto che mi viene incontro, la sua smorfia di dolore e la fitta alla bassa schiena. Aprii un occhio socchiudendolo, guardando verso la radiosveglia illuminata, che segnava le 6.47.
Sbuffando sonoramente mi alzai da letto e mi stiracchiai, e grattandomi mi diressi verso il bagno, strisciando i piedi. Dopo qualche passo, una fitta lancinante di dolore in mezzo ai miei due buchi di Venere mi fece accasciare a terra, lasciandomi senza voce, agonizzante.
Dopo quella che sembrava un eternità, il dolore inizio a scemare, lasciando posto a uno strano senso di vuoto.
Ero rannicchiato per terra, con la schiena decisamente inarcata, con le lacrime agli occhi. Debole, mi rialzai piano, usando l'armadio come appoggio, e mi misi in posizione eretta.
A parte un leggero velo di dolore che si estendeva a tutta la schiena, stavo bene. Quindi ripresi la mia camminata verso il bagno. Questa volta ci arrivai senza problemi. Messomi davanti allo specchio, e aperta l'acqua calda, iniziai a spogliarmi.
Fu quando mi guardai allo specchio, nudo, che le notai. Erano come delle venature nere e blu che sbucavano da dietro le anche per terminare in un cerchio quasi perfetto intorno all'ombelico. Rimasi incantato a guardarle, seguendo con lo sguardo ogni curva e direzione di ogni venatura. Mi girai di fianco per tentare di vedere la mia schiena e di traverso notai che esattamente al centro tra le due fossette c'era un buco, tutto anch'esso nero, non più grande di una monetine da dieci centesimi direi, che stillava goccioline di un liquido denso, nero. Provai a toccarlo, ma il mio dito ci passò attraverso, senza sporcarsi o incontrare resistenza. Devo stare ancora dormendo, pensai.
Lo sguardo mi scivolò sul polso sinistro, verso il bracciale delle ninfe. Era ancora al suo posto, e rispose al mio sguardo con una debole vibrazione, al solito. Scossi un po il braccio per fare passare la sensazione di solletico e mi diressi sotto il getto d'acqua, scuotendo la testa. Rimasi immobile per qualche secondo, aspettando che l'acqua mi bagnasse completamente, beandomi dello scroscio costante dell'acqua fumante sulla testa.
Dopo qualche minuto che osservavo le gocce e le colonnine d'acqua che scrosciavano e si infrangevano in mille goccioline sul pavimento mosaicato della doccia, decisi di provare a deviare il percorso di una di esse, in preda al terribile dubbio che qualcosa potesse essere cambiato con i miei poteri, anche se effettivamente non avrebbe dovuto essere successo niente, perché era solo un sogno, un allucinazione da sonno... ma il dolore? Il dolore era stato reale.
Mi immaginai che uno dei flussi d'acqua che scendeva dritto da una ciocca dei miei capelli facesse una giravolta prima di toccare terra. E così fece, senza alcuno sforzo.
Insomma, non sembrava essere cambiato niente.
Finché notai che l'acqua che mi scorreva dalla schiena e arrivava anch'essa a terra era nera come l'inchiostro.
Guardai verso la pancia e le venature erano più marcate di prima, credo.
Provai ancora a portarmi una mano dietro la schiena a sfiorare il buco, e questa volta, l' "inchiostro" mi rimase sulle dita, anche se scivolò via subito con l'acqua corrente. Anche se sembrava liquido, aveva più la consistenza dell'olio, quindi denso e viscoso.
Strinsi i denti dalla preoccupazione e uscii dalla doccia. Guardai l'orario, era presto, erano appena le 7.01.
Decisi quindi di recarmi prima al laghetto, e poi a scuola. Mi asciugai, facendo scivolare via tutta l'acqua dal corpo e mi vestii in fretta. Non feci caso nemmeno a che mi misi addosso. Una rapida sistemata ai capelli, lo zaino in spalla e uscii di casa, cercando di fare il più silenzioso possibile. A pochi passi da casa mia mi accesi una sigaretta, e a velocità sostenuta mi diressi verso il lago. Durante il tragitto la finii e la gettai in strada, lasciandomi sfuggire un sorrisino quando centrai il tombino, e arrivato al parco, nascosto lo zaino in un cespuglio, mi tuffai di testa nel lago. La solita sensazione di vuoto, e poi l'atterraggio su un fondo che non esisteva. Chiamai le due ninfe, che non si fecero attendere un momento. Mi salutarono cordialmente e io risposi inchinandomi leggermente, al solito. Poi Cleio alzò la testa verso un punto sopra la mia testa, così seguii il suo sguardo e notai come una nuvola di inchiostro nero nell'acqua che saliva piano. Lei saettò in fretta verso di me, mi girò intorno e si posizionò dietro di me, alzandomi la maglia prima che io facessi in tempo a fare qualsiasi cosa. A quanto pare il buco e tutto il resto c'erano, e perdevano ancora liquido, dato il gridolino della ninfa.
"Cos'è, Cleio?" Chiesi preoccupato.
Ma nessuna risposta mi giunse da dietro. In compenso Dione raggiunse l'altra ed emise un ringhio cupo e gutturale.
"Non mi piace per niente" aggiunse poi.
"Cosa non ti piace? Che cos'è quello?" Chiesi, alzando la voce.
"È successo, sorella, non piace nemmeno a me, ma è successo." Disse Cleio a Dione, la voce venata dalla tristezza.
E l'altra le risponde, con una voce diversa da prima, sembrava anche lei molto triste. "Cosa faremo ora? Non voglio darglielo, non anche lui."
"Penso sia necessario, anche se nemmeno a me piace."
A chi devono darmi? Cosa è successo?
Pensai, prima di girarmi di scatto e sbottare, interrompendo Dione che stava per parlare. "CHE DIAVOLO È? A CHI DOVETE DARMI?" Urlai, attirando finalmente l'attenzione delle due creature, che subito però abbassarono lo sguardo. Le due si scambiarono un veloce sguardo, poi Dione si fece avanti, e mi guardò negli occhi. I suoi erano profondi e blu scurissimo, non glieli avevo mai visti da vicino. In quel momento erano pieni di tristezza mal celata.
"Mi dispiace Andrea, mi spiace tanto. Fai tesoro di tutto ciò che ti ho insegnato, ti servirà. Non succederanno cose belle da ora in poi, e dovrai cavartela da solo. Non fidarti troppo da loro." Rimarcò l'ultima parola quasi con disprezzo, poi mi prese la mano, e fece scorrere la sua lungo il mio braccio, verso le perle. Ero paralizzato, non capivo appieno il significato delle sue parole, ma intuii che non era niente di buono. Non riuscivo a muovermi, sentii solo le lacrime salirmi agli occhi per poi disperdersi immediatamente nell'acqua circostante. Quando la sua mano sfiorò il bracciale, la perla nera si sciolse in una nuvola di polvere. Come se una parte di me mi avesse abbandonato, mi mancò il fiato, a caddi in ginocchio.
Dione scivolò via da me e l'improvvisa sensazione che non l'avrei mai più rivista si insinuò velocemente dentro di me. Girai la testa verso di lei, seguendola con gli occhi, un grido di tristezza soffocato in gola. Speravo si girasse, per guardarla un ultima volta. Ma sparì nel buio, dove io non potevo raggiungerla. L'ultima cosa che vidi era lo scintillio della sua coda che spariva. Riportai lo sguardo verso Cleio, che si era avvicinata a me. singhiozzò e si accovacciò di fronte a me, accarezzandomi la guancia, singhiozzando forte. "Sii forte. Mantieni sempre la calma e la concentrazione quando domini, e tutto andrà per il meglio. Quel buco è un Marchio degli Angeli.
Evidentemente ti hanno scelto, ti hanno dato un nuovo potere, una cosa che non fanno quasi mai. L'ho sempre saputo che eri speciale Andrea, l'ho sempre pensato. Non volevo che accadesse. Mi spiace tanto. Ci siamo lasciate andare e ti abbiamo portato al livello di perfezione, perché potessi essere scelto da loro. Ora il tuo cammino sarà molto difficile, ma ce la farai, grazie alle persone che ami. Sii forte Andrea. Appena riuscirai a controllare il tuo potere, loro scenderanno e ti guideranno, come abbiamo fatto noi. Ci mancherai. Sei stato il migliore."
Toccò anche lei il mio braccio e l'ultima perla scomparve in un debole scintillio. Solo a quel punto mi resi conto che stavo piangendo, tanto. Una volta sparito anche quella, mi sentii totalmente senza forze e crollai supino sul fondale. I miei occhi sfarfallavano, mentre sentivo che il fondo sotto di me si stava trasformando in erba fresca e iniziavo a respirare aria. Tirai un forte respiro e ripresi a piangere più forte di prima, urlavo dal dolore, ma non dolore fisico, dolore emotivo. Volevo bene alle ninfe. Dovevo tutto a loro. Dopo qualche minuto, o qualche ora, non saprei dirlo, stavo ancora piangendo, quando sentii una mano sul mio braccio. In un impeto di rabbia mi alzai di scatto, e con un urlo feroce sollevai tutta l'acqua nel lago dietro di me e la feci sbattere con la forza di un treno contro colui, o colei, che mi aveva toccato. Avvertii una piccola resistenza che si infranse poco dopo e feci sbattere la persona contro il tronco di un albero non lontano. Ansimando forte, le lacrime che mi solcavano il volto e si raggruppavano sotto il mento, mi avvicinai a lui/lei, e lo guardai dritto in faccia. Era un ragazzo, evidentemente svenuto. Aveva i capelli neri, corti da un lato e un po' più lunghi sopra, e questo è tutto quello che riuscivo a vedere, avendo lui la testa a penzoloni sul petto. Ricacciai l'acqua nel lago con un un brusco movimento della mano, e mi asciugai le lacrime. Mi avvicinai verso di lui, che era ora steso a terra tra due radici dell'albero. Mi avvicinai e lo scossi piano, tirando su col naso, poi un movimento ai miei lati mi fece sobbalzare all'indietro, dove atterrai a gattoni, pronto a scattare, con un globo d'acqua scura in mano. L'unica cosa che si muoveva erano le radici dell'albero che stavano avvolgendo il ragazzo. Mi accigliai, indeciso sul da farsi. Appena le radici si illuminarono di un debolissimo bagliore pulsante verdognolo, il ragazzo aprì gli occhi inspirando forte. Si sbarazzò delle radici con un gesto, e queste tornarono al loro posto. Poi mi guardò negli occhi, ed erano azzurro grigi, profondi ed emotivi, e scintillavano al chiarore dell'alba.
Il viso era ben delineato, con il mento leggermente squadrato, e gli zigomi alti e pronunciati.
Si alzò a fatica, e mi sorrise, scuotendo il capo.
"Dimostrazione di dominio eccellente, ma é così che saluti le persone, sbattendole contro gli alberi con l'acqua dei laghi?" Mi disse.
Mi sfuggì un sorriso e mormorai un fioco "Scusa.".
"Non importa, credo sia un brutto momento per te. Il prato mi ha detto che piangevi da parecchi minuti. Sono le otto meno un quarto. Non vai a scuola?"
"Oh si, ehm... La scuola... Giusto. Scusami per.. Ehm... Quello, ma... Ora devo andare."
"Mi liquidi così? Con qualche parola farfugliata e uno sguardo fuggente?"
"È che sono in ritardo e... Non é una bella mattinata."
"Oh si, certo. Ti va di vederci qui quando finisci? Sono curioso di sapere la tua storia, o almeno di sapere chi sei. Sei molto bello. Io ti aspetterò qui."
A quelle parole sentii un calore divamparmi sulle guance e dopo aver mormorato un "A dopo.", girai sui tacchi e feci qualche passo, ricordandomi poi lo zaino, così imbarazzatissimo tornai indietro, verso il cespuglio, cercando di ignorare la risatina divertita del ragazzo. Poi mi diressi a passo spedito verso la scuola, lasciandomi alle spalle il parco, il ragazzo dai capelli neri, il lago, e le due ninfe, queste ultime per sempre.
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A Weird Story Of Love.
أدب المراهقينSembro un ragazzo normale, come tutti gli altri. E fin da piccolo ho sognato di distinguermi. Finché qualcuno mi ha dato ho un dono. Posso controllare l'acqua. Posso congelarla, farla comparire dal nulla, farla levitare, spostare, evaporare. Dalla n...