Cheers

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Ci avvicinammo al bar e lui salutò il barista con una stretta di mano, ordinò due tequile e io non dissi niente. Lo guardavo muovere le dita smaltate di nero piene di anelli e nascosi le mani sotto il bancone, le mie unghie mangiate e la mancanza di qualsiasi gioiello eccetto l'anello da uomo che tenevo al medio sinistro mi fecero sentire improvvisamente enorme e fuori luogo. Una ragazza più piccola di me e le sue amichette gli chiesero una foto trovando il coraggio di battergli sulla spalla. Lui le abbracciò tutte e fu molto gentile, le salutò, fece uno scatto con ognuna e una addirittura gli baciò la guancia. Io sorridevo, mentre loro e i loro vestitini striminziti e il fondotinta spesso come una maschera mi davano la schiena. Mi ricordai delle immagini lontane in cui anche io ero così e mi sentii molto più vecchia di quello che ero. Ordinai un cocktail e scambiai qualche parola con il barista, facendo ironia su quanta fatica debbano fare le persone famose a vivere.

«Hai bevuto senza di me» mi disse Damiano, dopo che le ragazze si furono allontanate con i telefonini stretti al petto e una serie infinita di risolini.

Alzai il bicchierino pieno di liquido trasparente ancora intatto: «Cheers» dissi come facevo di solito. Lui mi fece il verso e entrambi prima di buttare giù la tequila battemmo il bicchiere sul bancone.

Riuscimmo ad appollaiarci su due sgabelli e mentre bevevo il mio cocktail iniziai a fargli un sacco di domande. Su X- Factor, sulla band, su cosa volevano fare in futuro, sugli altri membri, sulla scuola che aveva frequentato, sulla sua famiglia, su chi gli mancava di più degli altri concorrenti.

«Basta, fine dell'intervista. Devi dirmi qualcosa di te o non vale» mi interruppe a un certo punto.

«Pensavo che a un narcisista delle tue proporzioni non dispiacesse ricevere un po' di attenzioni, poi io non ho niente da raccontare rispetto a te» dissi ridendo, mentre accoglievo con gioia l'alcool che mi rilassava le membra e mi scioglieva la testa, ero finalmente di buon umore.

Anche lui rise, aveva gli occhi più lucidi. «Dai, per esempio... che fai qui aRroma?» disse porgendomi il suo pugno chiuso come se fosse un microfono.

«Per ora, incontro cantanti famosi in discoteca» risposi ammiccando.

«Eddai.»

«Faccio un corso di scrittura creativa» dissi alla fine, abbassando il tono e cercando di essere un minimo seria.

«Perché a Milano non ce stava?»

«Volevo cambiare aria.» Sì, certo, cambiare aria. Eppure ora la scelta di venire a Roma mi sembrava la decisione più idiota che avessi mai preso: avevo lasciato la mia bella casa, il mio cane, la famiglia, gli amici per andarmi a ficcare in un minuscolo appartamento in una città sporca e rumorosa dove per compiere qualsiasi distanza ci si metteva un'ora. Scherzo, Roma era meravigliosa, ma la sua bellezza mi sembrava lì non per me. Sapevo dov'era Villa Borghese, dove era la scalinata di Spagna e Trastevere, ma non volevo andarci da sola. Ero stata così felice quando io e Matteo avevamo fatto un giro per i Fori qualche giorno prima. E ora ero di nuovo sola in una città che era eterna e troppo grande per me e le mie insicurezze.

«E te piace sto cambiamento?» mi chiese lui quasi mi avesse letto nel pensiero. Stava appoggiato con un gomito al bancone e stava girato verso di me. Quando parlava muoveva le mani come farfalle, ma si vedeva che lo faceva apposta, era un altro esercizio per mantenere vivo il suo personaggio, come il marcare o meno il suo romanesco.

«Più o meno» gli risposi sorridendo «Mi aspettavo di beccare qualche attore di hollywood, ma finora ho incontrato solo te».

Continuammo a ridere, mi chiese cosa avevo studiato prima, cosa volevo fare dopo e capì che avevo quattro anni più di lui e scrivevo. Disse «Che fico» un sacco di volte, mentre mi ascoltava, ma non sembrava annoiato.

Mi trascinò a ballare nonostante le mie proteste, lui si muoveva davvero bene, soprattutto per essere un ragazzo. Avrei voluto chiedergli se lo sapeva già fare o gliel'avevano insegnato durante il programma, ma la musica era troppo forte. Mi fece un occhiolino e prendendomi la mano mi fece girare e bam!

Finii contro il suo petto, incespicando nei miei piedi e sospinta dalla folla, e la sua bocca era lì, a un secondo di distanza dalla mia, dove sono sempre le labbra di qualcuno quando non le avevi mai immaginate prima. 

Mi prese il viso fra le mani, sorridevamo, perché entrambi sapevamo cosa stava per succedere e l'alcool e i bassi ci scaldavano le vene. Il mio cervello si disse che era una situazione ridicola visto che lui era famoso, era sicuramente un dongiovanni ed era appena maggiorenne. Aveva giusto l'età di mia sorella, pensai. Ma prima che potessi decidere cosa fosse meglio fare, lui appoggiò le labbra sulle mie.

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