Da quanto tempo non baciavo qualcuno in discoteca? Spostai le mie mani sulle sue spalle, sentii i suoi muscoli contrarsi sotto la giacca, e poi dentro i suoi capelli, erano ruvidi e ingarbugliati.
Mi strinse a sé sollevandomi da terra di qualche centimetro, le braccia attorno alla mia vita, e io mi ricordai quanto fosse bello baciare qualcuno in discoteca. Ma, un attimo dopo, mi venne in mente perché nei miei ricordi non fosse tra le cose belle.
Iniziò il rumore, divenne troppo forte, come se qualcuno mi avesse bucato le orecchie e ci avesse infilato un apparecchio acustico a mia insaputa. Poi il calore, ero appiccicosa e la dolcevita mi strozzava il collo, sudavo e le persone erano tutte troppo vicine. Tutte accalcate, tutte le loro mani, i loro gomiti, le loro schiene mi toccavano. Mi toccavano i capelli, la parte scoperta della mia pelle, le mani. Mi davano la nausea.
Mi resi conto che ero già iperventilazione quando Damiano mi chiese se stavo bene.
Lo guardai e provai a sorridere e a dirgli che era tutto okay, ma mi sentivo affogare. Stavo andando giù, sempre più giù. Ebbi la forza di staccarmi rapidamente da lui e infilarmi tra la folla verso lo spazio vuoto vicino al muro del locale, lo sentii seguirmi. Mi buttai con la schiena sul muro, mentre cercavo di inspirare, ma la mia gola si rifiutava di aprirsi, il cuore era a mille, il rumore, la folla, la musica, il sudore: era tutto troppo.
Chiusi gli occhi, stavo per morire soffocata. Dovevo morire. Morivo, morivo, morivo. O peggio, avrei vomitato. Tutta quella gente, tutta quella pelle, tutto quel contatto. Le lacrime vennero anche se stringevo le palpebre. Damiano era davanti a me e mi guardava senza capire, anche lui mi toglieva il fiato, con quegli occhi truccati di nero e le labbra sottili, anche lui era troppo. Lo trascinai vicino a me, con la schiena contro il muro, come se stessimo giocando insieme a "il pavimento è lava" nel modo sbagliato. Mi appesi al suo braccio, stringendo fortissimo la sua mano.
Passò dopo un paio di minuti, ormai singhiozzavo solo a vuoto. Mi asciugai le guance e gli lasciai la mano.
«Dov'eravamo rimasti?» gli chiesi abbozzando un sorriso, prendendolo per la camicia per riavvicinarlo a me. Non ci potevo credere, serata in discoteca, le amiche di Milano, la musica che non faceva schifo, L'incontro con Damiano e poi io che rovinavo tutto. Un classico. Mi sentivo così stupida che non vedevo l'ora di mettermi sotto le coperte e dire addio al mondo per un paio d'ore prima di tornare a rivedere nella mia testa quella scena imbarazzante.
«Che era sta cosa?» mi chiese, mettendo una mano sul muro dietro di me, senza toccarmi. La spostai fra le mie, in un tacito tentativo di fargli capire che ora poteva posarla su di me.
«Una magnifica crisi d'ansia con un tempismo perfetto.» Come sempre ora che era finita mi sentivo al settimo cielo, avevo voglia di correre nuda in un prato, di baciare di nuovo Damiano, di tornare a ballare, a bere, a vivere. «Scusami tanto, io sono un po' strana, se devi andare vai pure, mi dispiace di avere fatto questa scenata e di averti costretto ad assistere, io...» cercai di spiegarmi, ma come?
Mi interruppe prendendomi il viso fra le mani di nuovo e guardandomi con una strana espressione. Era una faccia molto più naturale di quelle che aveva fatto finora: «Ansia de che?» mi chiese alla fine, dopo avermi studiato per qualche secondo.
«Damiano! Aò, ti abbiamo cercato da tutte le parti cazzo, che te avevo detto?» Il chitarrista dei Maneskin era comparso accanto a noi senza che ce ne accorgessimo: «Fatte trovà fori e invece stai sempre a pensà alla fregna. Noi vorremmo andare, a casa ce devi portà te eh» disse, tirandogli una pacca sulla schiena.
Il resto della band lo aspettava vicino all'ingresso, incrociai lo sguardo scocciato di Victoria e pensai a quanto era stupenda anche dal vivo. Ecco che genere di ragazza avrei voluto essere.
«A cobra, non rompete i coglioni, non sono il vostro autista.»
«Eddai Damià, domani c'abbiamo mille cose da fare, annamo» e si allontanò da noi. Gli feci un cenno con la mano, ma non mi vide.
«Scusa, devo andare. Che vuoi un passaggio a casa?»
«No, grazie, abito qui vicino e sono con le mie amiche.»
«Sicura?»
«Sicura, grazie.»
Mi diede un lieve bacio sulle labbra, sorprendendomi, prima di avviarsi verso l'uscita.
«Aspetta, dammi il cellulare» gli urlai. Lui rimase confuso per un attimo , ma mi porse il suo telefono. Digitai il mio numero e mi chiamai, attaccai al primo squillo: «Ora c'hai il mio numero» gli sorrisi, imitando il suo modo di parlare «E io c'ho il tuo. Caso mai ti venisse voglia di continuare... la conversazione, ecco». Ma che diamine stavo dicendo?
Sorrise di nuovo e mi baciò la mano: «Ciao principessa» disse, poi se ne andò sculettando a passo di danza con le mani al cielo.
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Romance[...]Ehi tu con il cappello!» gridai a un ragazzo che stava fumando fuori dal locale «Ti sembro vestita come una che vuole rimorchiare?». Il ragazzo si girò verso di noi, aveva un borsalino nero sopra i capelli castani che gli arrivavano alle spalle...