Ho riso troppo

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Ecco il nuovo capitolo finalmente!
Il prossimo ad almeno 3 voti. Spero vi piaccia e niente, buona lettura

~laragazzainero~

È finalmente finita la giornata scolastica: tra noia, ansia e brutti voti ci sono state anche delle chiacchiere con Jessie (qualcosa di positivo nella mia vita, finalmente).
Ci stiamo dirigendo verso l'uscita della scuola e continuiamo a parlare: mi racconta di come si trovava nella sua vecchia scuola e delle differenze tra l'Inghilterra e l'America, come se non le sapessi già visto che Adele coglie ogni occasione per rinfacciarmi come sia meglio la sua città natale rispetto a quella dove viviamo. In ogni caso io penso sia meglio l'America, mi piace cosa è fatto negli USA. La lascio parlare in ogni caso e ascolto interessata; parliamo anche del fatto che Taylor sia una stronzetta viziata, fino a quando non arriviamo all'uscita. Come al solito, c'è Adele ad aspettarmi; vorrei tanto presentarle Jessie! Però, adesso che ci penso, potrebbero conoscersi: la cittadina da cui viene Jessie è molto vicina a quella di Adele e lei mi ha raccontato che nella sua scuola andavano anche ragazzi di altri paesi vicino.
Arrivo finalmente da Adele e l'abbraccio forte: è incredibile come mi possa mancare così tanto una persona che non vedo da poche ore; intanto Jessie ci sta guardando un po' imbarazzata non sapendo cosa dire, io lo noto, allora mi stacco e faccio le presentazioni
-Allora... Adele, lei è Jessie. Jessie, lei è Adele
Vedo la mia migliore amica un po' perplessa; sta cercando di ricordare qualcosa.
-Ho capito chi sei!- urla ad un certo punto: quant'è disagiata questa ragazza, penso ridacchiando. Intanto Jessie si è presa un bello spavento a causa dell'urlo improvviso.
-Ma la conosci?- chiedo io incuriosita
-Sì, veniva a scuola di canto con me prima che io mi trasferissi. Mi stavi anche simpatica ma non abbiamo avuto abbastanza tempo per legare-
Vedo che anche Jessie si ricorda di Adele: che bello, si conoscevano già, così possiamo diventare un trio e non solo più un duo, triste e solitario.
Prendo il cellulare mentre Adele e Jessie parlano tranquillamente della loro vecchia insegnante di canto sclerata, vedo l'ora: il treno sta per arrivare e noi siamo ancora davanti alla scuola, dobbiamo sbrigarci. Lo dico alle mie amiche e iniziamo a correre: siamo buffe, sembriamo dei pinguini che corrono con il peso dello zaino, sono buffissime, soprattutto loro. Mi viene così tanto da ridere a vederle che ho mal di pancia.
Mi ero scordata di cosa si provasse a ridere così tanto, non lo facevo più ormai da molto tempo: da quando Taylor aveva iniziato a prendermi di mira; da quel momento io ho smesso di vivere, di ridere e di provare tutte le sensazioni che prova una normale ragazza della mia età, tutte tranne il dolore. Ed eccomi qui, a rovinare un momento perfetto: di colpo smetto di ridere e abbasso la testa, si perché io non riesco a vivere più di cinque minuti di felicità prima che il mio cervello trovi almeno venti motivi per cui non essere felice. Non è colpa mia, non riesco a tenermi stretti neanche quei piccoli momenti di gioia, riesco sempre a rovinare tutto. Non ne faccio mai una giusta; magari l'errore sono io in principio.
Siamo riuscite a prendere il treno, Adele e Jessie si sono accorte che c'è qualcosa che non va, ma la mora è troppo timida e mi conosce ancora troppo poco per chiedermi che cosa avessi, quindi lo fa Adele.
-Ehi, amore che hai?
A volte vorrei che lei non notasse sempre quello che provo, almeno per una volta, così potrei evitare spiegazioni che non so dare, perché neanche io so realmente cos'ho.
Tiro su la testa, cercando di trattenere le lacrime che, non so per quale motivo, minacciano di uscire
-Niente. Solo che ho riso troppo per voi che correvate come dei pinguini goffi!- mi sforzo di sorridere. Probabilmente non ero abbastanza convincente perché Adele non mi ha creduto, però ha fatto finta di niente e ha continuato a scherzare. Dopo venti minuti di battute e scherzi a cui non riuscivo a ridere veramente, arriviamo a casa; Jessie ci chiede se ci andrebbe di uscire più tardi, io non so cosa rispondere perché non mi va, non sono dell'umore, però ho paura di offenderla in qualche modo. Alla fine invento una scusa
-No, mi dispiace tanto, ma devo stare a casa a badare alla mia sorellina, perché mia mamma lavora
-Ok allora sarà per un'altra volta- dice con un pizzico di amarezza e delusione nella voce. Mi dispiace vederla così, però ho bisogno di stare da sola.
-Potresti uscire comunque con Adele, non mi offendo- dico sforzandomi di sorridere
-Certo! Se per lei va bene...- dice con un sorriso speranzoso. Adele annuisce
-Bene, allora noi ci vediamo domani- dico io salutando con un cenno della mano e iniziando ad andare verso casa mia.
Mi metto le cuffie: ascolto musica hard rock, emo oppure heavy metal, insomma tutte cose di questo genere. Faccio partire "Hero" degli Skillet e mentre ascolto il bellissimo testo di quella canzone, che parla del semplice fatto di essere umani e di non essere invincibili, arrivo a casa. Tiro fuori le chiavi dalla cartella e apro la porta; al contrario di quanto avevo detto a Jessie non c'è nessuno perché le mie sorelle sono a scuola e mia madre e suo marito sono a lavoro. Vado direttamente in camera mia, non ho fame: strano perché di solito appena arrivo a casa da scuola mi ingozzo, per riuscire a riempire quel vuoto che si forma in me, e poi vomito perché mi sento in colpa e perché sono troppo grassa. Con questo metodo sono già dimagrita molto, quindi continuerò, ma adesso non ho proprio fame, ho solo un senso di nausea di cui non so neanche la motivazione, lo stomaco chiuso e un nodo in gola.
Appena arrivo nella mia camera, butto lo zaino per terra e scoppio in un pianto liberatorio, quasi isterico. Non mi era mai successo di piangere così, anche quando ero da sola a casa, avevo sempre pianto in silenzio; ora invece no: sono sul letto, con un vuoto dentro così grande che potrebbe risucchiarmi del tutto, le urla che non riesco a trattenere e le guance rigate dalle lacrime. Non so cosa mi stia succedendo, so solo che ho bisogno di rimpiazzare quel vuoto che ho dentro con una qualsiasi emozione o sensazione; qualsiasi cosa andrebbe bene: prendo il mio temperino, il cacciavite del marito di mia madre e lo smonto. Rimane solo la lama di quel temperino mai utilizzato. Me la rigiro tra le mani, sono seduta sul pavimento del bagno, non mi ricordo neanche il tragitto per arrivare fino a qui. Mi tiro su la manica sinistra e rimango un attimo ad osservare il mio braccio, già pieno di segni e cicatrici che probabilmente non andranno mai via. Le lacrime continuano a scendere e io inizio a far fatica anche a respirare; quel vuoto che provavo ormai impedisce anche di far passare bene l'aria. Appoggio la lametta sulla pelle, premo un po' e si apre un'altra ferita che si unisce a tutte le altre; sento bruciare un po' il braccio, era questo quello che stavo cercando: significa che sono umana e che qualcosa riesco a provarla, magari non sarò brava a sentirmi felice o ad essere forte, ma sono brava a farmi del male e ad autocommiserarmi; sono davvero un errore e ho bisogno di essere cancellato. In questo momento la lametta è diventata la gomma e io il tratto d'inchiostro sbagliato; quel pezzo freddo di metallo potrei anche definirlo un amico: si adatta alle mie esigenze, diventa ciò di cui ho bisogno, è sempre nella mia testa, anche quando decido di allontanarlo, lui è sempre lì, in un angolino della mia mente che aspetta il momento in cui io avrò bisogno di lui e lui ci sarà. Le gocce di sangue continuano a cadere e si mischiano alle lacrime che piano piano diventano sempre meno frequenti; non so nemmeno io come sia possibile, ma la lametta mi fa stare meglio tutte le volte.
Dovrei alzarmi dal pavimento, medicarmi e fare i compiti, ma non ho le forze, quindi rimango ancora un po' sul pavimento ancora sanguinante. Mi sto per alzare quando sento la porta d'ingresso aprirsi: è mia madre; faccio in fretta e chiudo a chiave il bagno, mi medico le ferite e pulisco il pavimento; intanto mia madre è già arrivata in camera sua, vorrà venire qui, quindi esco senza degnarla di uno sguardo e mi dirigo in camera mia, sdraiandomi sopra al letto. Dovrei fare i compiti, ma non ne ho voglia, non ho voglia di fare nulla, neanche di stare al cellulare, quindi decido di non pensare a niente, chiudere gli occhi e dormire.
Dopo un po' riesco ad addormentarmi e scivolo in un sonno profondo senza sogni, né incubi, solo il buio più totale; ciò che c'è nella mia mente.

Now I'm a warrior || Demi LovatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora