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Remus era steso sul divano di casa di Sirius avvolto in una coperta troppo piccola per coprirlo interamente; dormiva con il capo posato sulle gambe di Cecily, intenta a sfogliare le pagine di un libro di pozioni con la fronte corrugata.
“Sei riuscita a trovare qualcosa?” la voce di Lily giunse delicata alle orecchie della giovane che sollevò lo sguardo: aveva parlato piano per non svegliare Remus, sedendosi davanti loro con le labbra appena arricciate. Cecily sospirò chiudendo il libro e posandolo con più delicatezza possibile mentre scuoteva la testa.
“Qualcosa deve esserci – abbiamo delle chiavi che volano e non qualcosa per aiutarlo? No, mi rifiuto di crederlo,” scosse nuovamente il capo, unendo per pochi istanti le labbra prima di passare lentamente e con dolcezza le dita tra i capelli di Remus che sospirò nel sonno, accoccolandosi maggiormente contro la ragazza. Lily li osservò per pochi istanti prima di inumidirsi le labbra e unire le mani.
“Cecy, i maghi non sono diversi dai babbani. Remus è una rara eccezione, e lo sai benissimo, lui è una persona buona, e nessuno potrà mai essere vagamente come lui. So che sei speranzosa, ma devi essere consapevole che c’è la possibilità di perderla, questa speranza,” mormorò dolcemente, sporgendosi appena in avanti. Il ragazzo si mosse lentamente, rigirandosi sul fianco opposto quasi a nascondere il volto contro il corpo di Cecily che sollevò le mani per qualche istante, evitando di disturbarlo ulteriormente. Sospirò, lo sguardo chino sul volto rilassato di Remus, quindi tornò a guardare Lily.
“So che non siamo diversi dai babbani. So che anche che l’essere umano agisce per convenienza, è questa non è una cosa che conviene a tutti? Al Ministero farebbe comodo tener sotto controllo qualcuno come Greyback, non credi?” abbassò il tono di voce nel nominare quest’ultimo, come temendo di turbare Remus in qualche modo. Lily rimase in silenzio, le labbra serrate e lo sguardo preoccupato chino verso il pavimento – per lei era sempre così dopo la luna piena, quando James, Remus e Sirius rientravano esausti e si addormentavano prima ancora di toccare un cuscino. Peter era l’unico che non sembrava mai così stanco, e preferiva andare a casa sua a dormire – Lily si era chiesa più volte se era solamente lei a vederlo sempre più distante, anche se attribuiva la sua costante tensione alla situazione del momento. Si alzò con un lieve sospiro e si fermò qualche istante accanto a Cecily, carezzandole il volto e i capelli con un sorriso tirato.
“Farai del tuo meglio, Cecy, come sempre – e noi ti aiuteremo più che possiamo,” mormorò prima di allontanarsi, lasciando i due nuovamente da soli.

Quel pomeriggio, Sirius arrivò come un uragano in salone quasi lanciando degli abiti a Cecily che lo osservò confusa.
“Non lasceremo che questi avvenimenti ci rovinino la vita, Griffiths,” esclamò, girando attorno il divano prima di inginocchiarsi davanti lei e posarle le mani sulle gambe, lo sguardo sollevato sul suo volto e un sorrisetto divertito sul volto. “Ho chiamato i tuoi genitori, andiamo a trovarli,” dichiarò. Le labbra di Cecily si dischiusero di colpo mentre stringeva le dita attorno la maglia che le era atterrata in grembo.
“Hai fatto cosa, scusa?” domandò con voce quasi stridula. “Sirius! Loro non sanno neppure chi sei!” protestò, curvando le spalle in avanti. Sirius piegò le labbra in un finto broncio mentre si rialzava.
“Fingerò di non averti sentito – anche perché tua madre sembrava sapere benissimo chi fossi,” disse, posandosi per qualche istante le mani sui fianchi prima di sbuffare e afferrare la ragazza e sollevarla di peso. “Coraggio, dobbiamo essere lì prima di cena,” aggiunse prima di sospingerla delicatamente verso la stanza, ignorando deliberatamente le sue proteste.
“Ti odio,” gli disse, piagnucolando. Un piccolo ghigno attraversò il volto del ragazzo che si sporse per lasciarle un rapido bacio a fior di labbra.
“Non è affatto vero,” rispose mormorando, punzecchiandole quindi i fianchi finché lei non si chiuse la porta alle spalle con un verso di protesta.
Pochi minuti dopo uscì infilandosi una camicia troppo ampia per la sua figura al di sopra della maglia stretta sui fianchi. Sirius la osservò per qualche istante ancora poggiato alla parete di fronte la porta, le sopracciglia inarcate e le braccia incrociate contro il petto.
“Quella è..” iniziò, indicandola mentre lei gli passava accanto rapidamente.
“Sì, lo è – muoviti, Black,” lo interruppe. Il ragazzo si staccò di colpo dalla parete e le corse dietro, sollevandola da terra per i fianchi tra le risate di entrambi. Era uno di quei suoni che Cecily avrebbe voluto imprimersi nella mente per il resto della sua vita: le loro risate, la voce di Sirius mentre cantava, o le raccontava qualcosa che gli piaceva particolarmente – quel qualcosa che gli illuminava l’intero volto, non solo gli occhi. Oppure il modo in cui le parlava di lei, di loro.
Raggiunsero casa sua in poco, ma lei rimase ancora qualche istante stretta contro la sua schiena – inizialmente detestava salire sulla moto di Sirius, ma con il tempo aveva iniziato a farci l’abitudine e quasi le piaceva.
“I vicini ci spiano dalle finestre,” rise Sirius, posando una mano sulle sue ancora premute contro il suo addome. Percepì la ragazza stringersi tra le spalle prima di smontare dal sellino e sporgersi lievemente nella sua direzione.
“Il lupo perde il pelo ma non il vizio,” dichiarò prima di stampargli un bacio sulla punta del naso e scostarsi da lui, facendo un cenno di saluto in direzione della casa alle sue spalle.
I due raggiunsero la porta, Sirius un passo dietro di lei che si guardava attorno come spaesato – gli sembrava fosse passata una vita da quando era stato lì la prima volta, a sedici anni con solo un borsone in mano. Adesso aveva le dita intrecciate tra quelle della ragazza – della donna – che amava. Sussultò appena mentre la porta si apriva: la amava, come aveva fatto a non rendersene conto prima? Dovevano essere sul punto di una guerra tra maghi per capire certe cose? Eppure avevano avuto sette anni per capirlo.
La donna sulla soglia della porta sorrise raggiante e gettò le braccia attorno le spalle di Cecily, tirandola a sé. Cecily sembrava così piccola vicino a lei che Sirius non riuscì a trattenere un sorriso. “Mi sei mancata anche tu, mamma,” mormorò la ragazza, stampandole un delicato bacio sulla guancia. Poi la donna si staccò da lei, che indietreggiò, avvolgendo quasi timidamente un braccio attorno i fianchi di un Sirius ancora sorridente.
“Tu devi essere Sirius,” disse dolcemente, porgendogli poi la mano. “Saltiamo la parte formale e chiamami direttamente Rose,” sorrise, lasciando ricadere il braccio dopo una rapida stretta.
“Esatto; è un piacere,” rispose il ragazzo, mentre Cecily sembrava trattenere a stento una risata nel vederlo un po’ impacciato e nervoso. La donna si fece da parte, lasciando così spazio ai due per entrare in casa, quindi fece un cenno di saluto verso la casa di fronte, da cui si sentirono alcuni borbottii infastiditi che fecero ridere tutti e tre.
Nonostante non vivesse lì da tempo ormai, nella casa si sentiva percepiva ancora la presenza di Cecily: dalle foto statiche sulle pareti ai colori dell’arredamento ad ancora i quadri ben organizzati per il corridoio. In un angolo c’era persino il giradischi che avevano usato loro per ballare in Sala Comune.
“Io mi ricordo di te,” disse l’uomo dietro il banco della cucina, puntando un coltello in direzione di Sirius che si bloccò di colpo, gli occhi sgranati e le labbra appena dischiuse – sembrava boccheggiare. “Tu sei il ragazzino che ci ha tagliato la strada alla stazione il primo anno, quello con gli occhi argentati!” esclamò poi, le labbra appena arricciate. Cecily rise, staccandosi da Sirius per raggiungere l’uomo.
“Dovevo avvisarti: mio padre ha una memoria di ferro,” mormorò divertita, avvolgendo le braccia attorno le spalle dell’uomo e stampandogli un bacio sulla guancia con una lieve barba brizzolata. L’uomo sorrise – lo stesso sorriso di Cecily, che illuminava il suo intero volto – e le scompigliò dolcemente i capelli.
“Mi dispiace,” mugugnò Sirius, muovendo qualche passo nella loro direzione. “In mia difesa, non vedevo l’ora di arrivare a scuola, e credevo che se fossi salito prima il treno avrebbe anticipato la partenza,” ammise, sollevando appena le mani. L’uomo lo guardò per qualche istante, poi si rivolse alla figlia.
“Hai vinto tu, mi piace di già,” dichiarò in tono serio, posando il coltello e pulendosi le mani con uno straccio prima di tenderne una in direzione di Sirius, oltre il bancone. “Sono Jesse, e in questa casa non ci piacciono le formalità.”
“Sirius,” rispose il ragazzo, stringendogli la mano e rivolgendo un rapido sguardo a una Cecily a metà tra il divertito e l’intenerito. “Lo avevo notato, e devo ammettere che non mi dispiace affatto,” aggiunse, sorridendo. Tutto il nervosismo di pochi momenti prima era svanito, rimpiazzato da un piacevole tepore che gli avvolgeva tutto il corpo. Quando Cecily lo raggiunse, abbracciandolo da dietro, sentì anche l’ultimo nervo sciogliersi, lasciandolo del tutto libero.
“Benvenuto in famiglia, Black,” sussurrò contro la sua spalla, facendolo sorridere nuovamente. Lei era l’unica persona che poteva chiamarlo Black senza infastidirlo, a quel punto – gli aveva detto una volta che non sempre la famiglia che si ha alla nascita è la vera famiglia. Lei era stata fortunata, ma lui ancora di più, perché aveva persone che gli volevano bene e lo amavano, senza bisogno di legami di sangue. Non lo aveva realmente capito fino a quel preciso istante, dove solo la presenza dei suoi amici lo avrebbe fatto sentire come se nulla mancasse nella sua vita.

silver&gold | sirius black [ita]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora