EPILOGO.

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A Sirius mancava l’aria – era quasi ironico dirlo, dopo tutti quegli anni rinchiuso in una minuscola cella che gli aveva piegato le spalle, fatto impallidire la pelle e reso fragile le ossa. Ricordava di riuscire a tenersi appena in piedi nella sua forma da Animagus, barcollando per le strade alla ricerca di qualcosa – qualsiasi cosa – da mangiare per rimettersi almeno un po’ in forze. Tutte le volte che gli capitava di incontrare il suo riflesso distoglieva lo sguardo, incapace di sostenerlo: sembrava un morto vivente. Non vedeva Peter da quando si era tagliato il dito in mezzo alla strada dopo aver accusato lui di aver tradito Lily e James. I Potter, che erano morti quella stessa sera, come Cecily. La sua Cecily. Anche solo vedere la sua forma di topo gli dava la nausea, e faceva crescere in lui un fuoco di rabbia che era difficile trattenere: lo faceva per Harry. Il piccolo Harry, cresciuto così in fretta – gli ricordava talmente tanto James da fargli ancora più male.
Ci fu un momento di confusione durante il quale entrò Remus, e i due si scambiarono uno sguardo per la prima volta dopo dodici anni. Sirius ricordava ancora come si erano lasciati, e continuò a incolparsi per tutto ciò che era accaduto – per non essere stato abbastanza sveglio da rendersi conto di chi era la vera spia, per non aver aiutato Lily e James, per non aver chiesto scusa a Remus in tempo, e per aver abbandonato Cecily lì, proprio in quella casa. Deglutì a vuoto, cercando di sciogliere il nodo che gli si era formato in gola. Si era sempre chiesto che fine avesse fatto il suo corpo dopo che lui si era smaterializzato dai Potter per tentare di fermare Peter, ma non riusciva a trovare neppure un elemento che gli desse una risposta. Solo i mobili distrutti da Remus, e i graffi sul legno delle pareti e del pavimento. Sirius dischiuse le labbra per poter parlare, per poter dire qualcosa a Harry, o a Remus, ma il grido di Hermione lo fece trasalire e Piton si manifestò sulla porta con un mantello tra le mani. Il mantello di James. L’uomo tremante faticava a seguire il filo del discorso, e sentiva ancora in bocca il sapore del sangue del povero Ron, al quale avrebbe dovuto non poche scuse.
“Severus, stai commettendo un errore,” disse Lupin incalzante. “Non hai sentito tutta la storia: ti posso spiegare. Sirius non è qui per uccidere Harry!” riuscì a captare, drizzando le orecchie come avrebbe fatto da cane a quelle parole: aveva ancora fiducia in lui, nonostante tutto?
“Sono curioso di vedere come la prenderà Silente. Era convinto che tu fossi innocuo, sai Lupin? Un lupo mannaro addomesticato,” sibilò con sguardo febbrile Piton, puntando la bacchetta contro l’attuale professore di Hogwarts. “Stupido,” disse piano Lupin, scuotendo il capo. “Vale la pena di rinchiudere un innocente ad Azkaban per una lite tra ragazzi?” domandò. A quelle parole, Sirius trasalì di nuovo: innocente. Remus sapeva che lui era innocente. Vide ogni cosa a rallentatore, le funi che si avvolgevano attorno il corpo di Lupin che cadde, e se stesso avanzare minacciosamente verso Piton stesso, che gli puntò la bacchetta tra gli occhi.
“Dammi solo una scusa,” sussurrò minaccioso. “Dammi solo una scusa per farlo, e giuro che lo farò.” Sirius si bloccò, il volto arricciato in una smorfia di odio, le mani che tremavano lungo i fianchi e il desiderio di correre da Remus a chiedergli scusa. Sirius non sentì nulla di ciò che accadeva attorno a lui, e gli parve di muoversi e parlare senza essere parte del suo corpo – quel luogo riportava troppo a galla, e lui non era sicuro di essere pronto a reggere tutto. Almeno era abbastanza consapevole da rendersene conto, il che sembrava un passo in avanti.
Riuscì a riscuotersi solo quando vide Piton volare attraverso la stanza colpito da Harry.
“Non dovevi farlo,” gli disse a mezza voce, guardandolo. “Dovevi lasciarlo a me,” aggiunse, quasi strozzandosi con le sue stesse parole. Harry non lo stava guardando, e una parte di Sirius – quella del vecchio Sirius, il ragazzino orgoglioso e forse troppo altezzoso – ne rimase offesa, ma scosse il capo mormorando tra sé e sé prima di chinarsi a slegare Lupin in silenzio. L’amico gli rivolse uno sguardo di ringraziamento, quindi – dopo qualche ultimo scambio di battute – Sirius si rivolse a Ron, il fuoco a bruciargli nel petto e farlo sentire almeno un po’ vivo.
“Dammi Crosta. Adesso,” dichiarò fermamente, tendendo una mano. Il rosso si strinse il ratto al petto, facendo arricciare il volto di Sirius in una smorfia d’orrore.
“Come hai fatto a scoprire dov’era?” gli domandò dopo Lupin, e Sirius, sospirando, estrasse un ritaglio di giornale dalle vesti smunte e rovinate. Era la foto che aveva preso da Fudge, che ritraeva la famiglia Weasley al completo in Egitto. Topo compreso. Ricordava ancora come era stato vederlo rinchiuso nella sua cella, al buio, con gli occhi che gli bruciavano e il dolore a diffondersi per tutti gli arti assieme al freddo: aveva imparato a non provare nulla, o sarebbe impazzito anni prima senza nessuno al suo fianco.
“Gli manca un dito,” rispose automaticamente Sirius, stropicciando il pezzo di carta tra le dita rovinate e sporche.
“Ma certo,” mormorò Lupin, guardando prima Crosta e poi Sirius. “Così semplice, così astuto. Se l’è tagliato da solo?” domandò. Sembrava aver paura – chissà come era stato Remus durante quegli anni. Come mai Sirius non ci aveva mai pensato? In fondo, erano rimasti entrambi soli.
“Appena prima di trasformarsi,” confermò Sirius, respirando lentamente per trovare la forza di parlare. “Quando sono andato via da qui e sono riuscito a ritrovarlo lui – ha urlato che avevo tradito Lily e James così da farsi sentire da tutti. Poi, prima che potessi scagliargli una maledizione, ha fatto saltare la strada tenendo la bacchetta dietro la schiena. Ha ucciso tutti nel raggio di sei metri ed è filato via nelle fogne, insieme agli altri ratti,” sibilò, rivolgendo uno sguardo crudele a Crosta, che si rannicchiò tra le braccia di Ron squittendo spaventato.
Ormai Sirius riusciva a cogliere solo pochi sprazzi del discorso a cui egli stesso partecipando. Avrebbe potuto raccontare la storia della sua famiglia senza neppure rendersene conto – o la sua storia, magari.
“Ci sarà un motivo per cui ha finto di essere morto, no?” domandò per l’ennesima volta Harry. “Perché sapeva che lei stava per ucciderlo come aveva ucciso i miei genitori!” esclamò quindi furioso. Sirius dovette stringere le labbra, ferito da tali parole. Se solo avessero saputo tutta la verità – chi altro era morto quella notte.
“No,” tentò Lupin, muovendo mezzo passo quasi per fare da scudo a Sirius. “Harry...”
“E ora lei è venuto a finirlo!” aggiunse in un sibilo Harry. Sirius tentò di drizzare le spalle.
“È vero,” dichiarò, facendo impallidire il giovane.
“Avrei dovuto lasciare che Piton la portasse via,” disse Harry, e Lupin si frappose tra i due in fretta.
“Harry, non capisci? Per tutto questo tempo si è creduto che Sirius avesse tradito i tuoi genitori e Peter lo avesse scoperto, ma era il contrario. Non capisci? Peter ha tradito tuo padre e tua madre, Sirius ha scoperto tutto,” disse, gettando un’occhiata eloquente a Sirius. Apparentemente, sapevano entrambi che non era stato lui a scoprire tutto. Sirius cacciò le lacrime in dentro, mentre gli occhi di Lupin parevano inumidirsi.
“Non è vero!” gridò Harry furioso. “Era il loro Custode Segreto, l’ha detto prima che arrivasse lei – ha detto che li ha uccisi!” continuò, additando Sirius che trasalì per l’ennesima volta, tentando di respirare lentamente.
“Harry, è come se lo avessi fatto. Io ho convinto Lily e James a scegliere Peter,” era una mezza bugia, ma come biasimarlo? Non poteva tirar fuori un altro argomento. “Li ho convinti a scegliere lui come Custode Segreto invece di me. È colpa mia. Quella notte –” gli si spezzò la voce e Remus si intromise nuovamente.
“Basta così,” sospirò duramente, facendo apparire un’espressione confusa sul volto di Harry. “C’è un modo sicuro per provare quello che è veramente successo. Ron, dammi quel topo,” dichiarò, avvicinandosi al rosso. Sirius smise nuovamente di ascoltare la conversazione, lo sguardo chino sul pavimento scricchiolante mentre si avvicinava al letto su cui giaceva Piton privo di sensi, agguantando la sua bacchetta con un sorrisetto divertito che gli fece dolere il volto.
“Sei pronto, Sir?” chiese Remus, e sentì i suoi occhi iniziare a brillare mentre lo raggiungeva nuovamente.
“Insieme?” chiese piano, e Remus annuì.
“Al tre,” mormorò, tendendo il ratto ben sollevato e saldo in una mano. Iniziò a contare, quando un fascio di luce bianca e blu sprizzò dalle loro bacchette: per un attimo, il topo rimase paralizzato, una piccola sagoma nera che si contorceva a mezz’aria. Ci fu un urlo – da parte di Ron, immaginò Sirius – quindi il topo cadde per terra e la luce invase tutta la stanza. Sirius dovette ripararsi gli occhi prima che testa e arti iniziassero a formarsi attorno il corpo che andava sempre più ingrandendosi del ratto, lasciando spazio a un uomo basso, con i capelli incolori incollati alla testa. Sirius iniziò a sentire la rabbia montargli dentro, ed era la sola presenza di Remus al suo fianco e Harry che osservava la scena con occhi sbarrati a trattenerlo dallo scagliarsi contro il traditore.
“Beh, ciao Peter,” disse Lupin in tono affabile. “Non ci vediamo da molto,” aggiunse, questa volta con una nota irritata.
“Sirius? Remus?” balbettò Peter, facendo rizzare i peli sulla nuca di Sirius. “I miei amici! I miei vecchi amici!” squittì, come se non avesse ancora ripreso la completa forma di essere umano. La mano di Sirius saettò automaticamente verso l’alto, ma Remus riuscì ad afferrargli il polso e bloccarlo in tempo.
“Stavamo facendo una chiacchierata,” dichiarò Remus, rivolgendo un’ultima occhiata in direzione di Sirius prima di rivolgersi duramente a Peter, tremante sul posto. “Su ciò che accadde la notte in cui Lily e James morirono. Può darsi che tu abbia perso qualche passaggio mentre eri rannicchiato a squittire.”
“Remus – non credergli, ti prego. Ha cercato di uccidermi, Remus,” continuò a balbettare. Tremava, e il sudore gli scivolava lungo la fronte e la nuca. Remus si irrigidì ulteriormente, e sembrava pronto a colpire personalmente Peter.
“Lo abbiamo sentito dire,” esclamò, più freddamente. “Vorrei chiarire una o due questioni con te, Peter, se vuoi essere così gentile da –” tentò di dire, ma Peter lo interruppe di colpo. “Vuole cercare di nuovo di uccidermi! Ha ucciso Lily, e James, e –” si bloccò, gemendo come se gli avessero appena calpestato un piede. Il volto di Sirius si fece sempre più pallido e tirato, mentre Peter riprendeva. “Sapevo che sarebbe venuto a cercarmi! Sapevo che sarebbe tornato per me! Sono dodici anni che aspetto! Ed è grazie a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, deve avergli insegnato qualche trucchetto,” continuò, utilizzando un tono che lo faceva sembrare più un bambino eccitato che un uomo spaventato. Sirius assunse un’espressione disgustata prima di scoppiare a ridere.
“Voldemort, insegnarmi dei trucchetti?” domandò, facendolo ritrarre spaventato. “Cos’è, hai paura di sentire il nome del tuo vecchio padrone? Non ti biasimo, Peter. I suoi seguaci non sono molto soddisfatti di te, vero?” sputò quelle parole con cattiveria, mentre Codaliscia continuava a tremare e iniziava a sputare scuse prive di fondamento.
“Se i seguaci di Voldemort mi davano la caccia era perché ho fatto rinchiudere ad Azkaban uno dei loro uomini migliori: la spia. Sirius Black!” a quelle parole, il volto di Sirius si contorse, e quasi mollò la presa sulla bacchetta.
“Come osi?” ringhiò, più simile alla sua forma da Animagus che da essere umano. “Io, spia di Voldemort? Quando mai ho strisciato attorno a persone più forti e potenti di me? Ma tu, Peter – non capirò mai come non siamo riusciti a vedere che la spia fin dall’inizio eri tu. Ti è sempre piaciuto avere dei grandi amici che ti proteggessero, vero? Eravamo noi: io e Remus. E James,” e Cecily. Sirius trattenne un brivido mentre Peter si asciugava la fronte dal sudore, boccheggiando. Fu un teatrino che andò avanti a lungo – Sirius sorrise al pensiero di essere stato chiamato signore da una ragazzina che gli ricordava terribilmente Cecily. Era testarda, e intelligente, e curiosa – e brava.
“Credimi, Harry. Non ho mai tradito James e Lily: sarei morto piuttosto che farlo,” mormorò, sfiorandosi nervosamente il polso. Harry non sembrava in grado di parlare, ma annuì, e un peso dal cuore di Sirius venne immediatamente sciolto. Almeno aveva ancora lui.
Peter continuò a implorarli, strisciando sulle ginocchia e piangendo, tremando.
“Perdonami, Remus,” riuscì a dire Sirius, avvicinandosi all’amico con gli occhi che gli bruciavano per le lacrime. “Volevo dirtelo da tanto tempo – da quando sono uscito dal tuo appartamento quel giorno, con lei. Non aveva dovuto dirmi nulla per convincermi della tua innocenza, ma sapevo che era così perché lei lo sapeva. E mi dispiace di averlo creduto,” continuò, respirando lentamente. Un sorriso malinconico si dipinse sulle labbra del professore che si rimboccò le maniche, lasciando un’affettuosa pacca sulla spalla di Sirius – mantenne la sua mano a contatto con il braccio ossuto dell’amico per qualche istante.
“Ti capivo, Sir, ma ero ferito dal tuo atteggiamento e non avevo idea di come comportarmi – se solo quella sera avessi avuto il coraggio di venire da voi,” scosse il capo, unendo le labbra mentre la voce gli si spezzava.
“Rem, Cecily ci ha smaterializzato qui prima di –” si bloccò, sollevando lo sguardo verso il soffitto impolverato. “L’unica cosa che avresti trovato a casa nostra era un disco che continuava a riprodurre inutilmente musica.” Le labbra di Remus si dischiusero per qualche istante mentre entrambe le braccia giacevano inermi lungo i suoi fianchi: sembrava essersi fatto improvvisamente più piccolo, con le spalle ricurve e il viso smunto.
“L’hanno data per scomparsa. Credevano tutti fosse fuggita da te,” mormorò a mezza voce prima di riscuotersi. Sfiorò rapidamente il volto dimagrito di Sirius, come se volesse assicurarsi non cadesse in pezzi, prima di rivolgergli un sorriso malinconico. “Questo mi ha sempre convinto della tua innocenza – lei non l’avrebbe mai fatto. Non ti avrebbe mai lasciato.”
“Anche a costo di trascinarmi ad Azkaban lei stessa,” replicò Sirius con un mezzo ghigno, osservandosi le mani. Remus rise brevemente prima di annuire, concordando. Bastò un suo sguardo per far capire a Sirius quanto realmente gli mancasse lei e quanto, sebbene avesse paura di ammetterlo anche a se stesso, gli fosse mancato lui. Lui, che aveva passato dodici anni a pensare cosa potergli dire per farsi perdonare e la miglior cosa che gli era venuta in mente era stata perdonami. Era davvero un pessimo amico – ma almeno sapeva di potersi ritenere ancora tale.

silver&gold | sirius black [ita]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora