Mi fai paura- capitolo tre

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 'mi fa paura'

Mancavano circa dieci minuti alla fine del mio turno di lavoro, non ne potevo più, ero stanca morta... quel giorno avevamo avuto più clienti del solito, e quindi la panetteria era stata dominata da un caotico via-vai per servirli tutti.

Ormai i miei gesti erano diventati meccanici; prendi il pane che il cliente vuole, mettilo in una busta, pesalo, chiudi la busta, stampa lo scontrino, prendi i soldi, dai il resto e saluta. Se avessi continuato così, avrei presto cercato un nuovo lavoro, non ne potevo veramente più. Mi sembrava tutto così monotono; le stesse tonalità di colori ogni giorno ad ogni ora del giorno, lo stesso odore di pane che dopo un po' creava la nausea, la stessa farina caduta sul ripiano, lo stesso borbottare dei clienti che ordinavano, e,spesso, gli stessi clienti.

Mi domandavo come Mag riuscisse a mantenere il sorriso fino alla fine della giornata lavorativa, perché io proprio non ci riuscivo; arrivavo a casa stremata, mi lasciavo cadere sul divano, e lì restavo per i venti minuti seguenti, senza pensare a niente ma allo stesso tempo pensando a tutto, riposando e lavorando con la mente contemporaneamente.

Avevo bisogno di un vacanza, o almeno di trovare qualcuno che in sua compagnia riuscisse a non farmi sentire così... avevo voglia di divertirmi, in fondo ero ancora giovane, perché non potevo concedermi questa libertà? Un'altra cosa di cui sentivo assolutamente il bisogno, era di andare a trovare mia madre. Spesso la sentivo per telefono, ma non è esattamente la stessa cosa che vederla davanti a me; io e lei non avevamo un ottimo rapporto, e da quando era morto mio padre ci eravmo allontanate più di quanto già non fossimo, ma in quel momento sentivo la necessità di vederla... 

A risvegliarmi dai miei pensieri fu il rumore delle monete lasciate sul banco, seguito poi dal suono dei tacchi che percorrevano il pavimento fino all'uscita, prima che un altro cliente mi indicasse ciò di cui aveva bisogno, e io allora, meccanicamente, eseguii i gesti che in quella giornata avevo fatto almeno altre trenta volte

Come accadeva ogni giorno, sentii la campanella della porta suonare, ma sapevo che non era un cliente,no... da quando per la prima volta era entrato nella panetteria, ormai era un'abitudine che tornasse sempre gli ultimi dieci minuti prima che io andassi via.

Alzai lo sguardo quel tanto che mi bastò per vedere le sue mani scuotere i ricci in modo attraente, e il suo suo volto assumere un aria sorridente ma, allo stesso tempo, di superiorità, e sentii le mie mani tremare leggermente.

Cercai di non dare a vedere l'espressione che si era creata sul mio viso, ma era davvero difficile...

"Giorno bellezza, come te la passi?" domandò spavaldamente lui, venendo dietro al banco, esattamente al mio fianco, e cominciando a fissarmi, mettendomi così in soggezione.

"Se non avessi usato quel "bellezza" con quel tono, e la smettessi di fare così, bene" risposi continuando il mio lavoro. Non mi dava fastidio che mi venisse a trovare ogni sera da ormai sei giorni, è solo che il rapporto che si era costruito fra di noi era così: odio e amicizia, momenti in cui ci stuzzichiamo a vicenda e attimi in cui invece siamo gentili l'uno con l'altra, ma devo dire che mi piaceva questo fatto

"Aggressiva la ragazza." Usava sempre un tono malizioso quando avevamo questo genere di conversazoni, e la cosa mi suonava strana, forse per il fatto che con nessuno avevo mai parlato così dopo appena sei giorni che ci conoscevamo.

E così pure l'ultimo cliente uscì dalla panetteria, con la mano destra che teneva le buste di pane, e la sinistra che apriva il portone, lasciandomi dunque sola con Harry, il quale non perse attimo per afferrarmi delicatamente i polsi, costringendomi a voltarmi verso di lui.

Nella stanza si sentivano solo i nostri cuori battere e i lievi respiri, ormai abbastanza vicini.

Mi stava osservando da vicini, mi studiava con gli occhi, catturava ogni mio minimo movimento e ogni mia singola espressione, come se così riuscisse a capire cosa provavo grazie a quella poca distanza da lui, ma la verità era che non lo sapevo neanche io.

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