-POV JOSIE-
Harry mi stava accarezzando dolcementi i capelli: era un movimento continuo, che mi stava rilassando, tranquillizzando dai ricordi che mi avevano riassalita poco prima, ma, nonostante tutto, le lacrime continuavano ancora a cadere piano, come gocce d'acqua che scivolano dolcemente dagli alberi quando è finito da poco di piovere.
Nessuno dei due parlava, ma quello era un silenzio pieno di domande e di interrogatori, in cui sapevo che avrebbe voluto avere spiegazioni.
In fin dei conti, mi piaceva stare in sua compagnia, qualunque fosse la situazione: era un modo per calmarmi, non so, forse il sapere che accanto a me avevo qualcuno che,per quanto spesso dicesse di non interessarsi dei miei problemi, mi controllasse e impedisse che mi succedesse qualcosa, mi faceva sentire amata in un modo diverso dal solito, perché comunque è vero,ognuno ama a modo suo.
"Mi fanno male i gomiti" sussurrai tirandomi su a sedere, continuando a dare le spalle a Harry.
Stava in silenzio, così decisi di parlare io, non sapendo neanche se mi sarebbe stato a sentire, o se l'argomento gli sarebbe interessato, ma a volte fa bene rivivere i ricordi e condividerli con gli altri, per cui decisi di raccontargli.
"Sai Harry, era un normalissimo pomeriggio di inverno, in cui una normalissima bambina di cinque anni stava a giocare in casa con dei normalissimi pupazzi, non potendo uscire per il troppo freddo.
Stavo servendo il tè alla mia bambola preferita, Miss Maddi, mentre l'orsacchiotto e il coniglietto già avevano gustato i finti biscotti che avevo fatto per loro. Da quando ero piccola, almeno fino a quel giorno, avevo sempre amato fare quel gioco, perché potevo essere io per una volta a prendermi cura di qualcuno, anche se,purtroppo, non era una persona reale. E poi, spesso mio padre si sedeva accanto al tavolo del tè e giocava con me, facendomi ridere. Mia madre spesso, dal salotto, lo canzonava perché era grande e giocava con i miei bambolotti, ma lui rispondeva sempre che noi due ci divertivamo un sacco quando eravamo assieme, e questo era vero.
Quel pomeriggio però, non aveva potuto fare come sempre, perché doveva andare a fare una commissione per mia madre, o almeno così mi aveva detto."
Sospirai, squotendo piano la testa perché ormai a distanza di tutto questo tempo, il fatto che lui mi avesse mentito era diventato solo un pensiero sempre più ossessivo.
"Comunque... ricordo che sentii la serratura di casa girare, così scattai in piedi, afferrando per una mano la bambola e camminando veloce verso la porta di camera, con quella che strusciava con i piedi per terra, ma al momento non me ne curavo.
Non so perché, ma quella volta non corsi in contro a mio padre, forse per il semplice fatto che sapevo che prima di venire a giocare con me, sarebbe andato da mamma a raccontarle che aveva detto il cliente.
Attraversai il corridoio di casa, che in quel momento appariva interminabile e cupo, come se dominato da brutti presentimenti e tristezza, dove l'unica luce era quella che proveniva dalla cucina, dove si sentivano le voci dei miei genitori, e lo spiffero lasciato accostato mi permetteva di intravedere mia madre di spalle, voltata verso la finestra.
-Quanto ti resta?- domandò lei con la voce di chi ormai si è arreso al destino.
-Tre settimane- fu la risposta secca di mio padre.
In un certo senso, realizzavo che stavo per perderlo, ma si sa com'è, Harry, i bambini non le capiscono queste cose. Per loro è impossibile immaginarsi di non poter più vedere una persone.
-E, Mark, chi si prenderà cura di Josie come hai fatto tu fino a questo momento?-
Disse il mio nome come se fossi la cosa più preziosa del mondo, e solo allora cominciai a rendermi conto che qualcosa sarebbe cambiato e che mio padre non sarebbe più stato lo stesso.