-POV JO-
Erano passati tre giorni dalla sera della festa.
Tre giorni in cui non ero uscita dalla mia stanza. Tre giorni in cui non mi ero alzata dal letto se non per andare in bagno. Tre giorni in cui non avevo mangiato praticamente nulla. Tre giorni in cui non avevo fatto che lasciare messaggi in segreteria ad Harry, ma a cui lui, in quei tre giorni, non aveva risposto.
Volevo vederlo, ne avevo bisogno. Volevo chiarire. Volevo parlarci, anche se per essere trattata male da lui, volevo parlarci.
Avevo pensato a quello che mi aveva detto e a milioni di altre cose, fino a che non mi era parso che nulla avesse più tempo. Sembrava che le lacrime fossero arrivate ad offuscare anche la mia testa.
Mag era preoccupata per me, ma al momento non m’importava. Avevo solo bisogno di Harry.
In quei tre giorni, nei pochi momenti di lucidità, avevo elaborato la teoria che Harry fosse per me come le sigarette per i fumatori: una dipendenza.
Una dipendenza che uccideva, ma che si faceva amare come se fosse l’unica cosa al mondo per cui valesse la pena vivere.
Presi il telefono e illuminai lo schermo: nessuna chiamata, nessun messaggio. Niente di niente.
Decisi che quella sarebbe stata l’ultima telefonata che gli avrei fatto, e se non mi avesse risposto neanche a quella, avrei usato la sua stessa tecnica: soffocare i sentimenti.
Digitai il numero che ormai sapevo a memoria, e lasciai che quello squillasse a vuoto, come al solito ormai. Non aspettai molto perché scattasse la segreteria, e, con l’ultima briciola di illusione
che mi era rimasta, trovai il coraggio di parlare.
“Questo è il ventiquatt… venticinquesimo messaggio che ti lascio, se non mi risponderai, prometto che ti lascerò in pace per sempre, davvero. Volevo solo sapere come stavi e.. non lo so neanche più io perché continuo a chiamarti. Semplicemente ne ho bisogno. E se questo deve essere un addio, lo accetto, e ti ringrazio per i momenti passati insieme”
Finito.
Ed era venuto una cosa penosa, ma ero in uno stato in cui non avrei potuto produrre niente di meglio, per cui mi accontentai.
O almeno, per un attimo, finsi di farlo. Dopo di che tornai ad affondare il viso nel cuscino già pieno di lacrime, mentre un’altra crisi di singhiozzi si faceva strada dal mio cuore lungo la gola.
-POV HARRY-
Stavo facendo i piegamenti, quando mi arrivò un nuovo messaggio.
Sapevo che era di Josie, e sapevo che era nella segreteria.
Negli ultimi tre giorni che avevo passato in palestra a cercare di reprimere i sentimenti, non avevo avuto la forza di spengere il telefono, e ogni volta che ascoltavo un suo messaggio, la certezza che non l’avrei dimenticata si faceva sempre più strada dentro di me.
Era una lotta contro l’impossibile, la mia.
Sentivo il bisogno di rivederla, di stringerla di nuovo a me. Mi mancava il suo profumo, il suono della sua risata o ma sensazione delle sue mani fra le mie.
Ma dovevo cercare di resistere.
Feci partire la registrazione, tenendo il telefono nelle mani tremanti.
La parte finale fu quella che mi fece riscuotere e rinunciare alla mia folle impresa.
Appena accenno ad un addio, mi sentii come se un coltello si piantasse nel mio petto. Non potevo perderla, non volevo.
Ripensai a lei, al suo sorriso e ai suoi modi di fare, e in quel momento realizzai che era l’unica persona che mi conosceva veramente.
Quindi agii di impulso.
-Stasera c’è una festa alla villa vicino castello. Vienici con Mag- e inviai senza riflettere.
Quel messaggio poteva suonare da stronzi, da persone di merda, persone senza cuore, e in effetti era così. Solo che io non me ne curai, perché sapevo che sarebbe venuta.-POV JO-
Allontanai il viso dallo specchio e valutai il lavoro. Truccarmi era una di quelle cose che mi riusciva bene fare e, al tempo stesso, mi divertiva.
Avevo deciso, con Mag, di andare alla festa di Harry per chiarire le idee.
Avrei capito se mi aveva invitata per darmi delle spiegazioni o per farmi stare ancora male. O magari solo per gentilezza.
Inizialmente, nonostante sperassi in una risposta diversa, fui felice che si fosse fatto vivo. Solo col passare di qualche ora, avevo realizzato l’anaffettività del testo, che fu un po’ come cadere nuovamente verso il basso.
Mag consigliava di osservare i suoi comportamenti e agire di conseguenza. Se avesse fatto il menefreghista, l’avrei ripagato con la stessa moneta; se avesse cercato di attenuare il mio dolore, avrei cercato di parlargli per capire la situazione.
Soddisfatta del mio lavoro e del vestito che avevo scelto, assalita da un miscuglio di emozioni contrastanti, scesi le scale.
Per un attimo, immaginai che lui mi stesse aspettando, con il solito sorriso da sbruffone sulle labbra e gli occhi che tradivano la sfacciataggine, ma mi costrinsi subito a scacciare quell’immagine dalla mia testa. Dovevo prepararmi al peggio, nel caso quella sera le mie speranze fossero dovute crollare di nuovo.
Mag mi aspettava alla porta con sguardo indagatore, cercando nei miei modi di fare le sensazioni che io stentavo a nascondere.
Mi capiva, ma non diceva nulla. E sapevamo entrambe che era meglio così.
Non ci volle molto da che salimmo in macchina a quando arrivammo al posto, a me totalmente sconosciuto. Mag invece, per nostra fortuna, c’era già stata un paio di volte, sempre per delle feste, e ormai conosceva la strada.
Scesi dal suo SUV nero, e mi fermai un attimo ad osservare la villa da lontano.
Era molto grande, circondata da un giardino ancora più vasto, ben curato e invitante. Sembrava una di quei posti che si vedono solo nei film.
A destra del parcheggio, che era dotato di ghiaia bianchissima, si potevano osservare delle rappresentazioni tagliate nella siepe. Più vicino all’ingresso invece, c’erano dei tavolini e, poco più in là, una piscina. Si potevano osservare le persone che, sedute sulle sedie, fumavano una sigaretta e chiacchieravano.
Dalla casa proveniva la musica, segno che la festa era iniziata già da un po’.
Con passo esitante, raggiunsi Mag che mi aspettava all’inizio del vialetto.
Con un gesto affettuoso, mi strinse delicatamente la mano, guardandomi poi sorridente.
-Vedrai che andrà benissimo.-
Annuii piano, ma non riuscii a nascondere che quell’affermazione mi aveva resa ancora più nervosa.
-Poi, se dovesse andare male, ci sono io qui con te. E se dovesse andare proprio malissimo, ti riporto a casa senza neanche che tu debba chiedermelo.
Sollevai leggermente gli angoli della bocca, grata per il suo sostegno, e feci un respiro profondo.
Raggiunsi l’ingresso con aria distaccata della realtà, e tornai in me solo quando Mag bussò alla porta.
Era il momento delle spiegazioni.
Contavo i battiti del mio cuore, che andavano sempre più veloci, sperando inutilmente di riuscire a calmarmi.
La maniglia della porta si girò, il mio respiro si sospese.
E poi comparve lui sull’ingresso,io non riuscii a reagire per i primi istanti.
Semplicemente lo fissavo come si fissa qualcosa di surreale.
Dopo tutto quello che avevo passato, non mi sembrava possibile.
-Ciao-
La sua voce ora pareva essere l’unico suono in un silenzio totale.
Ci guardavamo negli occhi, non dicendo niente ma dicendo tutto. Il problema, era che forse non usavamo lo stesso linguaggio.
Mag era accanto a me, ma era come se non ci fosse e lei lasciò che continuasse così.
Percepii il bisogno di abbracciarlo, ma allo stesso tempo il bisogno di spiegazioni mi spingeva a mantenere il distacco.
-Sei bellissima-
E poi sorrise. E io mi sentii morire. E pensai che qualunque cosa potesse andare a quel paese, perché avevo bisogno di lui.
Ma non mi mossi.
Non mi mossi perché per una volta feci ciò che mi diceva la testa.
La testa è più saggia del cuore. Il cuore è masochista, ti fa fare cose che poi lo faranno stare male, e anche mentre sta male ti spinge ad agire in modo che lui soffra ancora di più. Pensa solo a se stesso e non a te, è testardo, cattivo, distruttivo e talvolta anche stupido. Ma poi ama, e quando ama fa del bene agli altri. Non a te, ma agli altri.
La testa invece pensa a te, cerca di proteggerti, ma non ti fa vivere veramente, perché per vivere sul serio bisogna soffrire, passare le pene dell’Inferno e poi tornare sulla terra, feriti ma più decisi. La testa pensa solo a te, e non agli altri.
E nonostante tutto, io preferivo pensare ad Harry più che a me. O magari mi sarebbe piaciuto di più poter pensare a tutti e due.
-Grazie- ebbi la forza di rispondere.
Si riscosse e, facendosi da parte, ci invitò ad entrare.
-I cappotti li potete mett…-
-Venite, per i cappotti venite con me- lo interruppe un ragazzo sorridendoci, facendo poi cenno di seguirlo.
Prima di andare, rivolsi un ultimo sguardo ad Harry, e mi sorpresi a riconoscere anche nei suoi occhi un velo di rammarico per non avermi presa da parte in tempo per parlare.
Ma nessuno dei due ebbe il coraggio di dire nulla, ed ebbi la sensazione che le cose sarebbero rimaste in sospeso per tutta la serata.
Accompagnata da questo dubbio, raggiunsi Mag e il misterioso ragazzo che mi aveva allontanata da Harry.
In quel momento presi la decisione che mi avrebbe salvata per quella serata: sarei stata sempre con Mag. Io non riuscivo a fare amicizia con le persone, lei si. E in quel posto non conoscevamo nessuno.
Ciò ovviamente se Harry e io non avessimo chiarito. In quel caso, avrei potuto godere anche della sua compagnia.
Continuavo a dirmi “se non viene lui da te, vai te da lui, no, sciocca?”
Ma non ce la facevo. La verità è che avevo paura di come sarebbe potuta andare a finire.
-POV HARRY-
Erano già passate quasi tre ore da quando Jo era arrivata, e io ancora non avevo trovato il coraggio di parlare. Ogni volta che facevo per andare da lei, qualcosa dentro di me mi bloccava.
Mi limitavo quindi ad osservarla da lontano, in tutta la sua bellezza, geloso di ogni ragazzo che le rivolgesse la parola. All’inizio era stata più timida, ma dopo un po’ di bevute anche lei si era lasciata andare.
Mi sarebbe piaciuto godere della sua compagnia in quel momento, tutti e due un po’ brilli, con la capacità di aprirsi l’uno all’altra senza troppi limiti, per dirsi cose che fino ad ora non abbiamo neanche accettato di provare.
Ma vista la situazione, presto avevo deciso di sfogare la frustrazione nell’alcool.
Non ero ubriaco, solo che tutto era amplificato.
Soprattutto ciò che provavo per lei.
Decisi che stare lì a piangermi addosso non mi sarebbe stato utile per trovare il coraggio di parlarle, per cui mi avviai verso il giardino.
La gente intorno a me girava leggermente, e dovevo strizzare gli occhi per vederli stabili. Il mio passo non era del tutto rettilineo, ma il rischio di perdere l’equilibrio, fortunatamente, era ancora lontano.
L’alcool ha quel tipo di effetto che fa sì che un bicchiere tiri l’altro, e in quel momento avevo una voglia pazzesca di continuare a bere, ma dovevo tenermi lucido abbastanza per Jo.
Mi sedetti su una panchina isolata e nascosi il viso fra le mani, ma neanche il tempo di sospirare, che qualcuno si sedette accanto a me.
“Il nostro Haz ha perso la testa per una tipa, eh?”
Ci misi qualche attimo a riconoscere la voce, che alla mia testa arrivava più distante.
Era Brian, un un perfetto coglione. Ed era per questo che lo frequentavo, perché era uno che aveva paura di me e quindi stava dalla mia parte.
“Già, ma quella non gli si fila” aggiunse ridendo la voce di Mark.
Raddrizzai la schiena e mi girai verso di loro, cercando di concentrarmi per assumere un’espressione sobria.
“Ma che cazzo vi dice il cervello?” ringhiai.
Per un attimo rimasero in silenzio, e io credetti di averli ammutoliti definitivamente, ma questi non si lasciarono ingannare.
“Eddai, guarda che a noi puoi dirlo”
Mi mise un braccio intorno alle spalle, ma io subito glielo scostai.
Certo, a loro avrei potuto dirlo, come no.
Ma se non lo ammettevo neanche a me stesso…! E poi, per la reputazione che mi ero fatto, questo avrebbe mandato tutto a puttane. Perché se lo avessi detto, avrebbero capito che Josie era il mio punto debole, e se qualcuno avesse mai voluto vendicarsi con me, lo avrebbe fatto tramite lei.
“Solo che non ti si fila, e quindi sei disperato” continuò Mark.
Questo era troppo.
Sentii un impeto di rabbia salirmi fino alla gola, e per poco riuscii a trattenermi dall’alzarmi di scatto e gettarmi addosso a lui.
Tutto era amplificato.
Non si dovevano permettere, non con me. Se volevano finire male, erano sulla buona strada.
“Scommettiamo. Scommettiamo che vi sbagliate.”
Nel momento stesso in cui lo dissi, capii lo sbaglio che stavo facendo, ma ormai era troppo tardi.
Avevo una reputazione da difendere.
Vidi Brian guardarmi divertito, e poi accolse la sfida, porgendomi la mano.
“Cento euro che non ce la fai. Mi sembra una piccola suoretta quella lì. Forse non sei abbastanza lucido per capire che stai sbagliando.”
Oh, invece lo capivo eccome. Solo che sbagliavo nel fare una cosa del genere a Jo, non nello scommettere.
“Cento euro che ce la faccio” affermai stringendo ancora di più la presa.
Lo guardavo negli occhi con odio, così tanto odio per quello che mi aveva spinto a fare. Ma non avrei gettato al vento la fatica che avevo fatto per fingere di essere quel tipo di persona.Che ve ne pare?