11. Riunione

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Caroline si svegliò, tra le possenti braccia di Klaus.
Rimase per qualche minuto a fingere ancora di dormire; non aveva voglia di alzarsi immediatamente.
Quando aprì gli occhi incontrò immediatamente quelli dell'uomo, che le sorrise.
«Buon giorno amore».
Lei si allontanò dal suo petto, di qualche centimetro, per inquadrarlo meglio, sbattendo le ciglia.
«'Giorno» si stropicciò gli occhi e si rimise nella stessa posizione di prima.
«Dormito bene?» sul suo volto un'espressione alquanto compiaciuta.
Lei gli scoccò un'occhiata, come per dire "scommetto che se ti dicessi di si ti farebbe più che piacere, dato che ti ho utilizzato come cuscino", poi rispose: «Probabilmente» stringendosi nelle spalle con fare vago, formando un leggero sorriso sulle sue sottili labbra rosee.
Si rilassò in poco tempo, ma le venne un colpo al cuore quando si rese conto che, probabilmente, tutti i suoi amici e sua madre la stavano cercando.
Si mise immediatamente a sedere, sotto lo sguardo confuso dell'ibrido, afferrò il proprio cellulare e lo accese in fretta, mentre l'ansia la pervadeva.

5 chiamate perse da Mamma e 3 messaggi in segreteria.
3 chiamate perse da Stefan ed 1 messaggio in segreteria.
4 chiamate perse da Bonnie.
2 chiamate perse da Elena.
6 chiamate perse da Tyler e 2 messaggi in segreteria.

Il battito del suo cuore accelerò in maniera sbalorditiva; alzò lo sguardo verso Klaus, preoccupata.
«I tuoi amici ti hanno cercata tutta la notte?» alzò le sopracciglia, seccato e poco sorpreso.
Lei annuí, abbassando lo sguardo, verso le lenzuola del letto, per niente rilassata.
L'ibrido si avvicinò a lei e le mise le mani sulle spalle, guardandola dritto negli occhi.
«Caroline, tranquillizzati. Loro hanno cospirato alle tue spalle e hanno fatto in modo che quell'inutile di Matt Donovan ti portasse a Danville. Compresa sua madre».
Lei riflesse su quelle parole, con lo sguardo fisso nel vuoto.
Dopotutto lui non ha tutti i torti...
Non era costretta a farsi sentire subito, dopo ciò che le avevano fatto.
Annuí, mordendosi il labbro inferiore.
Klaus si alzò dal letto, indossando, con la super velocità, degli indumenti puliti.
Caroline afferrò i vestiti del giorno precedente, , quando notò una grossa macchia rossa, sui suoi Jeans, grande quanto la mano dell'ibrido.
Sbuffò incredula e stanca.
«Non è possibile!» esclamò, attirando l'attenzione dell'uomo dagli occhi azzurri.
«È colpa mia. Ieri non mi sono lavato le mani prima di venire a prenderti» ammise ridacchiando appena. «Ti prendo dei vestiti di Rebekah nella sua camera. Se desideri bere qualcosa c'è del sangue nel frigorifero della cucina».
«Va bene, spero tanto che non venga a sapere che utilizzo i suoi vestiti, altrimenti mi ucciderebbe» sospirò ironicamente, con un leggero sorriso; lasciò il cellulare sul comodino ed afferrò il bicchiere di vetro della sera prima, poi uscì dalla camera e scese al piano inferiore.
Aprì il frigorifero bianco e prese una sacca di zero negativo, il suo preferito; lo versò nel bicchiere ed iniziò a sorseggiare, senza smettere di pensare a quanto sua madre potesse essere preoccupata per lei.
Neanche il sapore dolce e metallico del sangue, del suo gruppo sanguigno preferito, che le scendeva giù per la gola, riuscì a calmare le sue preoccupazioni.
Klaus la riportò con i piedi per terra,  entrando in cucina con in mano una camicetta bianca, senza maniche e dei pantaloni neri, appartenenti alla sua sorellina Originale.
Caroline poggiò il bicchiere semivuoto sul tavolo, poi si girò verso di lui.
Afferrò i vestiti e si diresse verso il bagno al piano superiore; si cambiò, andò in camera dell'uomo, per indossare i suoi stivaletti, poi scese di sotto, con i propri vestiti in mano ed il cellulare nella tasca posteriore dei pantaloni.
Non smise di preoccuparsi per sua madre neanche un attimo, nonostante cercasse di convincersi che quello che aveva detto Klaus fosse giusto.
Nonostante ce l'avesse con lei, per averle iniettato la verbena ed aver aiutato i suoi amici a portarla a Danville, era pur sempre sua madre.
«Credo che sarebbe meglio se tornassi a casa» esclamò, attraversando il salone, mentre lui la guardava, seduto sul divano, con la caviglia del piede destro sul ginocchio sinistro e le braccia lungo lo schienale del divano.
Si alzò e la fronteggiò.
«Scappi già via, amore?»
«Mia madre ha provato a chiamarmi cinque volte...» mormorò preoccupata, guardando la porta d'uscita della villa.
«E, se non sbaglio, ha anche fatto in modo che tu venissi rapita».
Il cuore di Caroline mancò un battito, lo guardò negli occhi.
«Come lo sai?».
«É stato Tyler Lockwood a dirmelo, prima che venissi da te» annunciò, con noncuranza.
Lei fece due più due: quando venne a salvarla, la sua mano era intrisa di sangue; inoltre, tra i due ibridi non scorreva buon sangue e Klaus, tre giorni prima, disse a Tyler che, se ne avesse avuto la possibilità, non avrebbe più esitato a togliergli la vita.
«Aspetta... tu lo hai...?» sgranò gli occhi, preoccupata, mentre il suo battito accelerava progressivamente.
«Oh, no» storse il naso e scosse il capo e lei si sentì più sollevata, poi aggiunse con un ghigno: «Non ancora».
«Come sarebbe a dire "non ancora"?!» si agitò lei, con tono severo.
«Rilassati, amore. Se costituirà una minaccia, non esiterò ad ucciderlo» il ghigno sul suo volto non accennava a scomparire.
Lei scosse il capo, poi sospirò ed andò verso la porta di casa.
«Dopotutto ha tentato di uccidermi per l'ennesima volta, nella sua miserabile e noiosa vita» aggiunse lui, alle sue spalle, per alleggerire il peso che Caroline aveva attribuito alle sue parole.
E tu mi hai salvato.
Pensò poi, l'uomo.
Lei si fermò e si voltò a guardarlo, sospirando.
Voleva dirgli di smetterla di insultarlo ed essere così scortese con Tyler, ma dopotutto se li meritava quegli insulti.
«Grazie... per quello che hai fatto per me».
«Tu hai fatto molto di più, Caroline, sono io a dover ringraziare te» la guardò, diventando serio.
Qualcosa le fece intuire che le sue erano parole sincere, forse il suo sguardo serio, forse la sua postura, il ché la fece sorridere; gli diede un'ultima occhiata, poi fece per uscire dalla casa.
«Lascia almeno che ti accompagni a casa» lei si bloccò, lo guardò, poi annuí.
«D'accordo, grazie» sorrise.

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