3° Capitolo - Nuovi indizi e lettera ambigua

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Entrai dentro l'Università ed andai nella segretaria. «Salve, sono il detective Anderson. Mi servirebbe sapere in quale camera alloggiava Lee Taylor Smith nel 1995 e con chi.»


La donna continuò a masticare la chewing gum con fare fastidioso e iniziò a scrivere al computer, ebbi l'istinto di roteare gli occhi ma preferì trattenermi e continuai ad osservarla aspettando una risposta.

«Camera 166, attualmente occupata da Robert Monroe e Christian Wilson!» Annuii ed aspettai che mi desse la chiave ma restò sul posto.

«La chiave.» Mi osservò sbigottita, come se le avessi detto qualcosa di anormale.

«Detective, mi spiace informarla che non è possibile da-» Persi rapidamente la pazienza e sbattei le mani sulla penisola che mi divideva da lei.

«Se non vuole ritrovarsi davanti ad un giudice a rispondere, mi creda . . . farà meglio a darmi la chiave!»

Non volevo essere maleducata ma sembrava quasi se la cercasse e non potei stare zitta.

Mi guardò ancora un minuto e poi con esitazione mi porse la chiave con il cartellino numero 166, le rivolsi il sorriso più finto che ci potesse essere e m'incamminai verso la camera.

Bussai e non ricevendo risposta decisi di entrare.

Rimasi più che sorpresa dal caos che vi era, sembrava d'essere in un porcile, scavalcai una pila di vestiti e mi concentrai sulla camera in sé. Erano passati molti anni e dovevo sapere quanti avevano alloggiato lì dentro dopo Sanchez. Sarebbe stato difficile trovare qualcosa dopo tanti anni in quella camera ma iniziai comunque a cercare qualsiasi cosa potesse risalire a lei.

Sentii scattare la serratura della porta e mi alzai mettendomi sugli attenti.

La porta si aprì rivelando un ragazzo sulla ventina, capelli biondo dorato che incorniciava il suo viso, caratterizzato dagli occhi azzurro chiaro e abbastanza alto.

«Chi sei?» Lo bloccai appena cercò di venirmi incontro mostrandogli il distintivo.

Si fermò di scatto ed aspettò che parlassi.

«Sono il detective Anderson. Sono qui per cercare delle prove risalenti ad un omicidio accaduto ad una ragazza che alloggiava nella suddetta camera. Ti dice qualcosa Lee Taylor Sanchez?» Si lasciò andare un sospiro e prese una bottiglia di birra dal frigo, iniziando a sorseggiarla.

«No, non so chi sia. So soltanto che è un argomento sulla bocca di tutti: chiunque entri in questa università viene a sapere da qualcuno della morte di questa ragazza. Voci di corridoio dicono che sia stata uccisa dal suo ragazzo, altre che fu uccisa per i giri di droga di cui dispose. Io dico soltanto che era una ragazza problematica che passava più tempo con le cartine in mano che coi libri.» Finì scuotendo le spalle e bevendo la sua birra.

«Queste voci di corridoio chi sarebbero?»

«Non so chi siano, passando accanto alle persone si sentono molte cose, anche cose che non vorresti sentire.» Annuii e gli diedi le spalle, continuando a guardarmi intorno.

«Continuerò a perlustrare la camera ancora un po'. Il tuo coinquilino dov'è?»

«Christian? Ah, sarà a spassarsela con qualche ragazza.»

Cercai di mandar via il fastidio che mi venne quando pronunciò la frase e continuai a cercarmi intorno. Appoggiai la mano sul muro ed a un certo punto sentì l'intonaco più debole, premetti ancor di più e come mi aspettavo vi era una incavatura, allungai la mano ed estrassi quel che sembrò una busta di carta. La misi in un sacchetto di plastica e rimisi il mobile al suo posto.

«Se vieni a sentire qualcosa, questo è il mio numero.» Gli porsi il mio bigliettino da visita ed uscii dalla camera.

Il mistero di Lee era oramai un argomento sulla bocca di tutte le matricole che entravano nell'Università, era ora di smentire e fermare il continuo vociferare per i corridoi.

Arrivai davanti al mio posto di lavoro e chiusi l'auto. Entrai e trovai nell'atrio delle persone parlare tra di loro mentre sorseggiavano caffè, li salutai anche se non mi ricordavo i loro nomi, ogni giorno ne spuntava uno nuovo ed era diventato ormai difficile memorizzare anziché scambiargli uno con l'altro.

«Hope!» Mi sentì chiamare e automaticamente mi girai verso la persona che mi aveva chiamato, ovvero Scott.

Scott Harvey era uno dei miei colleghi più rispettati, lavorava duramente anche se lo stipendio non era del tutto ragionevole con i suoi sforzi. Fu lui a farmi sentire a mio agio quando entrai nella squadra investigativa, essendo l'unica donna, cosa che cambiò col tempo e a mano a mano iniziarono ad esserci quasi la stessa quantità di donne e uomini nella struttura.

«Hope! Scott stava iniziando già a preoccuparsi, come il suo solito.» Melinda affiancò Scott e roteò gli occhi, ignara degli sguardi di fuoco che Scott le stava rivolgendo.

Melinda Pool è la seconda donna entrata nella squadra nonché mia compagna di sventure, lei essendo nella mia stessa situazione potè comprendere il disagio all'inizio del mio servizio.

«Mi sembra ovvio! È da due giorni che non si fa viva, cosa avrei dovuto fare?» Rispose a tono Scott.

Sospirai ricordandomi che ero entrata in un covo di pazzi, esteriormente sembravano normali agenti della polizia ma quando erano con me, purtroppo, si mostravano per quello che erano: dei pazzi da ricovero.

«Ragazzi!» Cercai di attirare la loro attenzione ma non mi diedero retta e continuarono a battibeccare, come se io non ci fossi, menomale che erano preoccupati per me.

«Ragazzi!» Riprovai e quel che ottenni fu un rigido: "stai zitta!" da entrambi.

Non volli neanche immaginare cosa avrebbero fatto se fossi mancata per più di tre o quattro giorni. Decisi di passare alle maniere forti e li afferrai entrambi per un orecchio, si lamentarono cercando di sfuggire inutilmente alla mia presa.

«Ora finitela! Siamo al lavoro, abbiate un po' di contegno, non avete cinque anni!»

Li lasciai e Melinda irritata iniziò a guardarsi le mani mentre Scott incrociò le braccia al petto ed iniziò a battere la suola della scarpa sulla moquette.

«Voi non siete normali!» Esclamai per poi andare nel mio ufficio.

Appoggiai le mie cose e presi la busta, decidendo di aprirla dopo essermi munita di guanti bianchi. Estrassi un foglio bianco piegato in quattro e lo aprì, la scrittura poteva essere quella di Sanchez, l'avrei scoperto soltanto leggendo. La lettera era per il suo fidanzato, una lettera d'amore che purtroppo non arrivò mai al destinatario, fu scritta un giorno prima della sua morte. Aggrottai la fronte trovando un dettaglio molto importante nella lettera:

"Amore mio, sii felice quando il cielo sarà scuro e così anche il tuo cuore. Pensa ad un nuovo capitolo della tua vita e vivilo a pieno!"

Queste furono le ultime parole di Sanchez nella lettera che mi sembrarono tanto un addio non esplicito e fu strano che la lettera non arrivò a lui, ciò vuol dire che qualcuno non voleva che se ne sapesse della sua esistenza.

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