Erano passati otto anni dal suo primo omicidio e non provava alcun rimorso. Sedici donne uccise, una media di due all’anno, e neanche un sospetto su di lui. Tutte le sue paure e le sue debolezze erano state spazzate via con l’affermarsi della sua indole più cupa e violenta, che per troppi anni aveva represso. Era totalmente succube di un sadico gusto nell’uccidere, ma proprio da questo atto di annientamento traeva una sicurezza che lo rendeva forte, attraente e invincibile. Con l’avvento delle nuove tecnologie poi il suo “lavoro” di scelta delle vittime stava diventando sempre più semplice. Per gli altri lui era semplicemente “il tecnico dei computer”.
“Scusa, già che sei qui mi controlli perché a volte non ricevo le mail?”
“Scusa, già che sei qui mi spieghi come faccio a cambiare la password del mio computer?”
“Scusa, già che sei qui…”
E lui, già che era lì, installava software sofisticati per spiare da remoto i computer su cui metteva le mani. Era entrato in possesso di centinaia di password relative a e-mail, conti bancari, accessi ad aree riservate o a reti protette. Una volta scelta una potenziale vittima iniziava a seguirne i movimenti in Internet, a leggere tutte le e-mail e a fantasticare su come e quando avrebbe agito. Quando anni prima aveva iniziato ad uccidere, tutto questo lavoro doveva svolgerlo per strada con appostamenti, pedinamenti e in ogni caso mai era riuscito a recuperare così tante informazioni. Il tutto comodamente seduto a casa davanti al suo PC.
Lanciò il software collegato all’agenzia di assicurazioni in cui aveva fatto un intervento il mese precedente e si collegò al computer della segretaria che stava osservando da un paio di settimane. Aveva rubato dal suo computer tutte le foto che si era scaricata dalla sua macchina fotografica digitale e un bel po’ di documenti personali. Era una bellissima donna di trentacinque anni, sposata da due, senza figli. Amava la musica Jazz, i film sentimentali e i gatti.
Mentre sfogliava nuovamente le foto, accese di nascosto la webcam installata sullo schermo del Computer della donna. Dopo pochi secondi apparve un’immagine sgranata della sua prossima vittima, seduta alla scrivania, mentre parlava al telefono. L’immagine caricò gli ultimi pixel e divenne più nitida. Osservare di nascosto qualcuno da così vicino, lo eccitava moltissimo. Accese anche il microfono e si mise in ascolto.
«…no, stasera è meglio se sto a casa. Domattina sarà il mio turno di apertura dell’ufficio e mi alzerò all’alba. Che rottura, alle otto devo essere qui, poi devo stare un’ora da sola perché prima delle nove non arriva nessuno, ma il grande capo vuole che dalle otto ci sia sempre qualcuno per rispondere al telefono. Ma chi vuoi che chiami alle otto del mattino, dico io?…»
L’uomo sgranò gli occhi. Finalmente l’occasione che aspettava era arrivata. Il giorno dopo la sua vittima sarebbe rimasta da sola nel suo ufficio dalle otto alle nove.
«Mi spiace, ma non credo che arriverai viva alle nove…», disse rivolto alla donna che stava spiando dal suo computer.Il giorno seguente si alzò presto, con l’adrenalina che iniziava a scorrere nelle vene. Prese la sua borsa da lavoro e aggiunse agli strumenti che utilizzava tutti i giorni (cavi, dischetti, cacciaviti, pinze e dispositivi vari), gli attrezzi che usava solo un paio di volte all’anno: nastro adesivo, corde, martello, coltellini e una sparachiodi. In genere portava anche una pistola, ma dove era diretto a volte facevano controlli all’entrata, così decise di lasciarla a casa.
Alle otto e venti minuti, dopo aver superato l’entrata principale grazie ad un badge che scientemente aveva clonato, si presentò alla porta dell’ufficio assicurativo dove avrebbe posto la parola fine ad un’altra vita.
La segretaria gli rispose dall’interno.
«Si?»
«Salve, sono qui per l’intervento ai computer. Scusi l’orario, sarei dovuto venire più tardi, ma mi hanno spostato un altro appuntamento e ho anticipato di un’ora. Mi hanno detto che dalle otto qui da voi c’è sempre qualcuno».
«In realtà io non ne so nulla…»
«Ho parlato ieri sera con il suo capo».
«Non mi ha lasciato detto niente. Non può ripassare più tardi?»
«Potrei tornare nel pomeriggio, ma si tratta di un virus molto dannoso che potrebbe anche formattare i vostri pc da un momento all’altro».
A quelle parole la porta si aprì e la vittima fece entrare il suo carnefice. La parola “virus”, vicino alla parola “formattare”, aveva sempre un potere formidabile.
«Venga, posso offrirle un caffè?»
«Volentieri grazie, mi ci vuole proprio».
L’uomo non perse tempo. Non appena la segretaria si girò le saltò addosso, prendendola per i capelli e sbattendole violentemente la testa contro il muro. La donna perse subito i sensi. Lui la prese per le gambe e la trascinò nell’ufficio principale. La legò a una sedia e le mise un doppio strato di nastro adesivo sulle labbra. Poi andò a fare due caffè: uno lo bevve lui sorseggiandolo, l’altro lo rovesciò in faccia alla segretaria, ustionandole le guance e facendole subito riprendere i sensi.La donna aprì gli occhi e le ci volle poco per comprendere la situazione. Mani e piedi legati alla sedia, bocca tappata, un uomo con sguardo diabolico di fronte a lei che in una mano stringeva un coltellino e nell’altra una sparachiodi. Provò invano a urlare e a liberarsi. Cercò con lo sguardo di chiedergli di lasciarla stare, ma ciò che trovò negli occhi del “tecnico dei computer” fu solo follia. Scoppiò a piangere e le lacrime iniziarono a scenderle lentamente sul volto, quantomeno dandole un po’ di sollievo sulle guance bruciate dal caffè bollente.
Questa era la parte che lui preferiva: quando le sue vittime prendevano coscienza di ciò che stava per accadere e nel loro sguardo poteva leggere il terrore allo stato puro. La loro vita era nelle sue mani e in quei momenti si sentiva onnipotente. Era lui ad avere in mano il destino di altri esseri umani.
Le passò davanti agli occhi gli strumenti che teneva nelle mani.
«Abbiamo circa mezz’ora per giocare un po’. Da cosa vuoi iniziare?»
La donna chiuse gli occhi e abbassò la testa.
«Ok, scelgo io. Partiamo dalla sparachiodi».
L’uomo le slegò il piede destro, lo sollevò sulle sue gambe e tolse la scarpa. Appoggiò la sparachiodi al centro dell’arco plantare e iniziò il suo gioco al massacro, in un vortice di violenza che non gli era possibile controllare. La donna urlava, ma il nastro adesivo soffocava ogni suono che sarebbe dovuto uscire dalla sua bocca.
La follia ormai controllava sovrana la sua mente.
Quando i cento chiodini furono tutti conficcati in vari posti tra mani, braccia, gambe e piedi della segretaria, l’uomo le prese il volto tra le mani.
«Guardami. Vorrei giocare un po’ di più con te, ma non vorrei essere interrotto da qualche tua collega troppo zelante che decide di arrivare in anticipo in ufficio, quindi…»
La donna guardò fuori dalla finestra. Sgranò gli occhi e cambiò completamente espressione. Sembrava quasi sorridere. Un rumore assordante riempì la stanza.
L’uomo si girò. In un attimo comprese di non essere onnipotente e che il suo destino era nelle mani di altri poiché alla follia non c’è limite.
Guardò il cielo dalle enormi vetrate dell’ufficio che si trovava al 93° piano della torre Nord del World Trade Center di New York.
Vide la morte volargli incontro.Erano le 8.46 di mattina dell’11 Settembre 2001
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Horror Stories
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