Discesa

622 39 2
                                    

La prima cosa che sentì era il bisogno disperato di respirare e la difficoltà impossibile nel farlo. Aveva i polmoni pieni di qualcosa che non riusciva a sputare. Traeva a sé l'aria ma trovava il suo posto occupato, senza riuscire comunque a smettere di provarci. Una lotta combattuta dall'istinto senza che lei potesse farci proprio niente. Sentiva solo che se ne stava andando lentamente e nel peggiore dei modi. Poi, chissà come, ci riuscì e sputò in un sol colpo l'acqua e la paura di morire. Le rimase la pena d'aria e un ingestibile turbinio di pensieri nella testa. Quando il respiro si fu calmato pensò di alzarsi ma una terribile stanchezza la costringeva a terra e con le dita sottili provò ad aggrapparsi ad essa.

"Nick... Mamma.." le sembrava di sussurrare ma in realtà muoveva appena le labbra e non usciva alcun suono da esse.

Si addormentò, con il sole caldo di mezzogiorno che le bruciava la schiena e il tepore mite e umidiccio di un terreno fangoso che le dava la sensazione di sprofondare da un momento all'altro.

La seconda cosa che sentì, quando si svegliò di nuovo, era l'odore di erba bagnata, forte, come quando piove dopo tanto tempo. Aprì gli occhi e li socchiuse perché la luce lì feriva.

Lentamente mosse la testa, si sentiva i capelli spiacevolmente impastati di qualcosa. Sperò che non fosse sangue.

Così la terza cosa che fece fu iniziare a toccarsi la testa e poi il resto del corpo, mentre ancora sdraiata cercava di capire se era tutto integro quel corpo che a mala pena sentiva. Si accorse, attastando, che sentiva un dolore tremendo a un fianco, cercò allora di girarsi e appoggiando tutto il suo peso sul braccio destro si issò a sedere. Una terribile smorfia le oscurava il viso, non sapeva se fosse più di dolore o di fatica.

Tirò su la camicetta e si accorse di avere un enorme livido blu e viola che le occupava tutto il fianco sinistro, probabilmente dove aveva sbattuto contro il bordo della barca quando era stata sbalzata fuori.

"Fa che non ci sia un'emorragia interna." pensò.

Si guardò intorno. Come c'era finita sul bordo di quel campo incolto? Quanta strada aveva percorso trascinata dal fiume? Non poteva essere molta, si ricordava di essersi risvegliata incapace di respirare per l'acqua nei polmoni e non avrebbe potuto resistere molto a lungo senz'aria.

Forse però la potenza dell'acqua, finalmente liberata dall'abbraccio costringente della diga, l'aveva trascinata lontano in pochissimo tempo.

La quarta cosa che sentì fu paura, semplice e asciutta. Come avrebbe ritrovato la sua famiglia? O anche solo qualcuno che conosceva? Come avrebbe saputo se erano tutti morti o se ancora qualcuno di loro respirava? E se avessero avuto bisogno di lei, se disperatamente avessero cercato il suo aiuto mentre un'orda di zombie li accerchiava o mentre l'acqua li trascinava sul fondo del fiume, le braccia rivolte verso l'alto tese a cercare la sua mano a cui abbarbicarsi. E lei non c'era. Era rimasta sola? Sola, senza affetti, senza radici, senza senso... Avrebbe avuto un senso continuare a vivere così? Per cosa? Per cosa o chi o come avrebbe dovuto alzarsi da dove si trovava e andarsene in giro per un mondo al quale non importava nulla di lei?

La quinta cosa fu alzarsi e smettere di pensare e di sentire del tutto. Con la mente finalmente svuotata da quella magica e inspiegabile freddezza che qualche volta le scattava dentro. Si avviò, una mano a reggersi il fianco dolorante e i piedi a strascicare nell'erba bagnata, nella direzione opposta al fiume. C'era una grande casa a una certa distanza oltre qualche campo. Con meccanica dedizione si avviò verso quell'obiettivo.

Arrivata in prossimità della casa cominciò a sentire la puzza di cadavere in putrefazione. Si allarmò, non aveva con sé un'arma e non sembrava esserci niente intorno a lei da poter usare come tale. D'altronde, per il momento, non vedeva zombie in giro. Bastò qualche passo, del resto, per farle scoprire quale fosse la fonte di tutta quella puzza. Davanti all'ingresso della grande casa, proprio di fronte alla veranda, giacevano a decine i cadaveri di zombie e alcuni corpi più freschi, presumibilmente le loro vittime. Tutti, in ogni caso, erano stati restituiti al rassicurante abbraccio di una morte definitiva e per questo, adesso lo capiva bene, pacificatrice. Si avvicinò ad uno dei corpi che aveva un lungo coltello ancora conficcato in testa. Con una certa fatica e un acuto dolore al fianco ferito, riuscì a estrarlo. Lo pulì alla meglio contro i pantaloni e ringraziò quel distacco emotivo che la pervadeva permettendole di non provare ribrezzo per la puzza e il sangue misto a cervello che si ritrovava adesso addosso. Poi, per sicurezza, andò ad estrarre anche un forcone che se ne stava saldamente piantato nella schiena di una ragazza con i capelli biondi, probabilmente non troppo più grande di lei. La guardò distrattamente mentre premeva con forza un piede sulla sua schiena e tirava con due mani il manico del forcone. Riuscì a non cadere a terrà quando finalmente questo si disincagliò dall'anima a cui si era saldamente ancorato.

La Volpe e La Cicogna [LEXARK]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora