Capitolo 1 - Gradazione 46

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<< Ermal, ci sei? >> chiese una voce maschile, attutita. Ermal aprì gli occhi con infinita lentezza, sbattendo le palpebre più volte per cercare di mettere a fuoco il luogo in cui si trovava. << Ermal, te lo giuro, se non mi rispondi, butto giù la porta! >> esclamò sempre la stessa voce, dall'altra parte del muro.

Ermal riuscì a focalizzarsi sul soffitto, finalmente. Si trovava in una camera d'albergo, probabilmente, dato che era molto piccola e c'era una televisione di fronte a lui, sopra ad un piccolo frigorifero, vicino ad una lampada particolare. C'erano, inoltre, dei vestiti sul pavimento, assieme ad una bottiglia di vino rosso quasi del tutto vuota. Si passò le mani sul viso, imprecando mentalmente: cosa diavolo aveva combinato la sera prima? Chiuse gli occhi, cercando di ricordare, passando in rassegna ogni memoria nei meandri della sua mente, ma non vi trovò nulla. C'erano solo dei flash, delle luci colorate, spaccati di una serata all'insegna dell'alcol, forse.

Si girò sul fianco destro ed osservò il cielo grigio fuori dalla finestra. Non avrebbe saputo dire dove fosse o chi l'avesse appena chiamato. A proposito di quello, avevano finalmente smesso di bussare alla porta, così quelle urla avevano cessato di spaccargli i timpani.

Stavolta si voltò sul fianco sinistro e trovò un sacco di fogli di carta per terra, sui quali aveva scritto a mano dei versi di canzoni. Insomma, perlomeno era abbastanza sicuro di essere un cantautore e che si chiamava Ermal. Era un buon punto da cui iniziare, giusto?

Sentì il rumore di una chiave che si inseriva nella toppa. Fece per mettersi seduto sul letto, ma gli girò la testa e dovette tornare a sdraiarsi.

<< Ermal, stai bene? >> chiese un ragazzo, andandogli incontro. Dietro di lui c'era il receptionist, un ragazzo con i brufoli che sembrava molto preoccupato.

Ermal deglutì, scoprendo di avere la gola secca e di non riuscire a parlare, quindi annuì.

Stava davvero bene? Fisicamente, non esattamente. Mentalmente, non lo sapeva nemmeno lui. Però non voleva che il suo amico lo portasse in ospedale, quindi mentì.

<< Devo chiamare qualcuno? >> chiese il ragazzo con i brufoli.

<< No, sembra di no. >> rispose l'amico di Ermal, fissandolo. Il ragazzino se ne andò e rimasero da soli. Il ragazzo lo guardò a lungo, cercando i suoi occhi, ma Ermal appariva distante anni luce da lui. Si limitò a sbattere le ciglia un paio di volte, senza parlare. << Ermal, ti ricordi chi sei? >>

Più o meno, avrebbe voluto rispondere.

Invece, annuì solamente.

<< D'accordo, riesci a parlare? >> domandò. Ermal scosse la testa, in segno di diniego. << Fantastico. >> sbuffò l'amico. << Va bene, ti faccio un corso molto veloce riguardo alla tua vita, poi ti butto nella doccia e ti faccio svegliare per bene. Dunque, il tuo nome è Ermal, mentre io sono Marco. Ieri sera hai preferito rimanere qui dentro a deprimerti in pigiama e siccome eri abbastanza scontroso, ti abbiamo lasciato fare. Ti ricordo che stasera hai un concerto e devi assolutamente rimetterti in sesto prima di allora. Ci troviamo a Firenze, in un albergo di lusso, uno di quelli che tu odi perché non è abbastanza semplice per i tuoi standard. >> spiegò Marco. Ermal si sentì bombardato da troppe informazioni, ma riuscì in ogni caso a mettere a posto molte di loro nei cassetti che aveva nella testa. C'erano i viaggi in auto con Marco, c'erano le folle che urlavano a squarciagola i versi delle sue canzoni e c'era la luce colorata di quella lampada particolare che stava di fianco alla televisione. << Adesso ti aiuto ad alzarti, okay? >> chiese ed Ermal annuì.

Marco lo prese di pesò, trascinandolo per le spalle verso il bagno e lo aiutò ad entrare nella doccia. Lì, il viso di Ermal sembrò calmarsi. Chiuse gli occhi, lasciando che le sue orecchie avvertissero solo lo scroscio dell'acqua. Delle gocce gli si impigliarono fra le ciglia, mentre si rilassava. Era successo qualcosa, la sera prima, che l'aveva portato a scrivere senza sosta per tutta la notte, ubriacandosi, ballando al ritmo della musica, mentre le luci colorate gli facevano compagnia, allo stesso modo delle stelle che nel cielo di Firenze non si vedevano. Qualcosa di grave.

In due tempi | MetaMoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora