Capitolo 10 - Piccola anima

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Tutto ciò che vedeva adesso era il profilo di Ermal che si stagliava contro l'orizzonte. Dietro di lui, c'era l'alba, il sole che si ergeva dal mare, sul confine che separava l'azzurro dell'acqua dall'arancione del cielo. Non sarebbe mai riuscito a decidere se preferisse il sorriso di quel ragazzo o il cielo pitturato di rosso, con chiazze di giallo come se avesse appena distolto lo sguardo fin troppo ravvicinato da una supernova che esplodeva, screziato d'un rosa pallido.

Non aveva praticamente dormito. Si era svegliato alle cinque in un letto vuoto e la mente era andata subito ai ricordi: sarebbe partito quel giorno, era già domenica. Ad un tratto, il cuore gli era caduto nello stomaco, provocandogli una fitta al petto, un vuoto tremendo, espanso, che aveva risucchiato tutta la felicità provata fino ad ora, facendo vorticare i suoi pensieri in un salto nel vuoto. Si era stretto la maglia del pigiama all'altezza della tasca sinistra, la mascella serrata, fissando il soffitto. Non lo vedeva da nemmeno cinque ore e già gli mancava. Come avrebbe fatto a reggere per mesi?

Allora, si era alzato senza far rumore, s'era infilato una felpa presa a caso dall'armadio ed era uscito. Si era diretto all'albergo di Ermal ed aveva salito le scale che conducevano alla sua camera. Aveva bussato alla porta un paio di volte ed Ermal gli aveva aperto quasi subito. Aveva il sonno leggero, quel ragazzo, ma a giudicare dalle occhiaie che aveva, non doveva essersi proprio addormentato.

<< Fabrì, che ci fai qui? >> aveva chiesto Ermal.

<< Buongiorno anche a te, eh. >> aveva esordito Fabrizio, scompigliandogli i capelli. Ermal aveva sbuffato per il modo maldestro in cui gli aveva infilato le dita fra i ricci, facendoli quasi impigliare nei suoi anelli. << Volevo solo passare più tempo con te. Vieni, dai. >>

<< Dove mi porti? >> aveva chiesto Ermal, prendendo un maglioncino leggero che stava sulla sedia, mentre Fabrizio si stava già allontanando.

<< Fidati di me. >>

E poi, l'aveva portato al mare. A quel punto, Ermal si era sfilato i calzini, aveva risvoltato i jeans e si era messo a passeggiare a piedi nudi sulla sabbia, mentre Fabrizio gli stava dietro. Erano quasi le sei del mattino: un orario perfetto per chi voleva correre con il cane sulla battigia o per due persone che non volevano farsi riconoscere dalla gente. Fabrizio si avvicinò ad Ermal e gli prese la mano, intrecciando le proprie dita con le sue. Ermal lanciò uno sguardo verso quel gesto, poi tornò a rivolgerlo verso il sole, come se quello fosse perfettamente normale. Fabrizio si morse un labbro, trattenendo un sorrisetto che avrebbe tanto voluto dipingersi sul suo volto.

Per un po' di tempo, non parlarono. Si limitarono a guardare il sole che piano piano si ergeva nel cielo, che trovava il suo comodo posto fra un paio di nuvole bianche e vi si sistemava, come se fosse quello il suo trono. Ermal lo fissava estasiato e Fabrizio si beava di quella visione, perché, un tempo, avrebbe fatto di tutto - compreso sancire un patto col diavolo o farsi dannare per sempre -, pur di vedere Ermal sorridere in quel modo, sotto le luci dell'alba. Un tempo, quando non potevano né vedersi né toccarsi, prima di quella specie di relazione clandestina che avevano intessuto fra di loro. Ora, invece, perlomeno poteva godere di qualche attimo rubato assieme a lui, di qualche ora in cui poteva fingere che non ci fosse nulla a fermarli.

<< A cosa stai pensando? >> domandò Ermal, genuinamente curioso, rivolgendogli uno sguardo puramente ingenuo.

Ermal era così: ascoltava le persone ed aveva un dono, grazie al quale riusciva a capire, in un breve lasso di tempo, con chi stesse parlando, chi fosse l'individuo che gli si parava di fronte. E poi, rispondeva con poche frasi, ma efficaci e migliorava la giornata di questo qualcuno nel giro di due minuti. Era empatico, ma era anche ferito e lui sapeva bene che, chi ha sofferto tanto, in passato, diventa più forte e se sceglie la strada della compassione, anche più gentile. Quello era Ermal: una persona profondamente dolorante dentro, ma che aveva imparato a trasporre in bene qualcosa che aveva fatto del male a lui, regalando agli altri la possibilità di fare lo stesso. Non voleva evitare di perderlo, solo perché aveva un'anima speciale, ma anche per quello che riusciva a fare con lui, per il modo in cui lo ispirava a fare di meglio, a lottare, ad essere una brava persona.

In due tempi | MetaMoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora