Capitolo 6 - Un orizzonte di carta

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Era passata una settimana, da quella volta in cui l'aveva visto a Roma. Aveva cercato di non pensarci, ma c'era ancora quel non detto, fra di loro, che gli appesantiva il cuore. Si era letteralmente gettato nel lavoro, nella musica, nell'essere sballottato da una parte all'altra per via dei concerti. Aveva cercato di scrivergli o chiamarlo il meno possibile, ma a volte aveva sentito il bisogno fisico di sentirlo, tanto da telefonargli in piena notte, trovandolo - con sorpresa - sveglio. Per fortuna, quando non poteva parlare con lui, aveva sempre con sé la sua fidata chitarra, che non l'avrebbe mai tradito, né tantomeno giudicato. Solo l'abbracciarla lo rilassava, facendo allentare la tensione, calmandogli i muscoli. Suonò così tanto, da graffiarsi le dita. Suonava senza plettro, molto spesso, quindi era facile ferirsi con le corde. Se fosse stata la musica, quella che lo uccideva lentamente, dall'interno, forse sarebbe stato più in grado di sopportarlo.

Non avevano ancora risolto quella strana situazione che era venuta a crearsi fra di loro e, sinceramente, lui non sapeva nemmeno come affrontarla. Non avrebbe mai chiesto a Fabrizio di lasciare la sua famiglia così, di punto in bianco, solo per stare con lui: sapeva che il suo amico avrebbe sempre messo i suoi figli al primo posto e questo lo rispettava, anzi, lo amava, ma non potevano nemmeno continuare ad andare avanti in quel modo, a chiamarsi di nascosto come due adolescenti che non vogliono essere scoperti dai genitori. Però, dall'altra parte, pensare a lui che dormiva con un'altra persona, che divideva la stanza e le idee e le carezze con qualcuno che non fosse lui, ecco, quello riusciva a tollerarlo di meno.

<< Ermal, ehi. >> disse Marco, la testa che spuntava fra la porta e lo stipite.

<< Ciao, Marco. >> replicò Ermal, alzandosi dal letto.

<< Fra cinque minuti andiamo al festival, sei pronto? >> chiese, riferendosi al festival incentrato sulla musica, che si sarebbe celebrato quella sera a San Benedetto.

<< Sì, mi metto gli stivali ed arrivo. >>

<< Bene. >> rispose Marco.

Lo vide guardarsi intorno, indeciso sul da farsi. Aveva l'aria di uno che avrebbe tanto voluto chiedergli qualcosa, ma che non sapeva se fosse di suo diritto conoscere la risposta alle proprie domande o meno. Riconobbe subito quell'espressione, perché anche lui l'aveva indossata, qualche volta, con Fabrizio ed in qualche modo, vi si riconobbe sotto.

<< Marco, che c'è? >> chiese, con un lieve sorriso ad increspargli il volto.

<< Senti, io non voglio entrare nella tua sfera privata, ma l'altro giorno sei scomparso. Insomma, io sono un po' preoccupato per te. >> buttò fuori, richiudendosi la porta alle spalle.

<< Marco, non voglio coinvolgerti. >> rispose Ermal. Conosceva Marco da una vita e gli voleva bene, ma non voleva che sapesse più del dovuto, per non doversi ritrovare in una situazione complicata. Voleva proteggerlo. << Sto bene, okay? >>

Marco deglutì, poi lo guardò fisso negli occhi.

<< Ermal, ti chiedo solo di non fare qualcosa che potresti rimpiangere. >> disse e quelle parole gli spaccarono il cuore in due. Tornarono tutti i dubbi verso di lui, gli vennero gettati in faccia come le onde durante una giornata uggiosa. Fecero di nuovo capolino i sensi di colpa, i timori. Marco sapeva che era andato a Roma, o perlomeno, lo aveva immaginato e non si era di certo sbagliato al riguardo. Ermal non seppe come replicare, così si limitò a deglutire e ad annuire. << D'accordo. Ci vediamo giù appena sei pronto, va bene? >>
<< Va bene. >>

Peccato che quell'ultima frase che aveva pronunciato paresse un po' come una sentenza di morte.

***

In due tempi | MetaMoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora