Capitolo 8 - Le luci di Roma

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Nota: C'è una scena, alla fine del capitolo, durante la quale consiglio di ascoltare "Andiamo" di Fabrizio Moro. Capirete qual è. Ci rivediamo giù!


Quella mattina cominciò così, con la luce che filtrava dalla finestra e si poggiava sul pavimento della sua camera da letto. Vedeva il pulviscolo volare, i frammenti di polvere rincorrersi, all'interno di quel cono, mentre l'arcobaleno appariva ai piedi della porta. Si guardò intorno per un attimo, cercando di ricordarsi cosa dovesse fare. Dunque, era giovedì ed il sabato si sarebbe tenuto il concerto di Fabrizio a Roma, ma lui aveva deciso di raggiungerlo prima per poter provare un po' insieme - oltre che discutere di quella certa faccenda che avevano in ballo, ovviamente -. Quindi, si alzò di buonumore e sistemò in fretta le valigie, poi s'infilò nella doccia, fece colazione, si vestì e si diresse alla stazione. Per una volta, non ci sarebbero stati amici o guardie del corpo intorno a loro. Per una volta, sarebbe potuto rimanere da solo con Fabrizio e ciò lo rendeva già infinitamente felice.

Arrivò a Roma nel tardo pomeriggio. Amava la Città Eterna, le strade che sapevano di antico, la visione del Colosseo, la forza emanata dalla pietra ed il profumo dei fiori che c'era lì. Saltò giù dal treno con la sua valigia ed i piedi lo condussero verso l'uscita: lì vi avrebbe trovato Fabrizio ad aspettarlo. Avvertì già il cuore scoppiargli di aspettative, contentezza e film mentali che si era fatto. Sospettava che, dietro gli occhiali da sole, stessero ridendo persino i suoi occhi.

Peccato che tutta l'impalcatura del suo bel sogno gli crollò addosso, nel momento in cui vide Fabrizio assieme ai suoi figli, che lo stavano aspettando. Insomma, lui adorava quei due bambini, ma non credeva che sarebbero venuti a prenderlo assieme a lui. Fabrizio gli lanciò uno sguardo imbarazzato, grattandosi la nuca, mentre Anita e Libero si facevano i dispetti di fianco a lui. D'accordo, c'era stata qualche complicazione, ma avrebbe perlomeno potuto avvisarlo. Adesso avrebbe dovuto avere a che fare anche con i suoi figli, che si era ripromesso di evitare per non sentirsi in colpa, almeno finché non avessero risolto la situazione fra di loro. A volte il destino sa essere davvero maligno.

<< Ehi, Ermal! Hai fatto buon viaggio? >> chiese Fabrizio, salutandolo.

Dannato Fabrizio e dannato il suo sorriso luminoso.

<< Sì, tutto a posto, grazie. >> rispose, quasi digrignando i denti, prima di passargli la sua valigia da trasportare. Si meritava una piccola punizione, no?

<< Zio Ermal! >> esclamò Anita, allungando le manine verso di lui, per fargli capire che voleva essere presa in braccio. Ed Ermal, chiaramente, l'accontentò.

<< Ciao, mia piccola principessa. Come stai? >> chiese, con voce dolce.

Anita sfoderò uno dei suoi luminosi sorrisi, che gli ricordavano tanto quelli di qualcun altro e solo quello gli provocò una stretta al cuore, fra la tenerezza ed il senso di mancanza.

<< Bene e tu? >> rispose, guardandosi le piccole dita.

<< Bene, grazie. >> replicò, poi fece un cenno a Libero per salutarlo e lui ricambiò.

<< Lasciamo un attimo la valigia nel tuo albergo e poi ti faccio fare un giro per Roma, d'accordo? >> disse Fabrizio, prima di avviarsi verso l'auto. Ermal lo seguì, tenendo ancora la bambina fra le braccia, accarezzandole i capelli. Adesso riusciva a capire cosa volesse dire Fabrizio, quando spiegava cosa significasse per lui la parola "pace": si nascondeva fra i ciuffi ribelli di quella bambina o nel modo in cui Libero trotterellava di fianco al padre, che stava portandola sua valigia, le rotelle che scivolavano lungo la strada.

In due tempi | MetaMoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora