5 | il cibo della mensa

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E il giorno dopo mi ritrovai di nuovo tra le scale d'emergenza, a pranzare con Lorenzo

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E il giorno dopo mi ritrovai di nuovo tra le scale d'emergenza, a pranzare con Lorenzo.
Improvvisando, c'eravamo entrambi ritrovati con i vassoi pieni di cibo tra le scale e decidemmo quindi di mangiare insieme.
Un po' mi dispiaceva per Denise, non sapeva neanche ciò che era successo nell'arco di tre giorni ma mandandole un messaggio invitandola di venire a mangiare, mi rispose di non preoccuparmi perchè doveva ripassare per l'interrogazione di storia che le spettava dopo pranzo.
«Non è niente male il cibo della mensa», borbottò Lorenzo, distraendomi dai miei pensieri che vagavano dal più importante al più banale. Avevo pure finito di mangiare senza accorgermene e mi mancava solo da gustare la fetta di torta con le fragole sopra che l'anno scorso mi fece trascorrere le pene dell'inferno durante i pausa pranzo.
Questa torta era stata messa in mensa solo l'anno scorso e già dal primo giorno c'era una fila talmente lunga che la cuoca fu costretta a tagliarla a quadratini piccolissimi e a me capitavano sempre i pezzi senza fragola.
Quest'anno però stranamente, non c'era così tanta coda, forse perchè stava diventando anche troppo monotona per il gusto di alcuni studenti, ma non per il mio. Mi piaceva il sapore della crema che si spalmava sulla mia lingua e la fragola fresca e squisita.
Annuii all'affermazione di Lorenzo che stava gustando una mela, poggiato sul muretto e rivolto verso di me.
Presi un boccone della torta e riuscii per bene a gustarmi il sapore, chiudendo addirittura gli occhi e facendo versi strani come ero di solito abituata con Denise e solo in quel momento realizzai che la mia reazione ogni volta che la mangiavo era solo volontaria, e non involontaria come dicevo sempre alla mia migliore amica quando mi diceva di smetterla di fare certi versi.

Cercai di trattenermi e finii silenziosamente il pezzo di torta.
«Mi dirai mai il tuo nome?», domandò il ragazzo, gli occhi socchiusi mentre il raggi del sole illuminavano il suo viso dai lineamenti quasi perfetti.
Ingoiai il pezzi di torta masticato e lo guardai negli occhi, «Quando ti ricorderai chi sono», sorrisi e lui si grattò la guancia, sospirando.
«Ho la memoria di un cestino bucato...».
Scoppiai a ridere alla sua affermazione e lui rimase a guardarmi come se fossi dell'oro colato tra le scale.
Lorenzo era cambiato tanto, non me lo ricordavo neanche così, mi attraeva per il suo fascino misterioso che a quei tempi mandava tutte le ragazze del pianeta ai suoi piedi, insomma, chi non s'era mai innamorata del tipico ragazzo in quelle strane fanfiction "bad boy"?
Smisi di ridere, riappoggiando la mia schiena contro la ringhiera delle scale e finendo la torta senza aver più tempo per gustarla.
«Se lo indovinerò, potrò ricevere un premio?».
Alzai un sopracciglio alla sua domanda, «E se andassi a chiedere alle professoresse e in giro?», ribattei e lui scosse velocemente la testa, portando una mano al petto, «Te lo giuro che non barerò!».
Sorrisi al suo modo buffo di comportarsi. La campanella suonò, dando fine al nostro piccolo momento ed entrambi ci alzammo, con i nostri vassoi, rientrando nell'istituto silenziosamente.

Gli studenti passarono tranquillamente tra noi due, senza darci importanza, rispetto al primo giorno, addirittura il bidello poteva guardarci e voci di corridoio volavano come uno stormo d'uccelli.
Da lontano vidi Denise correre verso di me e appena mi raggiunse, fece per aprire bocca e io strabbuzzai gli occhi in preda al panico.
«Hey Feder-», improvvisai un urlo e feci cadere il mio vassoio, silenziando il gruppetto di studenti intorno a noi e fu così che tutti ritornarono a prestare le loro attenzioni su di me.
«Oh mio Dio, stai bene?», sentii Lorenzo dietro di me che con un piede spostò in un angolino i pezzi di ceramica del piattino che conteneva prima la torta alla fragola. Mi passai una mano tra i capelli annuendo e Denise mi afferò il polso, «Vieni, andiamo a chiedere alla bidella di ripulire».

Prima che la mia migliore amica però potesse portarmi via da quella situazione, ben cinque minuti erano passati e tutti gli studenti erano ormai nelle loro rispettive classi, Lorenzo poggiò una mano sulla mia spalla, costringendomi a voltarmi verso di lui.
«Sei sicura di stare bene?».
Annuii debolmente: l'unica cosa positiva era che non aveva sentito il mio nome.
«Vai a lezione Lorenzo, ci vediamo dopo», gli sorrisi e lui si morse il labbro inferiore, riposando il vassoio sopra il bancone e andandosene.
«Che diamine ti è preso!», fece Denise, ridendo e incamminandosi seguita da me verso la bidelleria per chiedere di ripulire il disastro che avevo fatto.
Feci spallucce, ridacchiando con lei, «Spasmo...», ci scherzai sopra ma lei al posto di ridere come pensavo avrebbe fatto, guardò per un secondo dietro di noi e poi si avvicinò lentamente a me, come di solito faceva quando voleva dirmi una cosa senza che gli altri potessero sentire, «E quel ragazzo? È il nuovo studente, no?», alzò un sopracciglio, «C'è qualcosa tra voi due?».
Roteai gli occhi al cielo ed entrambe ci fermammo quando raggiungemmo la bidelleria, «Frena con le domande, Sherlock», dissi e aprii la porta, attirando l'attenzione della bidella.

Mi si presentò Antonella che mi guardò con il suo solito sguardo annoiato, le rughe erano completamente evidenti sul suo viso, non portava bene i suoi cinquant'anni e con una voce stridula, tra noi due non era mai corso buon sangue, sin dal mio primo anno, solo perchè le avevo fatto quasi perdere il lavoro, incolpandola di aver fumato nel bagno delle ragazze quando in realtà quello che avevo visto sul suo bancone non era una stizza ma solo una cannuccia d'estathe.
E ancora mi rinfacciava questa situazione, chiedendomi come io abbia fatto a scambiare una cannuccia per una dannata stizza. Sapevo che questa cannuccia mi avrebbe perseguitata pure fino al mio ultimo anno in questo liceo.

«Che vuoi?», la voce roca e malformata di Antonella interruppe i miei pensieri e io mi schiarì la gola, «Ho bisogno che tu pulis-», mi bloccò bruscamente, alzandosi dalla sedia, «Lo sapevo che eri stata tu a rompere qualcosa!», mi puntò un dito contro e io non potè fare altro se non darle un pollice in su, che la fece alquanto incazzare viste le condizioni pessime delle sue rughe sul viso che raddoppiarono.
Prese una scopa e una paletta ed uscì dalla bidelleria mormorando cose come, «Stupida ignorante che non sa neanche distinguere una cannuccia da una stizza...».

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