6 | non è perfezione distinguersi

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«Okay, capisco, non ti preoccupare», borbottò Denise una volta raccontata la sceneggiata di ieri sera riguardo all'uscita tra noi due

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«Okay, capisco, non ti preoccupare», borbottò Denise una volta raccontata la sceneggiata di ieri sera riguardo all'uscita tra noi due.
In quanto a mia madre, quella mattina non ci eravamo neanche degnate di uno sguardo.
Io e Denise ci incamminammo all'entrata dell'edificio scolastico, sommersi dagli studenti di diverse classi e il mio sguardo si posò immediatamente su una chioma mora girata di spalle che riuscii subito a riconoscere.
Assotigliai le labbra, tenendo i pugni stretti delle mie mani ben nascoste nella tasca della mia giacca e proseguii la mia strada. Salutai Denise che si stava intanto dirigendo nella sua aula, dandole appuntamento per dopo a pranzo.
«Hey, tipetta», mi voltai, colta alla sprovvista verso la voce sicura e calda di Lorenzo che mi sorrise.

«Hey?», feci con fare insicuro, incredula di tutte queste attenzioni che stavo ricevendo da parte sua.
«Come stai?», chiese, affiancandomi e camminando insieme a me verso la mia aula.
«Non c'è male. Tu?», mi portai nervosamente una ciocca di capelli dietro all'orecchio, torturandomi il labbro inferiore.
«Io bene».
Non c'era tanto di cui parlare tra noi due, conoscerci sarebbe stata una cosa imbarazzante per entrambi visto il nostro passato.
Mi fermai davanti alla soglia della porta, senza neanche salutarlo per la troppa tensione ma evidentemente non era quello che s'aspettava, perchè sentii la sua mano posarsi sulla mia spalla, rivoltandomi verso di lui.
«Non mi hai ancora detto come ti chiami...», si dondolò sui talloni, le mani nella tasca dei pantaloni e le spalle leggermente alzate.
Mi portai le braccia contro il petto, lasciando passare qualche mia compagna che entrava in classe, ovviamente dopo aver dato una veloce occhiata a me e il ragazzo.
«Devo indovinare?», ghignò, lasciandosi scappare una risatina e poi ritornò serio, portandosi l'indice e il pollice sul mento, strofinandolo, «Giulia?».
Scossi la testa, «Maria?».
«No».
«Anna?».
La conversazione continuò e più i miei compagni facevano la loro entrata in classe superandoci, più la situazione diventava ridicola.
«Aha! Hai l'aria di una che si chiama Francesca!», puntò l'indice contro di me e la campanella suonò.

Entrai in classe, con gli sguardi di tutti su di me e dalla porta, una volta seduta al mio posto, apparve la faccia di Lorenzo.
«Lo scoprirò prima o poi», e dopodichè se ne andò.
Scossi la testa, divertita e intanto le ficcanaso stavano già parlando di me.

• • •

«Come diamine ho fatto!», esclamò per l'ennesima volta Denise accanto a me, che stava giocando a slither.io e, da come aveva raccontato con rabbia e tristezza, era in prima classifica quando improvvisamente un piccolo serpente le tagliò la strada.
Risi tra me e me senza smettere di assistere alla scena della mia amica stringere forte tra le sue mani il cellulare.
Mi piazzai insieme a lei davanti alla fila di studenti con in mano il proprio vassoio in attesa che venga riempito di cibo.
Scorsi seduto ad un tavolo accanto, Lorenzo, mentre parlava gioiosamente, circondato da ragazze.
Deglutii, e la mia testa iniziò subito a rianimare i momenti in cui mi nascondevo in un angolino a fissare il giovane fanciullo di cui mi ero innamorata, chiacchierare e circondare le spalle con le sue braccia alle ragazze con cui era estremamente in confidenza.
Quella piccola me sperava di vivere almeno un giorno tra le sue braccia, sotto il suo attento sguardo e le sue parole dolci che uscivano ininterrottamente dalle sue labbra: per quanto poteva essere bello, non era mai successo, ovviamente.

«Non ho voglia di mangiare, vai tu, scusa», borbottai a Denise, allontanandomi dalla fila.
«Hey ma che hai?», chiese ad alta voce la mia migliore amica, facendo girare alcuni studenti verso noi due e io la ignorai abbassando il capo e uscendo dalla sala pranzo, diretta verso le scale d'emergenza fuori.
Sapevo che Denise non mi avrebbe seguito, non che non le interessava cosa avevo ma, conoscendomi bene, mi sarebbe passato tutto.
Fortunatamente quel giorno non c'era anima viva tra le scale, perché l'ultima volta avevo assistito alla scena di una coppia che si stava praticamente slinguando all'ultimo gradino e non era stato per niente gradevole. Mi sedetti su un gradino, giocherellando con insistenza con le mie dita che si facevano cullare dal vento fresco delle dodici di Milano.

Appoggiai un gomito sul gradino dietro di me e mi misi a fissare le macchine degli insegnanti parcheggiati sotto di me.
Se solo avessi avuto il coraggio e avessi saputo qual era l'auto della mia professoressa di matematica, in quel momento sarebbe già stata rovinata.
Con i capelli che accarezzavano il mio viso, la porta d'emergenza si aprì e io mi ricomposi, pronta per alzarmi in caso un'ennesima coppia pronta a spogliarsi tra gli scalini decidesse di fermarsi.
Ma con mia grande sorpresa, un Lorenzo sbucò fuori, la felpa completamente aperta e la maglietta azzurra si muoveva poco per colpa del vento.

Mi leccai le labbra secche, sentivò il mio respiro affannarsi e distolsi subito lo sguardo, poggiandolo verso le mie gambe.
Lorenzo si mosse, richiudendo la porta d'emergenza da dove uscivano le voci degli studenti e in una frazione di secondi tutto si silenziò.
Si sedette accanto a me, potei sentire il suo respiro regolare rispetto al mio.
«Tutto okay?», mi chiese.
Annuii velocemente. Tra qualche minuto, mi sarei alzata con la scusa tattica di dover andare in bagno o in classe, per evitare conversazioni con lui, che evidentemente ne era assetato, soprattutto con me.
«A me non sembra», borbottò, «Cioè se vuoi sfogarti puoi contare su di me, anche se non ci conosciamo bene».

Mi voltai, il suo viso pallido era rivolto verso di me e deglutii.
«Come ti trovi con i tuoi compagni?», domandai, cambiando l'argomento e mordicchiandomi il labbro inferiore, posando lo sguardo sulle sue converse bianche.
«Bene, anche se alcune sono davvero delle gatte morte», fece uscire una risatina dalle sue labbra, formando un sorrisetto sulle mie.
«Ti ci abituerai», dissi.
«Preferisco avere a che fare con te».

Alzai un sopracciglio, raddrizzando la schiena, «Cos'hai detto?».
La sua espressione dava chiaramente un segno di sorpresa, come se non si fosse aspettato di aver detto un suo pensiero ad alta voce.
Poi sorrise, rilassando i muscoli delle sue braccia e posandole comodamente come le mie, nel gradino dietro, «Sai, è da quando mi hai detto che in terza media ti ho friendzonato che non riesco a toglierti dalla mia testa. Cioè, mi chiedo come abbia fatto a perdermi una persona bella come te».
Per quanto il mio cuore iniziò a battere all'impazzata, mantenni un'espressione seria, «Ma cosa stai dicendo? Non mi conosci neanche».
«Esatto, per questo, voglio conoscerti», ribattè.

Distolsi di nuovo lo sguardo dopo dieci secondi che tra di noi due si era ricreato un contatto visivo, «Come tutti gli altri, sei solo attratto dalla bellezza esteriore, se tu mi conoscessi, a quest'ora non staresti neanche gelando dal freddo».
«Non ho freddo!».
«Stai tremando, Lorenzo».
«Sì ma, io voglio conoscerti, voglio sapere cosa mi sono perso».
Riposai lo sguardo di lui.
Sapevo che se ne sarebbe pentito come mi sarei pentita io.

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