7 | la società non mi ascolta

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Ero tornata a casa sana e salva e mia madre come se tutta quella strada a piedi sotto la pioggia non fosse bastata, mi fece la ramanzina sull'ombrello che lasciavo sempre in camera

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Ero tornata a casa sana e salva e mia madre come se tutta quella strada a piedi sotto la pioggia non fosse bastata, mi fece la ramanzina sull'ombrello che lasciavo sempre in camera.
Diamine, non era colpa mia se quella mattina c'era un sole che spaccava i vetri!
Il pomeriggio lo passai sdraiata a pancia in giù sul letto, circondata dal libro di scienze, filosofia e latino, in facetime con Denise che intanto, stava preparando le sue valigie perchè il giorno stesso sarebbe ritornata a casa, dalla mini vacanza da sua nonna.
Sospirai, attorcigliando una ciocca di capelli intorno al mio dito e ripretendo per l'ennesima volta il testo di scienze che avevo letto ad alta voce a Denise. Studiare con lei era sicuramente l'ultima cosa da fare nella mia vita, perchè sapevamo entrambe che il tutto sarebbe finito nel parlare dei fatti nostri ma, non avendo altra scelta per potermi concentrare bene, con Denise che mi faceva da professoressa fallita, potevo almeno tenere in mente due o tre cose fino a domani.

«Fed, ora devo andare, ci vediamo domani», la sua camera si mosse dal mio display e io le diedi un pollice in su, riattaccando la videochiamata e proseguendo con uno studio individuale.
Due anni erano passati, escludendo le elementari e le medie, e in tutto questo tempo al liceo, non avevo ancora trovato il mio metodo di studio efficace.
Ricordavo ancora al primo anno come ero disperata, come la metà dei miei compagni, avevo più di tre materie insufficienti e sembrava non esserci più via verso la sufficienza.
Ognuno pensava per conto proprio, il lavoro di gruppo non esisteva ed era per quello che avevo anche imparato a starmene per i fatti miei. Dopo l'accaduto in terza media, socializzare non era più il mio primo obiettivo. Se mi capitava di conversare con qualcuno ovvio che lo facevo, ma non mi ci affezionavo troppo e funzionò: ero in terza liceo sana e viva, con una vita sociale discreta.
Certo, non si potevano evitare le voci di corridoio, potevi anche essere invisibile agli occhi di tutti ma, un giorno qualcuno potrebbe comunque notarti e parlare con gli altri di quanto tu sia sfigata e senza vita sociale.

Ovviamente, tra tutti gli studenti, mi capitò proprio Ilaria, che quando mi notò si mise a ridacchiare con le altre, disprezzando ogni mio dettaglio, come se loro fossero di un prezzo più alto.
Sapevo comunque che dopo la scenata con Lorenzo in mensa, le voci su di me sarebbero aumentate, andando da bocca a bocca di ogni studente, assieme ad aggettivi negativi.
Perchè la gente doveva sempre parlare di qualcuno che a malapena apriva bocca, era uno dei misteri che tutt'ora continuo a tenermi.
Capitava così, scoprivi che un certo tipo del quarto anno parlava in continuazione di te, dandoti della stupida sfigata e quando altri chiedevano di chi stava parlando, rispondeva con il nome ma non sapeva associarne il viso.

Quindi in teoria, ogni studente dell'istituto aveva in testa merda.
Poteva anche essere quella dei suoi amici più cari che, una volta girati, partivano i giudizi offensivi. Speravo di avere un potere soprannaturale negli occhi, che fosse capace di vedere di quanta merda ogni persona era ricoperta, da testa a piedi.

Mi mordicchiai il labbro inferiore, chiudendo il libro di scienze e buttando tutto a terra, per prendermi tutto lo spazio del mio amatissimo letto.
Mia madre interruppe i miei pochi secondi di relax entrando bruscamente in camera e annunciando che la cena era pronta.
La seguì in cucina, salutando mio padre che era appena tornato dal lavoro e mi sedetti con loro a tavola.
Iniziammo come al solito a mangiare in silenzio finchè dopo una buona mezz'oretta, mi schiarì la gola: «Domani dopo scuola esco con Denise», annunciai ai due adulti.
Mio padre mi guardò impassibile e continuò a gustarsi il suo piatto, mentre mia madre alzò un sopracciglio.
«No, non puoi», disse.

«Perchè?», feci. Come al solito sapevamo tutti dove andava a finire quella conversazione, con uno di noi che si incazzava e si metteva a urlare.
Il punto era che sin da piccola mia madre era sempre stata severa nei miei confronti quando volevo uscire, eppure in questi anni uscivo solo con Denise e a malapena con qualche compagna di classe.
«L'ultima volta si è portata dietro suo cugino e non mi piace».
Strinsi i denti, «Ma è solo passato a salutarla», la giustificai.
«Non mi interessa, ho detto che domani non esci e basta».
Feci cadere la forchetta contro il piatto con la pasta ancora intatta e mi alzai dalla mia sedia, spingendola violentemente a terra e per poco non cadde a terra.
Mi diressi in camera mia, senza fiatare.
Chiusi la porta a chiave e mi misi sotto le coperte, chiudendo gli occhi.

3 anni fa
[third person's pov]

I due adulti posarono lo sguardo sulla piccola figura esile che camminava esitante verso l'entrata del salotto, con la testa chinata, interrompendo la loro conversazione sul lavoro.
La donna che l'aveva accudita sin da quando era nata, sentì il cuore battere all'impazzata nel vedere la figlia che tanto amava, senza la sua frangetta: era davvero un'altra persona.
«Piccola mia», sussurrò, allungando il braccio verso la ragazza che si avvicinò, alzando finalmente lo sguardo.
Capì che qualcosa non stava andando in sua figlia, i suoi occhi rossi vagavano nervosamente in ogni angolo della stanza ma non sui due adulti che aveva di fronte.

«Federica, perché ti sei tagliata la frangia?», domandò il padre.
«Non voglio più andare a scuola».
Entrambi gli adulti si guardarono per pochi secondi e ripresero poi a dare le loro attenzioni alla figlia.
«Non voglio più andare a scuola...», ripetè la ragazza.
«Mancano pochi mesi, devi anche fare il tuo esame per proseguire gli studi», fece la madre.
«Ho detto che non ci voglio più andare», il tono della piccola fanciulla la fece rabbridivire. Per quanto una ragazza della sua età poteva avere un certo comportamento, sua figlia era il contrario e sentire certe cose in un certo tono da lei, la fece quasi sentire male: chi l'aveva incitata a cambiare?

Capendo di non poter ricevere nessuna risposta, la ragazzina si allontanò dai suoo genitori e per la prima volta in quei suoi tredici anni di vita, afferrò il vaso di fiori posto accanto al divano sulla quale erano seduti e lo scaraventò a terra.
«Bastardi», digrignò tra i denti, guardandoli con uno sguardo tagliente e si allontanò poco dopo.

La donna osservò il vaso di fiori a pezzi, conpletamente priva di parole, mentre sentiva i passi di quel che sembrava sua figlia andare in camera e sbattere la porta.

❝STILL GOT TIME.❞ Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora