9 | l'ombrello del perdono

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Ricordo come se fosse ieri come avevo violentemente tagliato la frangetta dalla mia fronte il giorno di San Valentino, spargendo odio contro Lorenzo Ostuni che, mi aveva spezzato il cuore e di conseguenza il giorno dopo, mi aveva preso in giro dav...

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Ricordo come se fosse ieri come avevo violentemente tagliato la frangetta dalla mia fronte il giorno di San Valentino, spargendo odio contro Lorenzo Ostuni che, mi aveva spezzato il cuore e di conseguenza il giorno dopo, mi aveva preso in giro davanti a tutti i suoi compagni.
Non dimenticherò mai l'unico segno indelebile che aveva messo a fuoco la mia dignità.
Tre anni dopo, non mi capacitavo ancora di tenere l'anima in pace, e ora che si era ripresentato improvvisamente come quelle dannate verifiche a sorpresa della professoressa di scienze naturali, proprio la seconda settimana dell'inizio del mio nuovo anno scolastico, sembrava l'inizio di un nuovo incubo.
Mi diressi in classe dove c'erano solamente due mie compagne con cui non parlavo tanto e quindi sapevo non avrebbero interrotto il mio momento di tranquillità, mi sedetti al mio posto, le braccia conserte contro il petto e il broncio stampato sul viso.

Picchiettavo la suola del mio stivale contro il pavimento, andando a ritmo con la lancetta dei secondi dell'orologio attaccato sul muro della classe accanto al crocifisso.
Mezz'ora era passata e finalmente la campanella era suonata, dando inizio all'ultima lezione che mi spettava per poter finire questo lunedì iniziato già male.
I miei compagni entravano poco a poco e, come se non fosse bastata la scenata di prima con Ostuni a mensa, la maggior parte di loro mi davano un'occhiata e mi indicavano all'amico accanto.
Roteai gli occhi al cielo, sentendomi in soggezione e poco dopo, come mi sarei ovviamente aspettata, Ilaria, la più ficcanaso, si avvicinò a me, poggiando le mani contro il mio banco, il petto grande in risalto.

«Madaschi, conosci Lorenzo Ostuni?», alzò un sopracciglio. Scossi la testa in risposta, «No, non lo conosco».
«Allora perchè si è avvicinato a te?».
«Perché non lo chiedi a lui?».

La conversazione si concluse lì, cento sguardi su di me e altre cento parole passava da ogni bocca degli studenti presenti nell'aula, ma nessuno di loro osava però aggregarsi ad Ilaria. Rimasi seduta al mio posto, mantenendo la calma. Se solo tutti questi studenti non avessero gli ormoni a mille e non impazzissero ogni volta che si presentava un ragazzo nuovo nell'istituto, magari il mondo sarebbe stato più tranquillo e pulito.
La professoressa di inglese fece irruzione nella classe, iniziando la sua ora.

Aveva un carattere davvero strambo, sapeva organizzare bene ciò che doveva fare ma non le faceva.
Scriveva appunti su appunti nella sua agenda che sembravano più lunghe delle note disciplinari che scriveva, come ad esempio, gli argomenti che doveva fare in una certa classe ma, alla fine, finiva sempre per non fare un fico secco.
Era in gamba, sapeva tener testa alta agli studenti ma l'organizzazione le dava un'ansia tremenda, come se il tempo per lei durasse cinque secondi e faceva tutto di fretta, finendo per essere sbadata.

Come per lei era così il suo lavoro, per me così era la mia vita. Uno schiocco di dita, come se ogni momento passato, una volta preso tra le mani, scorreva via come l'acqua.

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